I giusti, di Jan Brokken
Di Anita Mancia
“Agisci se te lo chiedono, ripeteva Jan Zwartendijk ai suoi cari. Non chiudere la porta, non voltarti dall’altra parte” Così leggiamo a pagina 604 di questo I giusti, di Jan Brokken.
L’ultimo libro dello scrittore e giornalista Jan Brokken esce in Italia per conto di Iperborea in questo strano 2020, due anni dopo l’edizione olandese del 2018, nell’eccellente traduzione di Claudia Cozzi. E’ un’opera che ha forza drammatica, dalla scrittura densa, intensa e appassionata che sono tutte qualità di un libro certamente da leggere.
I giusti racconta la vita e la storia d’Europa, di una sezione dell’Oriente Asiatico il Giappone e Shangai, fra il 1939 e il 1945, con estensione all’età attuale, che ne vede sviluppi e termine. Zwartendijk forse pur senza espressamente immaginarselo, organizzò un importante e vitale movimento migratorio di ebrei da uno dei paesi baltici, la Lituania, attraverso la Russia sovietica ed il Giappone, fino a Shangai, agli Stati Uniti, al Canada, all’Australia ed alla Nuova Zelanda, salvando 2139 persone, cui si devono aggiungere le loro famiglie, mediante l’apposizione di un visto sul passaporto che permetteva loro l’ingresso senza visto, alla colonia olandese di Curacao.
Come potè, e come arrivò a fare tutto questo un singolo uomo? In realtà la storia è piuttosto complessa, intervennero una rete di persone e certo anche la politica di Stalin e del Giappone verso gli Ebrei
Zwartendijk aveva accettato la nomina a console olandese a Kaunas propostagli durante una telefonata dall’ambasciatore (inviato perché era ambasciatore di un piccolo stato come l’Olanda) a Riga, De Decker. Era importante per lui non lasciare scoperto il consolato olandese a Kaunas, che fin lì era stato rappresentato dal filo-tedesco Tillmans. Per questo propose di affidare il consolato a Zwartendijk, che certo non era nazista. Chiudere il consolato avrebbe significato abbandonare la regione nelle mani della Russia sovietica e della Germania, che avevano firmato un patto di non aggressione ma si erano di fatto impossessate dei Paesi Baltici (la Russia) e della Polonia meridionale (la Germania). In questa situazione, dopo l’occupazione sovietica di Kaunas (15 giugno 1940) Zwartendijk si trova ad operare. Ascolta i profughi ebrei a Kaunas che si rivolgono al consolato per emigrare. Peppy Sternheim Lewin e Nathan Gutwirth sono i primi ebrei che si rivolgono al consolato per emigrare. Erano stati già aiutati da De Decker, che sul passaporto di Peppy Sternheim aveva scritto in francese il permesso di Riga ad accedere a Curacao ed ai possedimenti olandesi del sud e del nord America. Peppy ed Isaak Lewin si recano da Zwartendijk per chiedere che sul loro passaporto riporti la stessa dicitura che il governo lituano aveva emesso per i rifugiati polacchi. Zwartendijk accetta, ma sostituisce sui documenti di viaggio Riga con Kaunas e Nord e sud America con America. Sostituzioni fondamentali. Ovviamente non c’era sicurezza che l’URSS avrebbe acconsentito a far passare sul suo territorio degli ebrei in transito con la Transiberiana fino a Vladivostok. Lo stesso valeva per il Giappone. Ma l’URSS di Stalin aveva bisogno di denaro occidentale per costituire il suo esercito in funzione anti tedesca ed il Giappone, anche quello nazionalista, non avrebbe accettato mai l’antisemitismo come sua linea politica nei confronti degli ebrei. Valeva dunque la pena provare, almeno per scampare a morte certa nei campi di sterminio tedeschi.
Dopo varie discussioni fra loro i coniugi Lewin, considerati pro e contro, decisero di provare ed andarono al consolato giapponese a Kaunas. Il console Sugihara accettò di concedere il visto di transito per il Giappone (26 Luglio 1940). In questo modo cominciò tutta la storia. La notizia si sparse grazie a Nathan Guthwirth che chiese a De Decker di concedere un visto per il transito in Unione Sovietica tramite la Transiberiana ed il Giappone per circa 15-17 persone. De Decker rispose che non era necessario un visto per Curacao, ma bastava un permesso di residenza. De Decker concesse il suo benestare sapendo di poter contare sull’aiuto di Zwartendijk e del console Giapponese a Kaunas. Naturalmente ci fu il benestare all’operazione della Russia Sovietica. Altrimenti, non fosse stato per il suo opportunismo, nessuno sarebbe arrivato in Giappone (su questo aspetto si vedano le pagine su Dekanozov in Unione Sovietica alle pagine 231 e sgg del libro).
