OMAGGIO AD ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI
Di Adriana Sabato
Essere un pianista e un musicista, non è una professione. È una filosofia, una concezione di vita che non può basarsi né sulle buone intenzioni, né sul talento naturale. Bisogna avere prima di tutto uno spirito di sacrificio inimmaginabile.
Lo aveva detto e ben si comprende attraverso la sua grande arte: il pianista Arturo Benedetti Michelangeli, (Brescia 1920 – Lugano 1995) di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, era un uomo molto serio e severo ma, solo in apparenza.
Era, la sua, una semplice esternazione del proprio carattere timido e molto riservato che celava invece, una poetica stilistica fatta di ricerca sonora e di studio approfondito.
Il suo tocco aveva qualcosa in più: quel particolare legame con il suono nella sua brillantezza, nel proprio timbro, conferiva forme, contorni e colori alle idee musicali. Attraverso le mani traduceva il suono in immagini magiche e poetiche meravigliose.
In Italia non venne mai apprezzato fino in fondo: probabilmente proprio questa sua visione assoluta dell’arte della musica, allontanando l’uomo da qualsivoglia spirito di mondanità, lo allontanava anche da quella visione salottiera del divo da salotto tanto cara all’italianità, avvicinandolo però, in modo sempre più intransigente, alla sostanza delle cose.
Pochi pianisti hanno suscitato tanta venerazione quanto Arturo Benedetti Michelangeli, scrisse il pianista Dario De Rosa, innegabilmente, una delle figure leggendarie del pianoforte del ventesimo secolo: la sua incomparabile “perfezione cristallina”, la sua aura quasi mistica. Il grande pianista italiano possedeva, in modo quanto mai evidente, un carisma raro ed il vero e proprio dono di soggiogare il pubblico.
Il 30 maggio 1964, sotto il titolo Lo splendore del talento, il sommo pianista e Maestro russo Heinrich Neuhaus descrisse pubblicamente, nel giornale Izvestija l’impressione che l’evento Benedetti Michelangeli aveva suscitato nel suo animo e in tutta la società musicale russa. I concerti del 22, 25 e 27 maggio 1964 avevano riempito fino al limite la sala Grande del Conservatorio di Mosca, lasciando nell’ascoltatore il silenzio senza parole dello stupore, un fenomeno eccezionale generò in tutti una totale ammirazione.
Da quando Michelangeli non c’è più, il mondo della Musica è molto più povero. Certo anche oggi sono tanti i pianisti di grande livello: tanti da rendere imbarazzante anche solo nominarli e tentar di distinguerli. Ma Michelangeli era davvero diverso.
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Il pianoforte può evocare una infinita gamma di chiaroscuri, grazie alla gestione dei rapporti dinamici fra le varie voci che compongono un accordo o una trama polifonica.
Il fascino dell’ascolto musicale nel grande Maestro è proprio questo: essere sempre legato ad immagini evocate grazie alla perfezione dosata del tocco che possiede la capacità di definire anche i dettagli cromatici.
In fin dei conti l’aspetto sonoro della musica che ascoltiamo non è altro che una proiezione, spesso solo parziale, di un’idea artistica ben più ampia.
Nel caso dei grandi capolavori, il messaggio del Maestro trascende i limiti sensoriali, uditivi e visivi, ed è in questi casi che attraverso i suoni si percepisce qualcosa in più, di non descrivibile, eppure ben presente e inequivocabile. La grandezza della musica risiede proprio in quel mistero, e noi abbiamo l’opportunità di coglierlo ad ogni ascolto, se riusciamo a porci nella giusta condizione.
Definito all’unanimità il più grande pianista del Novecento ha avuto fama immensa, uno dei pianisti più ammirati per la perfezione della tecnica, la limpidezza del tocco e l’intelligenza interpretativa, soprattutto nelle esecuzioni di Chopin, Mozart, Debussy e Ravel.
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Fonte:https://www.raiplay.it/video/2020/01/grandi-interpreti-arturo-benedetti-michelangeli-f5c225b5-b7f7-4dc1-ac51-2f55f1701901.html
L’immagine di copertina è presa da wikipedia