Per Céline
Di Luigi Martinelli
Quasi dimenticato, Céline!
Ma solo a tratti. Ci hanno tentato per anni, di cancellarlo, senza mai riuscirci; usato fin il carcere, propositi di linciaggio e anche minacce di pena di morte. Ma il personaggio era troppo grande e nessuno sarebbe riuscito a relegarlo nell’oblio.
Che ne dite?
Ora noi possiamo parlarne e anche onorarlo? Noi possiamo parlare di lui senza tanti pregiudizi isolandolo nella grande letteratura e nonostante ancora da molte parti venga giudicato scomodo, soprattutto in quest’epoca di assurdi consensi al razzismo e al nazismo addirittura.
Per quando mi riguarda, io continuerò a proporlo: grande scrittore e innovatore della narrativa.
Céline!
E aggiungo che dopo di lui nulla in letteratura e nella narrativa poteva rimanere come prima (bisogna riconoscerlo): prova ne sia che Céline resta ancora punto di riferimento importante di molti scrittori contemporanei.
Forse sbaglio; forse c’è un perché che non ben definisco, forse, ma io reperisco sue tracce un po’ in tutta la narrativa più recente.
Ma… riconosco: imbarazza ancora Céline.
Ma?…
Comunque non condivido l’osservazione del pur tollerante Pasolini che nel recensire una delle ultime opere dello scrittore ebbe a dire (e siamo già agli anni settanta) che:
“la comoda dissociazione [per cui risulterebbe] immorale giudicare uno scrittore dalla sua ideologia e dai fatti della sua vita […] andrebbe ridiscussa”.
Ancora solo pochi anni fa ne consigliai la lettura a un amico che giudico persona intelligente e buon conoscitore della lingua francese pensando che potesse apprezzarlo meglio di me che lo leggevo tradotto. Ma l’amico, colto e intelligente ma appassionato del classico non resse Céline che per poche pagine.
Indubbiamente gli scritti antisemitici di Céline sono tra più ripugnanti nel genere, e tali da giustificare, più del presunto collaborazionismo col governo di Vichy, quel rifiuto che lo condannò e condannò al lunghissimo oblio.
Scritti odiosi, è vero!, ma veramente tanto esagerati da rasentare la caricatura (uno scherzo indubbiamente di cattivo gusto!) e da far pensare ad una provocazione, peraltro perfettamente in carattere col personaggio; ed anche ad un certo opportunismo commerciale, piuttosto che ad una reale convinzione dell’autore in tali teorie.
A quell’epoca, in Francia, e non solo in Francia, certe idee erano molto diffuse tra tutte le classi sociali ed essere “patriottici” implicava necessariamente essere “antisemiti”, cosicché Céline, “patriotticamente”, forse ne approfittava. Tanto che più tardi, cambiati i tempi, non perse tempo e fece ritirare dal commercio quei pamphlet che io non sono riuscito a leggere per intero.
Comunque, intorno a lui si era andato accumulando abbastanza materiale da giustificarne la condanna, soprattutto in quel dopoguerra di ricostruzione, non solo materiale, e di grandi speranze nei valori della democrazia. Era, insomma, un’epoca in cui una certa visione della vita, quella di Céline, non poteva che risultare inaccettabile; non potevano suscitare simpatie il disperante pessimismo, il cinismo, la satira dissacrante, la sfiducia nell’uomo, la descrizione del mondo come inferno. E lo stesso linguaggio letterario innovativo e dissacrante di Céline venne allora giudicato negativamente.
Il mondo, del resto, è spesso stato descritto come inferno da molti scrittori: anche l’insospettabile Italo Calvino, ad esempio, così si esprime in conclusione delle sue “Le città invisibili”:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti:
accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa , in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
E per Calvino in mezzo all’inferno c’è qualcosa che inferno non è; che è da scoprire; da far durare; lasciar crescere con “attenzione e apprendimento continui”, in un impegno estremamente difficoltoso.
Per Céline, invece, in mezzo all’inferno non c’è null’altro se non ancora inferno. Inferno e inferno e nient’altro. Ed egli se ne fa coscientemente parte integrante, non per non vederlo più, ma per accettarlo come una condanna senza appello e soffrirne.
Céline non gioca con l’inferno: butta all’aria le carte, impreca; sardonicamente ne ride; bestemmia!
Come non riconoscerlo precursore della letteratura “pulp”?… Céline piaceva molto a Bukowski!
Nonostante queste premesse io mi ostino a consigliarne la lettura, comunque consigliando necessario avvicinarsi a lui seguendo un percorso.
È certo, infatti, che se si inizia da “Bagattelle per un massacro”, o forse anche solo da “Da un castello all’altro”, il rifiuto è inevitabile… e sarebbe una perdita fermarsi qui.
Questo penso, e allora mi permetto di dare un consiglio.
A mio parere bisogna accostarsi a Céline rispettando la cronologia delle opere.
Quindi:
Prima il “Voyage”! (Corbaccio). Nella traduzione di Ferrero
Poi “ Morte a credito” (Garzanti). Nella traduzione di Caproni
“Casse-pipe” (Einaudi) e “ Guignol’s band”.
E solo infine la trilogia del Nord, che comprende:
“Da un castello all’altro”, “Nord” e “Rigodon” (Einaudi). Che sono anch’essi, a mio parere, capolavori.
