Dunque, avevamo anticipato, le Sirene, ovvero l’episodio più musicale dell’Ulysses …
Joyce stesso scrisse in una lettera ad Harriet Shaw Weaver che in questo episodio intendeva rappresentare «the seduction of music beyond which Ulysses travels».
Wagner aveva affermato che «tutte le arti aspirano alla musica», mentre Mallarmé aveva argomentato che la musica doveva lavorare utilizzando relazioni già stabilite dalle parole, e Joyce, pur essendo un cantante, si schierò, diciamo, dalla stessa parte. Per lui tutta la musica aspira alla condizione di linguaggio, ed essendo portata a quella condizione nell’episodio delle Sirene, si rivela meno che “suprema”. Dopo aver completato l’episodio, Joyce disse a un amico che la musica non gli interessava più, dal momento che ormai ne aveva «scoperto tutti i trucchi».
La peculiarità dell’episodio delle ‘Sirene’ sta proprio in questo. Joyce imita, evoca, maneggia, diciamo, tutti i manierismi e gli espedienti ritmici con grande umorismo fantastico. Nell’episodio vengono mostrati i Dublinesi che dividono il loro interesse nei confronti della musica vocale tra l’opera della scuola italiana e le ballate popolari.
Il bar dell’Ormond Hotel, da cui entrano ed escono gli attori drammatici, esiste tutt’ora come nel 1904, ma la sala in cui cantava Simon Dedalus e la sala da pranzo da cui Bloom e Richie Goulding ascoltano mentre mangiano, è scomparsa nella ricostruzione attuale.
In questo capitolo, Joyce utilizza ampliamente, com’è s’è detto, la musica da un punto di vista strutturale e stilistico. La tecnica impiegata nel capitolo è stata descritta come una “fuga per canonem” o, in altre parole, una fuga con invariabili congruenti ripetizioni di una tematica, termine che secondo Lawrence Levin, è nato dalla combinazione di due simili eppure distinte forme polifoniche: la fuga e il canone.
L’idea che sta alla base del canone e della fuga è l’imitazione, che consiste nella ripetizione, su una o più̀ voci, o parti strumentali, di un motivo melodico esposto dalla prima voce. Questo procedimento ebbe un enorme sviluppo tra il Quattrocento e il Cinquecento, come nel mottetto Sicut cervus di Pierluigi da Palestrina (1525-1594, per ascoltare cliccare QUI)
Nel canone un motivo melodico viene ripetuto in modo esatto da tutte le voci e in successione regolare. Esempio noto, per quanto elementare, è l’infantile Fra’ Martino la cui melodia si ripete di seguito e sempre uguale in tutte le voci (per ascoltare ma soprattutto “vedere” il canone cliccare QUI). In questo caso si tratta di un “canone all’unisono” mentre molto più̀ sfruttato in campo musicale è il canone nel quale il motivo principale si ripete a diversa altezza rispetto a quella d’inizio: cioè̀ “alla Seconda”, “alla Terza”, ecc. (come, per esempio, nella variazione 9 delle Goldberg Variation, per l’appunto alla Terza: cliccare QUI).
L’esempio più̀ antico di canone è la Rota inglese Sumer is icumen in (circa 1250) a 4 voci sostenute da un basso ostinato (per ascoltare cliccare QUI).
La fuga è invece una composizione strumentale, vocale o di stile contrappuntistico, fra le più complesse e importanti nella storia della polifonia. Generalmente scritta per un numero di voci da due a cinque (il caso più tipico è quello delle quattro voci), si diffuse a partire dalla metà del sec. XVII. L’ampiezza e le caratteristiche strutturali della fuga sono legate a diversi fattori, quali il numero delle voci e dei soggetti (cioè delle idee fondamentali su cui è basata la composizione) e i rapporti tra soggetto e altri elementi della composizione. A grandi linee la struttura di una fuga può essere così descritta: esposizione, presentazione del soggetto con entrate successive (almeno una per ogni voce) accompagnate dal controsoggetto, svolgimento, elaborazione delle idee precedentemente presentate attraverso diversi episodi o divertimenti, intercalati da riapparizioni del soggetto. Il sovrano della fuga? Ovviamente Bach (di cui QUI si riproduce la Toccata e Fuga in fa magg. BWV 540).
