La gatta, Shozo e le due donne. Storia di un’ossessione
Di Geraldine Meyer
Jun’ichiro Tanizaki, tra i maggiori autori della letteratura moderna giapponese (e non solo), insignito del Premio Nobel nel 1964, in questo La gatta, Shozo e le due donne, ci conduce, con grazie crudele, in alcuni dei suoi temi preferiti, come la figura femminile e l’ossessione. In quello che, apparentemente, è un libro di gaiezza, gelosia e amore per i gatti, si cela tutta la rigidità della morale giapponese, le dinamiche umane più contorte, l’umana, umanissima difficoltà a accettare l’Altro, difendendosi nell’immaginare cosa l’Altro senta.
La gatta, Shozo e le due donne è, apparentemente, solo la storia di un triangolo, quadrilatero, amoroso tra Shozo, la sua dorata gatta Lily, la prima moglie Shinako e la nuova moglie Fukuko. Shinako, dopo essere stata ripudiata da marito e dai calcoli della di lui madre, decide di introdurre un dubbio atroce nella nuova moglie di lui. Come? Inviandole una lettera, firmata con altro nome, in cui la mette in guardia da un pericolo enorme e inevitabile: presto o tardi l’amore di Shozo per la sua gatta finirà con il mettere a repentaglio il loro matrimonio. Meglio, dunque, che la gatta, nonostante gli accordi, torni dalla prima moglie.
Un piccolo espediente narrativo è ciò che Tanizaki utilizza per scavare, con lucidità chirurgica, nelle dinamiche e nelle ossessioni dei personaggi. Lucidità chirurgica resa ancora più tagliente dalla leggerezza, e quasi levità, dei toni e delle immagini utilizzate. E, partendo da quella lettera, ci conduce, più che in un triangolo/quadrilatero amoroso, in un girotondo attorno alla gatta che diventa, sempre più, il catalizzatore di una vera e propria ossessione, tanto più erotica quanto più spostata su un piano apparentemente diverso. Una lettera che insinua un dubbio che è, anche e soprattutto, una fantasia di controllo, una conseguenza di atti e gesti messi in campo, da tutti, per una sorta di tornaconto.
La gatta Lily, amata, contesa, usata, diviene così uno specchio e una lente di ingrandimento attraverso cui, ciascuno dei personaggi, giudica l’altro, i suoi sentimenti, le sue azioni, le sue mancanze e debolezze. In mezzo a tutto questo, Shozo, uomo bambino incapace di prendere decisioni in autonomia, trova nella gatta, da cui è stato forzatamente separato, l’unico punto fermo della propria vita, l’unico essere di cui sia stato capace di prendersi cura, in un amore quasi autistico, per difendersi dal mondo.
E così, pagina dopo pagina, diviene chiaro come ciascuno rivolga l’attenzione agli altri e mai a sé stesso. Il punto, per tutti è fuori da sé e la gatta diventa quel punto, che si muove, che non si fa né prendere né comprendere, di cui è impossibile conoscere gli autentici sentimenti ma solo rappresentarseli. Ed ecco l’ossessione, la vera protagonista del libro, quella in cui e attorno a cui gira anche l’idea della donna, della femminilità che scivola verso l’immagine di una mamma più che di una madre.
Un libro che sembra lieve, quasi un soffio, eppure concentra in sé molti degli elementi della cultura e della psicologia giapponesi, molta crudeltà dietro leggeri tatami di convenienze sociali in cui la vergogna è il vero legame sociale. Solo per frammenti la gatta diviene il pretesto per, se non rimettere in discussione il proprio sentire, almeno un inizio di crepa nella costruzione dell’intera vita di ciascuno.
Come spesso accade nella letteratura giapponese, anche questo La gatta, Shozo e le due donne, è soffuso di inquietanti meccanismi psicologici, dinamiche umane, familiari e sociali, narrati con quel sorriso accennato e l’inchino sussiegoso con cui ci immaginiamo i giapponesi quando ci salutano. Anche tra queste pagine funziona così, e gli occhi della gatta Lily ci sembrano lo sguardo distaccato e ironico con cui il mondo va avanti nonostante le nostre commedie e i nostri drammi.
Letteratura
Neri Pozza
2020
125