Alla California sulla Ritmo
Di Simone Ghelli
Per esser comodo, non era stato comodo per niente.
La zia Luisa, però, non aveva voluto sentire ragioni: lei era la figlia maggiore, quella che aveva sempre accompagnato la nonna a fare le analisi in ospedale, che le aveva fatto le punture quando ce n’era stato bisogno. Ora che c’era da decidere voleva farlo lei, perché si era sacrificata più delle altre e voleva un po’ di giustizia. Ma metterle tutte in quella stanza, figlie e nipoti, anche con le persiane abbassate, non era stata una bella pensata. E poi i mariti, alcuni che si conoscevano appena, costretti di là in salotto, a fumare e bere Cremovo con quel caldo. Il suo Mauro aveva sbuffato tutto il tempo, e anche a stare in finestra c’aveva sofferto non poco.
«Certo che con la tua famiglia i tabaccai non rischiano di chiudere bottega,» le aveva detto mentre accendeva la vecchia Ritmo, che sbuffava anche lei.
Ada si controllò il trucco nello specchietto: «Tre ore così, e poi di sabato… dalla fame m’è venuto un mal di stomaco, guarda…»
Se n’erano andati che la luce stava ormai calando.
All’orizzonte s’intravedevano le due ali bianche con le colonne di vetro azzurro dell’ospedale, dove era morto il nonno nemmeno un anno prima.
Ada aprì il finestrino, aveva voglia di respirare.
Mauro intuì i suoi pensieri.
«Ha sofferto un po’ e via. Se capita a me fammi fare subito una bella puntura, capito? Non voglio darti scocciature».
«Dici così, ma quando si arriva al dunque…»
«Sarebbe meglio un bell’infarto».
«Allora bisogna che tu ti metta a fumare come quegli altri».
«Anche tuo nonno fumava. Bell’affare che ha fatto».
Mauro guardava fisso la strada, che scuriva velocemente a contrasto con gli ultimi bagliori lanciati dal cielo.
«Questa è l’ora peggiore per guidare… non si vede niente».
«E te vai piano, tanto per cena non ci aspetta nessuno».
«E se ci fermassimo da qualche parte?»
Ada gli sorrise in quel modo che se n’era innamorato, con le fossette agli angoli della bocca e gli occhi lucidi, neri come la pece.
Mauro mise la freccia e seguì le indicazioni per La California.
«Che ne dici di una bella pizza?»
«Di quella bassa bassa che poi non mi rimane sullo stomaco?»
«Allora ti porto in quel posticino con la veranda di legno che dà sulla spiaggia».
«Dici quello dove ti cadde in testa il paravento di bambù?»
Ada si mise a sghignazzare come una bambina.
«Ridi ridi, voglio vedere se m’ero fatto male davvero…»
«Ma come sei permaloso!»
«Non è mica normale che ridi così».
«È la tristezza, e poi tutto quel caldo e i discorsi. Le zie oggi non si reggevano. Se pensavo che andavano a fare tutte quelle storie me ne stavo a casa».
Dalla busta che aveva messo ai piedi tirò fuori tre involti di carta.
«Queste due tazzine con la zuccheriera sono un amore. Mica me le volevano dare, eh!»
«Io gliele avrei lasciate».
«Senti, avrò diritto di avere anch’io un ricordo della nonna. Le altre hanno fatto una faccia…»
Mauro girò al bivio per Marina di Bibbona.
«Se ti ha dato soddisfazione… Te ti ricordi da che parte bisogna girare?»
«Mi pare a sinistra. Che vuol dire soddisfazione?»
«Lo sai, a me non piace mettermi in competizione. Siete state tre ore a dire e fare».
«La nonna voleva che queste tazzine le prendessimo noi. Ce lo diceva ogni volta che ci faceva il caffè, lo sai anche te. E poi io ho parlato poco. Ho detto subito quel che volevo e son rimasta finché non l’ho preso».
«Lo so, ma una cosa del genere non le sarebbe garbata».
«Ti dico che ci tenevo. Si sono prese tutto il resto. L’hai viste le porcellane che aveva, no?»
Superarono le ultime palazzine basse tutte uguali, tutte intonacate di bianco con i giardinetti e la piscina comune. Al loro posto comparvero i campi di sterpaglie secche, i cumuli di sabbia lungo l’argine. La strada fece una curva e l’insegna luminosa della pizzeria comparve in mezzo al nulla. Parcheggiarono in uno spiazzo sterrato dietro al locale, dove c’erano almeno una ventina di auto.
Ada si slacciò la cintura di malavoglia. Si sentiva soffocare e aveva una gran voglia di togliersi le scarpe.
«Uffa, speravo di non avere gente intorno».
«La stagione è già iniziata. Se per una volta mangiamo un po’ più tardi non muore nessuno».
In sala c’era un gran vociare di bambini che si rincorrevano tra i tavoli mentre i genitori gridavano per richiamarli al loro posto.
Lei l’afferrò per un gomito prima che potesse avvicinare un cameriere: «Ti prego, Maurino mio, andiamocene da qua. Senti che chiasso, e poi ci serviranno minimo fra mezz’ora».
«Ma non dicevi che tanto a casa non ci aspetta nessuno?»
«Ne dico tante di cose, io. Lo sai che sono una gran chiacchierona».
Dal labbro superiore che le tremava, lui intuì che fosse sul punto di scoppiare a piangere.
«Andiamo a casa,» lo supplicò.
«Soltanto se scongeliamo le polpette di tua madre e le mangiamo sul divano con una bella birra fresca».
«Guardiamo una commedia?»
Mauro si accarezzò la barba. Ormai lo conosceva e sapeva che lo faceva ogni volta che era costretto a ingoiare il rospo.
«Romantico o commedia. Ho mai avuto qualche altra scelta?»
Lei gli dette un pizzicotto sul braccio: «Grazie, anche se penso che alla fine piangerò lo stesso».
Mano nella mano, corsero verso l’auto come due ragazzini che l’avevano combinata grossa proprio sotto lo sguardo degli adulti.
Osservandoli da dietro la cassa, il titolare della pizzeria pensò che, per essere soltanto giugno, di tipi strani in giro ce ne fossero già parecchi.
L’immagine di copertina è Cervia, di Luigi Ghirri