La fuga per canonem, da cui la fuga classica, diciamo, si sviluppò nel sec. XVI, è il più rigido esempio di imitazione.
Dunque, data la preparazione musicale di Joyce, la sua autentica mania per la correttezza dei dettagli e la precisione dei materiali tecnici, e data la sua esplicita affermazione che l’intero capitolo si basa sulla fuga per canonem, ebbene, tutto sta a indicare che l’episodio delle Sirene è strutturato lungo le linee del canone, non della fuga, ed è in base alle regole canoniche che va analizzato, valutato e “ascoltato” l’intero capitolo.
Interpretando quindi le “parti” di Joyce come voci, esse sarebbero quelle di Miss Douce e Miss Kennedy (le due sirene), Bloom, Simon Dedalus, Lenehan, Boylan, l’accordatore di pianoforte, Dollard e il cameriere Pat, con Cowley, Lidwell, Kernan e Goulding che fungono da libero contrappunto e con volo, perseguimento, solitudine, Martha, Molly, le conversazioni e le canzoni che fungono da materiale tematico.
L’accordatore cieco è stato nel bar e ha accordato il pianoforte per un imminente concerto, così i tre avventori cantanti, Cowley, Simon Dedalus e Ben Dollard, si riuniscono attorno allo strumento non solo per parlare di musica e concerti, ma anche per far divertire i presenti con un po’ di musica.
Cowley canta una o due frasi della romanza per tenore dall’opera Martha e Richie Goulding dice a Bloom, con cui sta pranzando nella sala attigua, che si tratta della più bella aria per tenore mai scritta. Questo preludio all’opera Martha è introdotto attraverso una serie di citazioni tratte dall’aria che saranno sviluppate successivamente e che devono essere fissate nella mente del lettore: per esempio, la parte centrale dell’episodio presenterà Simon Dedalus mentre canta la romanza “M’apparì tutt’amor” tratta proprio da Martha (e che abbiamo già ascoltato in una puntata precedente, ma che riproponiamo di nuovo QUI interpretata niente meno che da Luciano Pavarotti). E Joyce riprende continuamente frasi come leitmotifs non solo in questo episodio, ma trasportandole anche da un capitolo all’altro.
Chiaramente il solo titolo dell’opera richiama alla mente di Leopold Martha Clifford, alla quale sta scrivendo una lettera; ma ricorda anche l’immagine tenera della moglie Marion, il fatto che lei stessa sia una cantante e il climax dell’aria che Simon Dedalus canta in inglese lo mette di fronte al proprio senso di colpa.
La figura di Bloom nella sua solitudine e nel suo isolamento meditativo contrasta fortemente con la convivialità degli altri, le cui voci interagiscono e vibrano all’interno dell’Ormond Bar con frequenti allusioni in un notevole crescendo musicale.
Mentre Bloom scrive la lettera a Martha, il pianoforte continua a suonare e così continuano il canto, gli applausi e il tutto si mischia con il flusso dei suoi pensieri e lo ispira nello scrivere la lettera.
È interessante la costante associazione tra la musica e lo stato d’animo e i fatti della vita di Bloom. Per esempio, quando Cowley inizia a suonare il minuetto dal Don Giovanni, opera di seduzione e tradimento, alla mente di Leopold torna il pensiero di Molly con l’amante Blazes Boylan, che comunque è costante nell’episodio (per riascoltare il minuetto cliccare QUI e QUI).
Successivamente è Ben Dollard a esibire le sue qualità canore, cantando a richiesta la famosa ballata irlandese The Croppy Boy, che racconta la storia di un tradimento e risveglia vive memorie in tutti i presenti, portandoli al pianto e alla meditazione silenziosa (che abbiamo già ascoltato in una puntata precedente, ma che riascoltiamo QUI in una diversa interpretazione).
E ora, un invito all’ascolto “stravagante” dell’episodio delle Sirene messo in musica da Victoria Bond (QUI) e per i più… coraggiosi la lettura integrale dell’episodio in inglese (QUI)