Odiando Olivia. Storia di amore e ossessione
Di Geraldine Meyer
Amore tossico, dipendenza affettiva, schiavitù amorosa. In una cultura che medicalizza praticamente ogni sfumatura eccentrica rispetto alla norma, non vi è dubbio che Odiando Olivia possa essere definito come un romanzo che racconta di una malattia. Una malattia in cui i contorni tra untore e infettato non solo si confondono ma si ribaltano continuamente. Come accade, del resto, per ogni aspetto delle relazioni umane.
Odiando Olivia è il romanzo più famoso (e primo romanzo pubblicato in Italia) di Mark SaFranco, scrittore statunitense imbevuto di letture e di miriadi di lavori e lavoretti, nel più classico dei clichè del sogno americano. Anche lui, come Max, protagonista di Odiando Olivia nonché voce narrante e alter ego dello scrittore, è stato fattorino e astrologo, giornalista e musicista, scrittore e sognatore. La biografia di SaFranko sembra aderire quasi totalmente alle gesta erotico-sentimental-lavorative di Max, impotente e tenero, malinconico e sperso protagonista di queste pagine. Talmente aderenti, il piano narrativo e quello biografico, da far pensare con notevole certezza, che questo Odiando Olivia sia una sorta di diario.
La letteratura, come la vita, è piena di storie di amori folli, di dipendenze che portano un quasi totale annullamento di sé, diluito e perso nelle acque mobili di rapporti amorosi in cui la sottile linea di demarcazione tra fisiologica “sopportazione” e “patologica” perdita di limiti. Odiando Olivia non si discosta da questa lunga tradizione e non fa certo dell’originalità tematica la sua forza.
La sua forza, ammesso che di questo si tratti, è semmai nel raccontare una storia in cui la fragilità, le contraddizioni, la capacità di ferirsi degli esseri umani sono dipinte quasi con attiva rassegnazione. Un ossimoro che, per le licenze che si prende la letteratura, altro non fa che scavare con onestà un umanissimo incantamento che diventa disincanto. Rassegnazione alla perdita di controllo che diventa però attiva nella scrittura e nella conseguente presa di coscienza di tale perdita.
Max e Olivia sono l’incarnazione di un percorso di croce e delizia, di paradiso e inferno che riguarda (o ha riguardato) ciascuno di noi. La loro è una storia di amore e morte, di ferite inferte e subite, di lavori presi e abbandonati per ribellarsi, in modo velleitario, a un sistema a cui dicono di non volere appartenere ma di cui fanno inevitabilmente parte come frammenti di quel tritacarne che è l’american dream che disegna una parabola standard per tutti: lavoro, famiglia, figli, casetta con giardino e aspirazioni telecomandate che conducono al successo coloro che si impegnano a “pensare positivo”. Chiunque, in modo consapevole o capriccioso, meditato o, appunto, confuso e velleitario, cerchi di sottrarsi a questo, diventa un pazzo.
Pazzo d’amore e di sesso, come i due ragazzi del libro, incapace di un respiro minimamente esterno a sé stesso, sempre in bilico tra violenza e claustrofobia, isolamento e fuga, dichiarazioni di amore eterno e odio furibondo. L’eterno “non posso vivere con te ma neanche senza”. Per poi accorgersi, a prezzo, certo, di ferite e cicatrici, che non è mai così.
Max e Olivia questo percorso lo fanno tutto intero, in un esasperante sali e scendi, con il lettore che non sa chi dei due sia più insopportabile, chi dei due sia più gravato dal peso di una psiche ridotta in “un milione di piccoli pezzi”. La loro è sì una dipendenza reciproca. Ma lo è, né più né meno, della dipendenza dalla quieta tiepidezza di rapporti che si trascinano sulla forza dell’abitudine, che non è di per sé cosa brutta quando, per esempio, diventa accogliere l’altro nel proprio spazio, ma che non è meno nociva quando anestetizza i desideri. E allora chi è il malato?
Che sia, in fondo, questo interrogativo il senso di questo libro?
Narrativa
Vague Edizioni
2020
268 p., brossura