Jacob Rohault e il trionfo della scienza
Di Umberto Parisi
Anno 1658: il filosofo e scienziato francese Jacob Rohault giunge a Venezia da Parigi per pubblicare in Italia il suo Tractatus Phisicus, già edito, alcuni anni prima, in Inghilterra. Qui, a Venezia, incontrerà stampatori e personaggi dell’aristocrazia locale interessati a conoscere la sua opera e il suo pensiero, in un clima ambiguo, che alterna formale rispetto e interesse per l’ospite al sospetto per il pensiero e la pratica scientifica di un intellettuale umanista di formazione galileiana e cartesiana. Ma a Venezia Jacob vivrà anche, suo malgrado, una storia d’amore anch’essa ambigua e contradditoria. Questa, in sintesi, la trama del romanzo di Paolo Massimo Rossi.
Partendo da queste brevi note, l’opera potrebbe essere recepita come un romanzo di mero intrattenimento: in realtà è un’opera complessa, romanzo filosofico, storico e psicologico al tempo stesso. La vicenda sottointende un dramma che si inquadra nel contesto storico dell’Europa cattolica e controriformista: Jacob è uno scienziato che si occupa dei principi della fisica, delle leggi delle acque, delle teorie di Copernico, della terra, dell’aria, del movimento dei corpi celesti. E’un filosofo ‘moderno’ che, formatosi al Collegio gesuitico di La Flèche, ha poi studiato Galileo, approdando alle nuove teorie e alle nuove metodologie che la nuova scienza affermava: ‘Vi prego, signora, mi fate torto attribuendomi la nomea di nemico degli antichi. Non-lo sono … ritengo che non sia giusto pensare che essi furono in errore; piuttosto credo che il loro atteggiamento verso la verità sia stato, semplicemente, la base per un nuovo inizio, per un nuovo modo di filosofare. Io sono nemico di chi crede che le teorie degli antichi siano immodificabili……di coloro che le considerano come vere o false in assoluto. Molti cattivi moderni lo pensano, per paura della scienza, per gelosia o per difendere i loro interessi……..’.
Ma Jacob, come Galileo, sa che la battaglia per il trionfo della nuova scienza la si potrà vincere solo attraverso la divulgazione, con lo scopo di guadagnarsi il sostegno vitale di quella che, di lì a qualche decennio, a cominciare dall’Età dei Lumi, sarà chiamata opinione pubblica costituita in gran parte da quella borghesia imprenditoriale interessata alla scienza e alle sue applicazioni.
Da qui, per Rohault, la scelta di Venezia per pubblicare il suo Tractatus in Italia. Perché Venezia? Da un lato, perché la Serenissima era, fin dagli albori della rivoluzione di Gutemberg, la capitale della tipografia italiani, dall’altro con la speranza di vedere il libro negli scaffali delle principal biblioteche italiane.
Jacob, tuttavia, non ama Venezia: la calura estiva, l’umidità, i miasmi che salgono dai canali limacciosi la rendono un luogo quasi ostile, così come ostile o, perlomeno, ambiguo è l’atteggiamento dei suoi ospiti, a cominciare dalla nobildonna Laura Stellarin che, pure, l’incarica di educare alla scienza la giovanissima nipote Fulvia. Certo Venezia rimane una città affascinante, ma opprimente. Anche il declinare delle stagioni verso l’autunno e l’inverno non cambia la percezione di Jacob per quel luogo comunque unico. Egli torna invece spesso, con i suoi pensieri, alla sua città, a Parigi dove vive e dove ha vissuto la sua storia d’amore con Marie d’Égranal, sua moglie, donna per la quale prova ancora un amore profondo e sincero velato da un angosciante senso di colpa per la sua morte di parto. L’attaccamento del protagonista alla città si evidenzia nella puntigliosa attenzione con cui le vie, i quartieri, le piazze, i giardini, i palazzi della Parigi del Cinque-Seicento sono citati nella descrizione dei luoghi, quasi che la toponomastica fosse uno strumento per rafforzare il suo rapporto con la città che, a sua volta, si lega con la sua storia d’amore. Assolutamente preciso il dettaglio descrittivo con il quale l’autore, partendo da una conoscenza rigorosa e profonda dell’assetto cittadino di allora, ricostruisce un mondo e la sua fisionomia urbana.
Le relazioni sociali di Jacob durante il soggiorno veneziano sono delicate e sofferte: sa bene di muoversi in un ambiente dove la curiosità si intreccia alla diffidenza, dove il formalismo può nascondere insidie e tradimenti. L’autore è attentissimo nel sottolineare la complessità di questi rapporti attraverso la costruzione di dialoghi che riprendono l’eleganza, la grazia, l’espressività ma anche l’ipocrisia della conversazione così come doveva svolgersi presso i salotti della nobiltà del Seicento, la stessa cura e precisione che, peraltro, troviamo nelle lunghe e minuziose sequenze descrittive spesso specchio degli stati d’animo del protagonista.
E poi l’amore: incaricato di educare alla nuova scienza la poco più che adolescente Fulvia, presto Jacob si trova a vivere con difficoltà il suo ruolo. Si parla di cuore, di sensi, di astri, ma Fulvia non è tanto interessata a scoprire le verità scientifiche relative a questi temi, quanto a trattarli alla luce della poesia, dell’arte, della musica, terreno sul quale anche Rohault, da buon umanista, si trova a suo agio. Fulvia dichiara poi il suo amore per il suo maestro, ma questi è diviso fra l’attrazione che prova per la fanciulla, un’attrazione fisica ma anche intellettuale per l’intelligenza e la vivacità che lei manifesta, il suo ruolo di insegnante e, soprattutto, il legame ancora fortissimo che pure lo lega ancora alla moglie perduta. Sottile l’erotismo che l’autore sa evocare nello sviluppo dei dialoghi. L’ambiguità dei rapporti però si rivela anche qui: sarà il patrizio Flabiano, frequentatore del salotto della Stellarin e costante interlocutore di Rohault, a insinuargli il dubbio di essere stato strumento involontario di un intreccio amoroso che coinvolge la stessa Fulvia, la nobile Stellarin, sua zia, e un nobile amante di entrambe. Ancora una volta la complessità del reale e l’ambiguità delle relazioni.
Il difficile soggiorno veneziano di Rohault è forse lenito dalla compagnia di Camillo, il suo servo e vetturino: un uomo del popolo intelligente e discreto che sa riconoscere gli stati d’animo del suo padrone, che sa percepire i suoi turbamenti, che vorrebbe aiutarlo a realizzare i suoi desideri o ciò che lui presume tali. Un rapporto sincero e quasi di amicizia, pur nella distinzione, sempre evidente, dei ruoli sociali. Anche in questo caso, l’autore sa riprendere con abilità un topos letterario fra i più antichi, che sembra richiamare, sotto il profilo filosofico, l’hegeliana dialettica servo- padrone.
Narrativa
CTL
2019
248 p., brossura