In queste ultime opere lo scrittore, infatti, c’è ancora… e come! Ma parlando degli ultimi avvenimenti della sua vita, qua e là da sfogo a rancori personali, e, a volte, dà l’impressione, fastidiosa, che voglia diluire l’indegnità nazista nella più generale indegnità del mondo. Ed è stata appunto quest’ultima osservazione che più ha infastidito a suo tempo e condannata senza mezzi termini. Ma, infine, poi molti hanno dovuto ammettere (almeno i più avveduti e informati) che ancora aveva ragione lui, il Céline.
Di olocausti è verniciato il mondo: dalle crociate al Congo e al Ruanda; gli Armeni e Srebenica; i Gulag L’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia, gli esodi di massa…
Qualcuno vuol negarlo?
Si accomodi!
E Hannah Arendt ha parlato “banalità del male”!
Generale indegnità del mondo!
Io ho riletto più volte “Viaggio al termine della notte”, il primo lavoro del medico Déstouche. Romanzo ispirato dalle esperienze dell’autore nel periodo a cavallo fra la Grande Guerra e successivo periodo coloniale. Romanzo storico-autobiografico, dunque, nel quale Céline usa la penna come un grimaldello e va a scardinare la realtà delle convinzioni ottuse, dei rapporti falsi… la vanagloria e i grandi ideali che a suo dire, non sono che “i nostri peggiori istinti vestiti di paroloni”. E’ evidente che non lo fa per spregio, anzi, ciò che muove Céline (tanto il medico quanto il letterato) è un disperato amore per la vita, e l’angoscia di vederla stuprata dalla guerra e dai falsi idoli dalla modernità. Cosicché, pur se solo in non rari momenti, si lascia andare a volte a un pensoso apprezzamento delle qualità dell’essere umano (poche considerazioni!, ma in grado di illuminare la scena e di far chiudere per un attimo gli occhi, di Céline e nostri, di fronte allo sfacelo in corso), presto il magma umano riassorbirà sia i lettori sia lo scrittore, che, a sua volta, ne resterà sopraffatto e per difendersi reagirà facendosi simile alle brutture del mondo Straziato, incrudelito… assetato di lacrime.
La rappresentazione e interpretazione dello spirito tragico del proprio tempo attraverso la descrizione delle proprie vicende è indubbiamente operazione rischiosa per uno scrittore, poiché l’opacità del mondo rischia di attaccarsi irrimediabilmente alla sua scrittura appesantendola, pietrificandola ché non si può guardare impunemente l’inferno direttamente negli occhi senza restarne imbrattati. L’inferno è la medusa! E Perseo la può sconfiggere solo evitando il suo sguardo pietrificante, osservandola riflessa nello scudo. Céline, invece, come Lot, si gira e la guarda negli occhi, la Gorgone!, con atteggiamento apprezzabile perché gesto umano. E per non rimanerne del tutto travolto, Céline deve pur scegliere di usare, come Perseo, uno stratagemma Che comunque non gli varrà per uscirne vincitore come l’eroe mitologico: Céline interpone allo sguardo della Gorgone, come un vetro smerigliato, l’ironia, e la satira… e soprattutto vi interpone la comicità presente, anche nelle situazioni più drammatiche, un nascosto lato comico, fino a costruire brani quasi esilaranti. Non rischia così di trasformarsi in stele di sale, come Lot, e la narrazione resta leggera, fluida, non appesantita pietrificata, fino a diventare lettura gradevole pur quando s’inoltra nel fondo (senza risparmiarsi e risparmiarci) più oscuro e meschino del vivere; pur quando s’insozza del dramma umano fin nel sangue e fino a perdersi.
Irrimediabilmente.
Un altro elemento, in fine, rende gradevole la lettura delle opere di Céline: la originalità della sua prosa fatta di aggiustamenti di ritmo e di sintassi; di lessico popolare attraverso l’ampio uso dell’argot. Ne sortisce uno stile che suona come un parlato, una musica, e lo scardinamento della lingua e della sintassi hanno del rivoluzionario rendendo il lettore partecipe della desolazione sociale. Il lettore viene come assorbito dalla tragedia umana anche quando avrebbe voglia di chiudere gli occhi sullo squallore dello scenario.
Linguaggio capace di farsi musica, ritmo, impresso da una punteggiatura fuori d’ogni regola canonica.
L’elemento Dionisiaco va a prevalere sull’apollineo (per dirla con Nietzsche).
Ha voluto una prosa che nascesse come musica, senza mediazioni (la scrittura ritmica e visionaria dell’autore più doloroso del Novecento), per apprezzare la lettura scenica in forma di concerto la cui fisicità, col suo ritmo sincopato e avvolgente, rimbalza continuamente tra letteratura, parlato e musica. E in musica è stata tradotta con tre strumenti in scena: la chitarra baritona di Teho Teardo; un violoncello, suonato da Martina Bertoni; e la voce di Elio Germano, elaborata elettronicamente in tempo reale fino a diventare essa stessa suono.
Scrittore maledetto?
Forse per molti apparirà strano a dirsi, ma io dopo la lettura del “Voyage”… beh, nel mio animo permane solo, e predominante, la Commozione.