Un amore ai tempi del Mandato. Le diciotto frustate di Assaf Gavron.
Di Alessandro Vergari
James Wilshere, detective arruolato nel Dipartimento investigativo, e Edward O’Leary, camionista, sono due giovani soldati dell’esercito britannico allocato in Palestina. La Seconda Guerra Mondiale è terminata da poco e il Mandato, iniziato nel 1920, è ormai agli sgoccioli. Nel 1946 la tensione tra inglesi ed ebrei sale alle stelle: i rapporti politico-militari, già deteriorati, peggiorano mentre il terrorismo delle bande paramilitari esplode con violenza. Sul piano privato, le relazioni sentimentali tra “stranieri” e “donne del luogo” sono apertamente osteggiate dalle frange radicali del movimento sionista. Ad Haifa, James ed Edward conoscono due belle ragazze ebree, Lotte Pearl, impiegata presso la compagnia petrolifera Shell, e Rutie Spielberg, orfana e sola al mondo. Nascono due storie d’amore simultanee, O’Leary si innamora di Lotte mentre Wilshere perde la testa per la selvaggia Rutie. Le coppie sono amiche e, anche per mettersi al riparo dagli sguardi ostili, si ritrovano in una casa presa in affitto da Wilshere nella parte bassa della città. I quattro passano il tempo tra gite sul monte Carmel e puntate al bar Nelson, dove lavora Rutie. Presto, un tradimento rompe l’idillio. Lotte coglie Rutie e il suo adorato fidanzato in flagranza di reato. La vendetta della ragazza tradita sarà terribile e imprimerà involontariamente una svolta alla storia di Israele.
Le diciotto frustate è un romanzo di Assaf Gavron, scrittore israeliano, traduttore in ebraico di Joseph Roth e J.D. Salinger. Gavron riprende gli eventi passati collegandoli al complesso presente di Tel Aviv. Anno 2013: Eitan Einoch, detto Tanin, è un tassista colto e irrequieto, nonché pugile dilettante, incappato in una serie di passi falsi sia nel campo professionale sia nella sfera degli affetti. Il personaggio era già comparso in una precedente opera dello scrittore, La mia storia, la tua storia (Mondadori, 2009). Eitan è diventato una semicelebrità per essere scampato miracolosamente a tre attentati consecutivi. Tuttavia, ha sempre rifiutato i possibili vantaggi che l’inaspettata fama avrebbe potuto consegnargli. Mai tirare la fortuna per il colletto, specie se ha già dispensato i suoi doni… Una mattina, dopo aver lasciato sua figlia Noga a scuola, Eitan accoglie sul suo taxi una donna ultraottantenne, spigliata, elegante, foulard turchese in testa, sorriso vermiglio e grandi occhiali da sole a celare gli occhi scuri. Il suo nome è Lotte Pearl e la sua abilità nel maneggiare le app sul cellulare mostra quanto sia del tutto a suo agio con le nuove tecnologie. Lotte, dice tra sé e sé Eitan, è decisamente cool. La corsa termina al cimitero Trumpeldor, dove sta per svolgersi un rituale funebre del lutto, il Kaddish, per Edward O’Leary, morto da poco a seguito di un infarto. Lotte rivela che Ed è stato il suo compagno. Eitan viene coinvolto nella recitazione della preghiera.
La donna e il tassista stringono un’amicizia anomala e intensa. Per tre settimane, quotidianamente, Eitan fa la spola tra la casa di riposo di Herzliya (a nord di Tel Aviv) e il cimitero finché Lotte un giorno non va all’appuntamento, destando in lui una comprensibile apprensione. I sospetti si materializzano quando il corpo dell’anziana, immobile, a pancia in giù, è ritrovato esanime tra le lenzuola del letto della sua stanza. All’atto dell’identificazione, una sorpresa travolge Eitan: la defunta non è Lotte ma un’altra donna! Chi è morto al posto di Lotte? E perché quest’ultima è svanita nel nulla? Scatta l’opportunità, per lui, di vestire i panni dell’investigatore privato, vecchio sogno ed ambizione sepolta nel pozzo delle occasioni mancate. Il tassista si lancia in una strana indagine con la complicità di Bar, ex collega ed imprenditore del ramo hi-tech. I due si rispecchiano e forse si completano: l’arrivato e il fallito, lo sposato e il divorziato, il ricco ed il povero. I colpi di scena si susseguono.