Per tutto il luglio ed agosto del 1940 sia Zwartendijk che Sugihara concederanno visti per Curacao e per l’America ai cittadini in maggioranza polacchi o lituani di orgine ebraica che lo richiederanno. La narrazione del lavoro di Zwartendijk acquista un forte tono drammatico: “Zwartendijk compilava i visti con la penna stilografica, uno dopo l’altro senza interruzioni, senza staccare lo sguardo dalla carta né fermarsi per un istante. Dovette smettere quando la sua mano non ce la fece più. A quel punto ordinò un timbro con il testo in francese. L’inchiostro era verde, l’unico tampone che riuscì a trovare. Con il timbro faceva molto più in fretta, ma doveva comunque scrivere a mano il nome del richiedente, la data, e la firma Zwartendijk non si poteva semplificare in uno scarabocchio. Non tralasciò mai, in nessun documento il puntino sulla i e sulla j.” 149-150.
Brokken racconta tutta la storia della famiglia Zwartendijk, la storia dei profughi e le vite degli altri diplomatici che resero possibile tutta l’ampia operazione migratoria. da De Decker inviato a Riga, a Sugihara console del Giappone a Kaunas, ad Aadrian Mattheus de Jong console generale a Stoccolma (286 e sgg), al console giapponese di Cita, che rimane purtroppo senza nome nel libro (292), al console olandese a Kobe (Giappone) Nicolaas de Voogd (335 e sgg), al conte Tadeusz Ludwik Romer e sua moglie Zofia, ambasciatore polacco a Tokyo (371). La capacità storica di Brokken è di seguire tante piccole sezioni e della storia dei consolati e delle ambasciate olandesi e giapponesi fra 1940 e 1945, e di incanalarle nel più grande alveo della storia d’Europa e dell’Asia orientale, del Giappone e di Shangai, sul sostrato ebraico del tempo. Quest’ultimo viene messo in luce ed esaminato con grande cura e partecipazione. Ci sono gli ambasciatori e gli inviati che aiutano, i futuri giusti che ho menzionati, ma ci sono soprattutto i perseguitati, le cui storie personali sono seguite dall’autore con grande scrupolo.
Una delle ragioni per cui Brokken ha scritto il suo denso libro di storia, è certamente quella di dare il merito dovuto del titolo di giusto fra le nazioni a Jan Zwartendijk. Questo titolo tardò ad essergli riconosciuto. Nel 1963 quando era ancora in vita, il governo olandese lo redarguì per non avere seguito le norme dell’ambasciata, con una critica che gli sembrò inverosimile, e più tardi fu solo venti anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1977, che lo Yam Vashed dietro insistenza del rabbino Ronald Gray, gli riconobbe questo titolo a Gerusalemme.
Il libro si chiude con una visita alla tomba di Zwartendijk, visita che è anche riconoscimento degli ebrei a colui che ha contribuito a salvarli, e con una presentazione delle fonti di cui si è servito. Questa è estremamente umana e calorosa. Contiene anche una notizia importante per gli studiosi dell’opera di Brokken, che certamente ci saranno. A Vilnius, nel viaggio del 2007 in cerca di storie per il suo libro Anime Baltiche, venne a conoscenza di Zwartendijk grazie al docente di yiddish all’università di Vilnius, il professor Dovid Katz. Come conseguenza di ciò studiò la possibilità di includere la storia di Zwartendijk nel suo libro: << ma Zwartendijk era cresciuto a Rotterdam e aveva vissuto in Lituania solo per tre anni, non potevo fare di lui un’anima baltica>> 606.
All’apparenza questo sembra un libro che si aggiunge ai tanti sulla storia degli ebrei e delle loro migrazioni durante il tragico XXesimo secolo. In realtà è una storia di come essere sensibili e aperti, anche quando molti fattori e ragioni politiche consiglierebbero il contrario ed anche i capi di governi (quello olandese nella fattispecie) mostrano i loro limiti, ai problemi degli altri, delle minoranze, qualunque esse siano, ed agire, per quello che è possibile in loro aiuto. Anche quando l’aiuto sembra essere ed è un atto di fede nell’uomo. Che dovrebbe essere ed è prima di tutto, un atto di fede in Dio.
Saggistica
Iperborea
2020
636 p., brossura