Il centro commerciale
Di Flavio Prestifilippo
L’edificio era stato ristrutturato da poco tempo, il nuovo proprietario ne voleva fare infatti un nuovo centro commerciale. Nelle sue ambizioni doveva essere uno dei più grandi d’Europa. Con una grossa novità: sarebbe rimasto aperto fino a mezzanotte. Gli impiegati sarebbero stati scelti anche per la loro disponibilità a lavorare, obbligatoriamente, durante il turno serale. Avrebbero fatto eccezione le guardie private il cui turno sarebbe durato 24H.
Angela si sedette sulla poltroncina. Non conosceva bene quella parte della città, ma era stata convocata, tanto valeva tentare si era detta. Il tailleur era sempre quello beige scuro, però borsa e scarpe erano nuovi. I capelli li aveva lavati in casa. La pensione di mamma non era granchè, bastava a stento per due. Per questo era accorsa subito a quel colloquio. Tornò a casa verso sera con l’autobus. “Com’è andata”? Chiese subito la madre appena la sentì entrare in casa. “Non so, forse ho una speranza” mentì Angela.
Forse no, si disse, mentre si apprestava a mangiare la cena che la madre ottantenne le aveva preparato. Fece finta poi di vedere il televisore con grande interesse, così avrebbe avuto la possibilità di pensare a nuove soluzioni, e soprattutto avrebbe mascherato il tremore interiore, che come un terremoto da qualche tempo si era impadronito della sua vita. Qualche giorno prima, mentre tornava da una passeggiata, un ragazzino l’aveva fermata. Lo conosceva di vista, l’aveva visto giocare a pallone nello spiazzo antistante il vecchio stabile. Lui le aveva dato subito un biglietto, con sopra scritto un nome e un numero di cellulare.
“Mio zio vorrebbe uscire con te una sera. Qui c’è il numero”. Poi era subito scomparso. Angela aveva guardato a lungo il pezzo di carta, poi vedendo il portone spalancato, aveva salito i pochi gradini. Quella chiesa era sempre aperta anche se non c’erano funzioni. Lei personalmente però non vi si recava mai. La navata era fredda e deserta. A destra una statua della madonna sembrava guardarla. In fondo, dietro l’altare, si vedeva il Cristo in croce. Angela si chiese se anche lui la stesse guardando. Troppo lontano, non lo vedo, si disse. Sono una scema, pensò subito dopo uscendo di corsa ancora col fazzoletto in mano.
Giulio aveva da poco festeggiato il suo compleanno con Beppe e Saro. Panini e birra serviti nel solito bar dal vecchio Mike. Si faceva chiamare così perché sapeva fare una buona imitazione del presentatore. Giulio era disoccupato, ma aveva voluto offrire lui. Era la sua festa, no? Quella sera raccontò la storia di quella ragazza che per qualche tempo era stata cliente fissa del locale. Ogni mattina era lì . Spesso poi usciva con qualcuno, ma l’indomani si presentava sempre puntuale. Un giorno Giulio prese una sedia e le si sedette accanto. Parlottarono un poco, infine uscirono insieme. Beppe lo guardò con un sorriso quando finì la storia. Il racconto era sempre il medesimo: cambiava solo il finale. Qualcuno aveva visto Giulio fare il posteggiatore abusivo, ma soprattutto era conosciuto come il buttafuori di una discoteca in centro. Il fisico era prestante. Aveva anche frequentato una palestra per anni dove un suo amico lo faceva entrare senza chiedergli nulla. Un pomeriggio mentre era al bar da solo a leggere il giornale, vide l’annuncio del futuro centro commerciale. Cercano anche poliziotti privati, si alzò di scatto. Chiederò a Saro, si disse, lo zio è nella polizia. Mike lo guardò incuriosito mentre passava per l’ennesima volta uno straccio sul bancone.
Maggio si era fatto attendere, ma infine era sbocciato . La madre di Angela era felice: I suoi gerani erano tutti fioriti, anche la vecchia pianta di rose aveva fatto il suo sforzo. Un grosso bocciolo stava per schiudersi. Il gelsomino era già verde, più in là avrebbe regalato a tutti il suo profumo. Sua figlia quel mattino si era alzata presto, era infatti il suo primo giorno di lavoro al centro commerciale. La vecchia aveva pregato tanto. Qualcuno l’aveva esaudita. Una settimana era passata, Angela aveva già imparato molto. Il sole entrava festoso dalle grandi vetrate, e lei tra poco avrebbe portato il suo primo stipendio alla madre. Avrebbero festeggiato sicuramente, forse sarebbero uscite, loro due sole. Si reputava fortunata in quanto il caporeparto aveva avuto molta pazienza con lei, anche quando sbagliava. Lui aveva già passato la cinquantina, ed era sempre gentile. Mi ricorda papà, si sorprendeva a pensare ogni tanto. Giulio passava e ripassava davanti alle vetrine. Il giubbotto antiproiettile gli pesava un poco, ma lui avanzava eretto camminando a passi misurati e regolari. Portava spesso la mano alla pistola, poi si guardava le scarpe. Non ne aveva mai avute così nuove, di cuoio nere, semilucide. Il corso preparatorio era stato duro, ma ce l’aveva fatta finalmente. Ora anche le ragazze mi dovranno guardare, si diceva, mentre entrava dentro per sorvegliare i reparti. Aveva adocchiata una commessa , poco più giovane di lui. Non è male, aveva pensato subito. Nei giorni successivi avrebbe fatto di tutto per farsi notare. Dopo un mese con una scusa si avvicinò, ma senza trovare il coraggio di parlarle. Riuscì però a sbirciare sulla targhetta. Ora sapeva anche il suo nome: Angela! Qualche settimana dopo, un pomeriggio, era deciso a fermarla. Ho aspettato anche troppo, si ripeteva. Angela quel giorno aveva finito il suo turno. Una mano la stava tirando fino farla giungere davanti a un ufficio. Lei camminava quasi trascinata, senza dir nulla. Solo una volta si era girata indietro, poi era scomparsa mentre la porta si chiudeva. Si udì la chiave girare. Giulio stavolta si era accorto di tutto. Prese a correre, come impazzito. Gliela faccio vedere io a quel vecchio, anche se è il caporeparto, diceva a bassa voce. In quel momento vide qualcuno che lo salutava. Si fermò a guardare. Era Mike, contento per averlo trovato: “Dove corri? Ecco perché non vieni più la sera coi tuoi amici. Me l’avevano detto che lavoravi qui, ma non ci volevo credere. Fatti vedere lo stesso qualche volta.” Il ragazzo lo guardò perplesso, diede un ultima occhiata alla porta sempre chiusa e poi a Mike. Rivide in un attimo il bar, il vecchio televisore acceso, le immagini di una partita che scorrevano, e gli amici con le loro battute sempre uguali. Prese sottobraccio allora l’anziano barista, senza più alcuna fretta, e biascicando un poco le parole disse: “Si, lavoro qui, sono stato fortunato”.
L’immagine di copertina è Concavo e convesso di Maurits Cornelis Escher