Le diciotto frustate si risolve in un gioco di incastri sapientemente dosati. Gli ingredienti del giallo si amalgamano in una ricetta intrigante: quattro anziani riuniti a Tel Aviv dopo decenni di dolorosa separazione, un giovane dandy dall’albero genealogico intricato, una nipote pronta a spendere il suo fascino da femme fatale con cinica determinazione. E poi, dettagli quasi jamesbondiani, una pistola perfettamente camuffata nel telaio di una carrozzina, sostanze assassine non rilevabili dai referti medici, perfino cascate di diamanti… Lotte, colpo di scena, ricompare. La deceduta, veniamo a sapere, è Rutie Spielberg, la sua amica-nemica di sessant’anni prima. Frammenti di vicende umane restituiscono un mosaico contraddittorio. Le voci stridono, le testimonianze collidono. Ognuno teme di essere assassinato dall’altro. Ognuno potrebbe essere l’assassino dell’altro.
Gavron adopera con abilità le procedure narrative ascrivibili ad uno specifico genere per esplorare le ragioni di un dissidio oggi poco ricordato. Nel racconto è rintracciabile una nota autobiografica: i genitori dello scrittore sono infatti inglesi. «Questo conflitto identitario si trova anche dentro di me, motivo per il quale ho voluto trattarlo. Se c’è un periodo in cui ebrei e inglesi si scontrano, è proprio durante il mandato britannico, in particolare tra il 1945 e il 1948, durante il quale la violenza e i drammi sono arrivati ad un apice incredibile, e non è che gli inglesi siano arrivati in India, in Africa o in Palestina per portare la proprio civiltà ma per sfruttare a proprio vantaggio questi territori. Comunque, anche se solitamente i bambini in Israele imparano che gli inglesi erano gli oppressori e noi gli oppressi, la questione è molto più complessa». (https://www.mosaico-cem.it/cultura-e-societa/libri/assaf-gavron-tra-israele-e-inghilterra-vi-e-un-conflitto-identitario-che-esiste-anche-dentro-di-me) Nel romanzo l’ex soldato Wilshere accusa gli ebrei di ingratitudine. I suoi argomenti sono classicamente imperialistici, vi abbiamo dato case, strade, ospedali, quando non possedevate ancora nulla, in una parola vi abbiamo portato il progresso e, in tutta risposta, abbiamo ricevuto calci, insulti e proiettili.
Gavron inquadra l’episodio delle frustate in una cornice storica drammatica. Le svolte epocali del biennio 1947-1948, in campo cinematografico, sono state rappresentate con il giusto realismo dal regista israeliano Amos Gitai nel suo film Kedma (2002). La guerra in Europa si era conclusa con la sconfitta dell’Asse e gli Alleati si trovavano ad affrontare il problema morale del destino dei sopravvissuti, una questione inevitabilmente intrecciata con il nodo politicamente spinoso della nascente nazione ebraica. Le reti clandestine, coordinate dall’Haganah, organizzavano l’immigrazione illegale verso la Terra Promessa, forzando il blocco navale britannico. Formazioni dissidenti come l’Irgun, altrimenti detto Etzek, e la banda Stern sferravano campagne di guerriglia contro i soldati del Mandato rimasti in Palestina, odiati a tal punto, lo si evince anche dai dialoghi del romanzo, da essere equiparati ai criminali nazisti. Nel 1947 il governo del laburista Clement Attlee, pressato dagli americani e preoccupato dagli attacchi terroristici (l’anno prima il King David Hotel, quartiere amministrativo del Mandato, era stato fatto saltare in aria da una bomba piazzata dall’Irgun), decideva infine di svincolare la Gran Bretagna dalle sorti della Palestina.
