Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Bussano alla porta. I ricordi di un postino

Di Geraldine Meyer

Siamo così abituati a lamentarci dei disservizi postali che, troppo spesso, ci dimentichiamo di quegli uomini e quelle donne che, ogni giorno, fanno il loro lavoro per consegnarci la posta, con tutto il carico di attese che ad essa è collegato. Un mestiere, quello del postino, che resta carico di fantasie, suggestioni, vere e proprie leggende private e comunitarie. Ma cosa voleva dire fare il postino anche solo trenta o quaranta anni fa? Prima dell’avvento di molte delle invenzioni tecnologiche che, con il tempo, hanno di sovente preso il posto di lettere e missive?

A questa domanda risponde, con tenerezza e nostalgia, Giovanni Francola. Nato a Fabrica di Roma, piccolo paese nella provincia viterbese, Francola, con questo suo Bussano alla porta, ci racconta dei suoi anni a Firenze, quando per mestiere, appunto, faceva il postino. Messaggero di felicità, dolore, notizie buone e meno buone, il postino è una figura che, inevitabilmente, riveste (e in passato rivestiva ancora di più) un ruolo fondamentale, una sorta di legame tra luoghi e persone lontane. Ora il mestiere è molto cambiato ma chi ha una certa età, conserva la fortuna del ricordo di quelle persone, con la loro divisa, che inforcando una bicicletta, portavano a tracolla la loro borsa di pelle piena di vite, lettere, cartoline, storie, bollette, raccomandate.

Giovanni Francola Foto da viterbonews24

Con qualunque condizione meteo, i postini sono stati, per lunghissimo tempo, per molte persone, quasi l’unico legame con il mondo esterno. Per tutti, comunque, l’emblema personificato dell’attesa. Che si scioglieva con il suono del citofono o con quella cassetta postale che si apriva con una piccola chiave. Il cuore batteva e poi, la carta si occupava di portare un sorriso o una lacrima.

Una figura importante che per molte comunità, molti piccoli paesi, ma non solo, ha rappresentato anche un pretesto per racconti, confidenze, semplici saluti. Ma tutto condito di una fisicità che, oggi, si va sempre più perdendo. Nei taschini delle camicie dei postini c’erano sempre penne, come ci ricorda Francola, ora sostituite da lettori digitali su cui mettere una firma è diventato difficile. Il rapporto con loro è sempre più ridotto al minimo. Eppure, fino a non moltissimi anni fa, era normale conoscere il nome del postino, rispondere a un saluto con un altro saluto in cui ci si riconosceva, in qualche modo

Il postino, e in questo piccolo, delizioso libro, è sicuramente l’elemento che più appare evidente, è il simbolo ormai desueto, del tempo stesso. O, per meglio dire, di quando il tempo aveva un altro scandire, un altro alone di fascino e pazienza. Il postino era colui che ci ricordava che la pazienza, il sapere aspettare erano parte integrante della vita. Ora, le mail e la comunicazione sempre più istantanea e immediata, hanno reso quasi nullo il tempo tra domanda e risposta, facendo dimenticare che ogni cosa ha il suo tempo e che il tempo dell’attesa non è un nemico.

In questo Bussano alla porta, Francola ci racconta dei suoi anni fiorentini ma anche delle trasformazioni sociali che, attraverso la lente di chi faceva chilometri per consegnare la posta, diventano causa e conseguenza delle trasformazioni stesse dell’intero sistema postale. Un po’ come se il mestiere del postino fosse una sorta di cartina di tornasole per comprendere cosa sono diventate le comunità e lo stare insieme. E così, tra divagazioni sul boom economico, accenni storici alla nascita della corrispondenza, timbri postali e francobolli, Giovanni Francola ci porta nei suoi ricordi, quando i postini erano quelli che, con discrezione, entravano comunque nella vita delle persone, talvolta nelle loro case, testimoni e messaggeri al contempo.

Non mancano in queste pagine, considerazioni sull’oggi ma anche su un passato fatto di gesti, di un complessivo modo di porsi dinanzi agli altri e al lavoro che si va svolgendo. Un mestiere fatto di relazioni, o almeno così era, in cui lo scambio della posta diveniva pretesto per altri scambi. Scriveva bene Angelo Ferracuti, anche lui ex postino, nel suo bellissimo Andare Camminare Raccontare L’Italia dei portalettere “I portalettere registrano, guardano, si accorgono. Non sfugge loro niente, tutto messo da parte in un luogo segreto della memoria. Oggetti, visi sguardi, profumi. Sanno i dolori, le malattie, ma riescono a intuire anche gli stati improvvisi di felicità.”

Figure che, con i loro passi e i loro spostamenti, disegnavano una specie di cartina geografica che non era solo geografia dei luoghi.

Bussano alla porta Book Cover Bussano alla porta
Giovanni Francola
Memorie
Europa Edizioni
2019
121 p., brossura