Di Umberto Parisi
«Frammenti di un film girato nel 1964»: Facendo ricorso anche a inserti e modelli pubblicitari tipici della pop art, Godard dipinge un quadro complesso, strutturato con cura e incorniciato da due sequenze identiche e diverse allo stesso tempo. Marito o amante, cambia poco o nulla, ciò che è (forse) diverso è il comportamento della donna che si ritrova incinta senza sapere chi sia il padre. Senza giudicare e semplicemente mostrando, il regista sviluppa una riflessione sulla società dei consumi, che viene contrapposta al passato.
Nel corso del Novecento questa trasformazione, affermatasi nei primi decenni del secolo, ha convissuto con l’impianto tradizionale di origine sette-ottocentesco, quando il romanzo moderno è nato e si è imposto ad un largo pubblico. Il venditore di pensieri altrui di Paolo Massimo Rossi sembra richiamarsi a quella tendenza che va a smentire la definizione di Forster proprio perché, in questo romanzo, non esiste una trama precisa, una storia strutturata, uno sviluppo degli eventi secondo una sequenza tradizionale, ma tutto si incentra sull’approfondimento degli stati d’animo, delle emozioni, delle sensazioni del protagonista e sulla riflessione sulla sua vita alla ricerca di un senso che mai riesce comunque a definire e ad acquisire.
L’opera si sviluppa in tre parti che occupano spazi temporali diversi e che si incentrano sostanzialmente sul personaggio-protagonista, Eulogio Roè, il cui strano nome già sembra sottintendere la stranezza della sua vita. La prima parte, che prende il titolo dal cognome del personaggio, ci porta a Bologna, l’altra vera protagonista dell’opera, dove Roè approda da Roma. Non abbiamo riferimenti temporali precisi, ma da alcuni rimandi testuali, si può desumere che siamo alla fine degli Sessanta: la relazione città-campagna è ancora molto intensa e Eulogio, un po’ spaesato, con pochi soldi e senza studi regolari, vive di espedienti facendo, per sua stessa definizione, lo ‘psicomante’: gira per le fiere paesane con un banchetto per ascoltare la gente che chiede risposte alle proprie domande legate alla quotidianità della vita. Roè non è un mago, non è un cartomante, né uno psicologo: si limita a rispondere attraverso citazioni e frasi sibilline che spesso colpiscono i suoi interlocutori forse per il fascino che sa esprimere. Di lui non abbiamo mai una descrizione fisica (e neppure per gli altri personaggi, fatta eccezione per le figure femminili), non conosciamo la sua età, tuttavia comprendiamo che il suo dire è affascinante tanto che, grazie a questo, riesce a guadagnare quanto basta per vivere. Costretto ad abbandonare questa attività, Roè si trasformerà in venditore di libri antichi, dove dimostrerà una discreta competenza, collaborerà con una Casa d’aste, per poi diventare giornalista di una piccola rivista locale e, infine, approderà alla scrittura pubblicando un libro e perseguendo, con la fatica del mestiere, questa attività per la quale si sente vocato.
Roè è un personaggio sostanzialmente statico che continuamente si interroga sul senso della sua vita, sulla sua incapacità di vivere, sulle sue fragilità e sull’insoddisfazione che non sa superare. Roè è un uomo chiuso, riservato, che non vuole scoprirsi né farsi scoprire, che usa spesso l’ironia, il sarcasmo, la battuta sagace o la citazione filosofico-letteraria per nascondersi, per non rivelarsi, attanagliato da una inconscia paura. Questo aspetto del suo carattere è noto agli amici e alle amiche che spesso glielo rinfacciano nei numerosi incontri conviviali che si consumano in diversi locali del centro di Bologna e, in particolare, all’Ideal Bar, luogo che dà il titolo alla seconda parte. Anche il suo rapporto con le donne non riesce ad andare al di là di relazioni occasionali o provvisorie che Roè sembra, in qualche modo, subire più che vivere e gestire attivamente. Anche l’unico vero amore, quello per una donna sposata di nome Giulia e da lui soprannominata Solarina, non si realizzerà per le sue paure e per la sua ritrosia nel farsi coinvolgere in un rapporto più profondo e sincero anche sul piano dei sentimenti. Con Eulogio Roè si ripropone dunque il tema dell’inettitudine che tanta fortuna ha avuto nella letteratura del Novecento. Non è certo casuale che tra i libri che egli salverebbe se diventasse un uomo-libro come il Guy Montag di Farhenheit 451 di Ray Bradbury, ci sarebbe senz’altro Un uomo senza qualità di Robert Musil. La stessa delusione che si accompagna al suo ‘male di vivere’ la ritroviamo anche nell’ultima parte intitolata Il tempo restante, dove Eulogio sembra aver intrapreso la strada faticosa ma gratificante della scrittura che dà una risposta almeno parziale ad un’esistenza chiusa nella solitudine che diventa armatura dalla quale egli non riesce comunque ad uscire.