“Quell’anno ci fu tantissima violenza. Inglesi uccisi. Ebrei morti. Bombardamenti, minacce, spari, rapine. Per alcuni degli inglesi più giovani che si erano persi le grande battaglie della Seconda Guerra Mondiale senza nemmeno aver avuto la possibilità di ammazzare qualche tedesco, quelle operazioni rappresentavano una sorta di risarcimento. Eventi meno ‘storici’, sicuramente, ma pure sempre azione: guerra, vita, morte e intrighi”.
A chi interessano i vecchi? Bar pone la domanda con tono insolente ad Eitan, quando questi lo coinvolge nel caso. Gli sviluppi dell’indagine smonteranno i suoi pregiudizi. Catturati con passione crescente dall’affaire dello scambio di cadavere e da tutto ciò che segue, i due incapperanno in molte versioni contrastanti degli avvenimenti. Gavron ci trasmette un messaggio: l’amore, afferrato nella sua totalità, compresa la componente carnale, è più importante, più potente, più resistente della verità. Nessuna barriera ideologica è in grado di sconfiggere il sentimento. E il sentimento è un fiume carsico che cerca sempre uno sbocco. Lo capisce bene il pugile-tassista-investigatore, conteso dal demone del desiderio. Tre donne, tre differenti tipologie di sensualità tentano Eitan: l’ex moglie, che pure ancora fisicamente lo cattura con la sua avvenenza, la madre di una compagna di classe della figlia, che non lesina parole e lo invita a sorvolare sul suo status di donna sposata, infine Noga (coincidenza, lo stesso nome di sua figlia), nipote ventitreenne di Lotte, per la quale il nostro eroe prende una tragicomica sbandata degna di un film di Woody Allen. Eitan avverte la vitalità di Lotte e parteggia per lei, a differenza di Bar, sedotto dai bruschi atteggiamenti di Wilshere.
“Era la cosa più naturale e limpida del mondo. Eravamo le stesse persone. Se ci amavamo a diciassette anni, perché non farlo ora? Eravamo di nuovo come dei bambini. Ingenui, innamorati, due persone che dopo tutto il lungo giro della vita hanno capito che insieme si sentono a casa. Lo sentivamo nel profondo delle nostre vecchie ossa…”
Assaf Gavron nei precedenti romanzi aveva setacciato i temi caldi dell’attualità israeliana e palestinese, dal “far west” (una sua definizione) degli insediamenti in Cisgiordania all’impoverimento delle risorse causato dal cambiamento climatico. Gavron non fa mistero delle sue posizioni di sinistra, tuttavia per lui la missione dello scrittore è recepire gli eventi e quindi renderli da un punto di vista letterario anziché politico. «Se scrivo di un attentatore palestinese, cerco di comprenderlo come persona e se scrivo di un colono cerco di comprenderlo in quanto essere umano». Ne Le diciotto frustate dimensione pubblica e dimensione privata si bilanciano. Immigrati clandestini, kebabbarie, centri commerciali, organizzazioni ortodosse… i tentacoli del passato si allungano su una Tel Aviv allo stesso tempo caotica, tradizionalista e ipermoderna. Un città che è il controcanto urbano e sociale delle confessioni intime di Eitan, uomo sensibile e irrisolto.
“Cosa voglio? Mi chiesi di nuovo. Lei, mi risposi. Volevo lei, ma come si fa a non volerla una ragazza così? E quel pensiero mi fece capire una cosa: non mi innamoravo da molto, troppo tempo, e questo mi mancava. Lo cercavo. Lo desideravo. Come in Lotte ed Eddie, l’amore era rimasto annidato dentro di me a lungo, sopito in un angolo del cuore e ora si stava risvegliando… Come aveva detto Lotte, i momenti in cui l’amore brilla sono quelli per cui viviamo”.