Lo scrittore anche qui, come negli altri suoi lavori, è molto attento allo stile, all’uso accorto delle parole che devono rendere al meglio le situazioni che va descrivendo e presentando al lettore: così, nella prima parte, soprattutto laddove Roè incontra, come ‘psicomante’, i suoi clienti, il tono è lieve, misurato, in alcuni passaggi quasi fiabesco come a sottolineare l’incanto della parola con la quale il protagonista penetra nell’anima dei suoi interlocutori creando in loro talvolta stupore, talvolta incertezza, altre volte perplessità che aprono comunque la strada a riflessioni personali. Nella seconda parte il narratore onnisciente lascia il passo all’io narrante; sono forse i capitoli più interessanti sotto l’aspetto stilistico per la varietà dei registri. Roè girovaga per Bologna, frequenta osterie e bar, incontra amici della notte. Anche qui, come in tutto il romanzo, è il dialogo a prevalere, un dialogo sempre stringente e serrato, frutto di un intenso lavoro volto a dare ritmo e misura alle battute. Al registro informale, colloquiale tipico del parlato, in questo caso ‘da bar’, si contrappone il registro volutamente aulico, ricercato di Eulogio in funzione antifrastica con la finalità, sempre chiara nella mente di Roè, di difendersi, di non scoprirsi, di mantenere quel distacco e anche un po’ di quel mistero che, nell’immediato, gli danno sicurezza ma che, al vaglio della riflessione, vengono percepiti come la causa prima, anche se insuperabile, della sua incapacità di realizzarsi con se stesso e con gli altri. Talvolta l’antifrasi assume caratteri gaddiani scontrandosi con l’informalità dell’interloquire degli amici e delle amiche (una citazione, solo per esemplificare, l’impressione che il personaggio esterna seduto ai piedi di una scultura di Pomodoro: ‘……l’acciaio della scultura disordinatamente offeso da chimici squarci incombe a testimoniare l’inguaribile decadimento e la lebbrosa malattia del post dell’arte………’)
E poi, come sopra si accennava, c’è Bologna, l’altra protagonista. La città e il suo centro storico, vengono descritti minuziosamente, ricorrenti sono i riferimenti ai nomi delle vie, delle piazze, dei palazzi, delle osterie, dei caffè, dei locali molti dei quali oggi non esistono più ma che sono ancora nel cuore di chi, come l’autore, ha vissuto un pezzo di storia di quel luogo. Non solo Bologna, comunque, anche la Romagna con i suoi centri più importanti, da Cesena ad Imola, da Faenza a Rimini. Con ‘Google maps’ noi potremmo seguire i movimenti, gli spostamenti, le peregrinazioni spesso segnate dall’inquietudine e dalla malinconia di Roè che vaga per Bologna come Leopold Bloom vagava, ubriaco come spesso è Eulogio, per la Dublino di Joyce.
Quindi un romanzo intimistico che, come si diceva, guarda all’io e ai moti dell’anima. Tuttavia, seppur indirettamente, da questa lettura possiamo desumere anche riferimenti, se non al clima politico, almeno a quello sociale di tre distinti momenti storici. Se la prima parte è ambientata alla fine dei Sessanta, in una società dove è ancora predominante la tradizione dell’Emilia rurale, nella seconda parte l’Ideal bar diventa il microcosmo dove ci si incontra per parlare, per bere, per mangiare, per stare insieme in un clima che ricorda il bisogno di sentirsi parte di una collettività proprio degli anni Settanta. La terza parte (siamo orientativamente, come si può desumere da alcuni marginali dettagli descrittivi, alla fine degli anni ottanta) presenta invece il tempo di un ‘riflusso’ che arriva dagli anni immediatamente precedenti, dell’individualismo, della solitudine esistenziale ancora più accentuata: gli amici si sono dispersi, l’Ideal bar, così come tanti altri locali, non ci sono più, Roè non vive più in una via del centro storico, ma in un anonimo condominio di periferia, nella parte sud orientale di Bologna, verso la Romagna. Nel suo piccolo appartamento i rumori giungono attutiti, i vicini di casa sono personaggi misteriosi e sconosciuti che, quando si incontrano, si limitano a scambiarsi, a fatica, un cenno di saluto. È cambiato il mondo, un’epoca succede ad un’altra. L’autore ha saputo abilmente, senza mai accennare ad approcci sociologici, suggerire al lettore questi profondi mutamenti sociali.
Rossi ci offre, in conclusione, ancora una volta, un’opera interessante, dove la puntuale indagine psicologica si accompagna, o meglio, si esprime attraverso un’attenzione continua alle scelte stilistiche e linguistiche, come peraltro nei precedenti romanzi. D’altra parte Eulogio Roè accentua, nella sua dimensione umana, alcuni caratteri che già abbiamo trovato in Giulio Malone, protagonista del romanzo precedente, L’intruso nelle vecchie stanze.
Romanzo
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