Maria Rosaria D’Acierno. Saggistica e fiabe
Di Franco Blaas
Parlare di “ Summa” del pensiero di Maria Rosaria D’Acierno alla luce di una attenta esplorazione dei suoi saggi e delle fiabe da lei create è, forse, eccessivo. Ma è, nel contempo, sicuramente riduttivo, perché il suo mi pare, piuttosto, un percorso filosofico-antropologico-sociale in continua evoluzione e, quasi certamente, proiettato in un futuro fecondo per Lei e per chi legge. Di sicuro vi è che, attraverso i suoi scritti ci venga data la opportunità, non solo di crescere culturalmente ed umanamente, ma di aprirci mentalmente a 360°. Maria Rosaria D’Acierno infatti, ci dimostra che, oltre alla dedizione profonda agli studi filosofico-antropologici, si è “donata” ad entrare empaticamente, anche mediante l’apprendimento della lingua, in sintonia coi popoli di lingua anglosassone, ma, in modo particolare, con i popoli “Mediterranei”. Cosa assai difficile quest’ultima, soprattutto nel tempo presente, date le diaspore determinatedal frapporre tra le genti mare e muri. Lei non ha solo imparato la lingua araba e l’Urdu, ma è entrata, condivide, importa “la loro Anima “, collegandola al mondo occidentale, creando un “ponte“ che in tantissimi auspicano, nel nome dell’interscambio culturale e della accoglienza. Partendo da questo “assioma” consideriamo il percorso, da noi sinora conosciuto, fatto dalla Professoressa. E’ nel Febbraio del 2019 che Maria Rosaria D’Acierno scrive un saggio sulla mancata applicazione, a cinquanta anni dalla promulgazione, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il suo lavoro, ispirato dichiaratamente dai concetti filosofico-antropologici di Sergio Piro e Aldo Masullo, parte dalla elencazione di alcuni punti dei Diritti, in particolare gli articoli 3 (vita, libertà, sicurezza)-Art.4 (No alla schiavitù)-Art.13 (diritto di emigrazione e scelta della destinazione), si apre poi ad una attenzione particolare verso i più deboli: i bambini e Civili disarmati, citando il piccolo annegato Alan Kurdi, la cui foto ha impressionato tutto il mondo, il piccolo Zackaria, siriano sgozzato con un vetro, ed in fine il giornalista curdo – iraniano Behrouz Bookavi, detenuto su un’isola australiana alla stregua di un delinquente. Non si ferma la D’Acierno ad una formale elencazione di articoli e di morti innocenti, ma si chiede: ”Perché? ”Da qui il suo Saggio acquista il valore di un Trattato di Filosofia morale ed Antropologia trasformazionale, come compendio di conoscenze da lei colte anche nel pensiero dei due Grandi Maestri Piro e Masullo. Alla base di tutto vi è un mondo senza pietà, fatto di individui senza empatia, egoisti. Cito : “Un mondo nel quale si va di corsa, non ci si sofferma più su niente; un mondo nel quale non si pensa, non si riflette, tutto viene dimenticato in fretta, e, soprattutto, un mondo privo di curiosità intellettiva. La conoscenza dovrebbe, infatti, non solo arricchirci mentalmente, ma, soprattutto, renderci più umani, nel senso che dovrebbe scolpire i nostri cuori ed aprirli alla comprensione degli altri, dovrebbe far emergere un mondo che è complice nel bene, un mondo dove si scopre, per dirla con Aldo Masullo, ‘l’intimità,’ o per dirla con Sergio Piro un insieme di ‘compresenze sinteliche’; una unione, che diventa simbiosi non solo con l’altro, ma con se stessi. Una comunione che ci unisce nella complicità; una complicità che si perpetua di essere in essere per farci associare in un unico grande abbraccio sotto gli stessi diritti”. L’autrice è riuscita, in poche righe, a condensare ed esplicare le cognizioni di base su cui si poggia il pensiero, quasi sinergico, pur differenziato dal diverso approccio, del grande filosofo Masullo, con la sua Filosofia morale e del grande Psichiatra, padre della Antropologia trasformazionale, Sergio Piro. Il percorso saggistico si arricchisce, nell’ Aprile 2019 con: ” Viva l’Europa”, mirabile esempio di analisi e sintesi, che parte dal sistema di produzione e di scambio di prodotti agricoli ed industriali vigente in Italia, in Europa e nel mondo, valutandone i pro ed i contro, spezzando una “giusta” lancia contro il protezionismo ed auspicando, forse, al momento attuale, un po’ utopisticamente, un libero scambio di persone e “cose”, unica arma per uno stimolo delle capacità dei singoli e della Società per un progresso globale. A questo Saggio si ricollega, idealmente, un altro, prodotto dalla Prof. D’Acierno nello stesso mese: “Letteratura femminista orientale”. L’Autrice inizia la sua disamina dalla giornata internazionale per commemorare la violenza sulle donne e i loro diritti: il 25 novembre, giornata in cui si intende dare sostegno morale ma anche materiale alle vittime di violenza, le quali, molto spesso, o per paura o per pudore non denunciano coloro che le abusano con arroganza e prepotenza. Poi, la scrittrice focalizza dal generale al particolare, dal mondo intero a quello mediorientale. In questo ambito, partendo dalla figura del Premio Nobel per la Pace del 2003: Shirin Ebadi, passa in rassegna una moltitudine di scrittrici, di varia nazionalità, ma, comunque, tutte segnate nell’anima da una perversa interpretazione della religione mussulmana. Tutte queste scrittrici sono più conosciute all’estero dei colleghi maschi, perché, pur nel dolore dell’esilio, hanno saputo far emergere i sentimenti contrastanti che coinvolgono la maggior parte degli emigranti. Queste donne, infatti, perfettamente coscienti dei pericoli in cui incorrono, abbandonano le loro patrie, perché si sentono tradite nei loro ideali, ma al contempo si sentono traditrici, perché non riescono più a condividere le sofferenze dei rispettivi connazionali. Le Donne, appunto, toccando anche vette di purissima poesia nella descrizione nostalgica di ciò che hanno lasciato, riescono a dimostrare che non è la strada giusta quella della discriminazione tribale, razziale, religiosa, di genere. Per superare la malinconia del suo esilio Shirin Ebadi si rifugia nei versi di quel grande poeta che è Rumi, versi che recita in persiano: ‘’La tristezza per me è il tempo più felice …”. Il conoscere, in questi tempi di grande immigrazione, le storie raccontate da queste donne coraggiose dovrebbe favorire il sentimento della accoglienza e, conclude la nostra Scrittrice: “Il plurilinguismo e il pluriculturalismo, che potrebbero abbattere quell’eurocentrismo scaturito dal relativismo culturale, sono solo uno dei risvolti positivi legati al flusso migratorio del nostro secolo; potrebbero rappresentare la scoperta dello sconosciuto, del negato, scoperta raggiunta attraverso gli infiniti spazi propri della libertà che offre la parola”. Anche questa, secondo me è interpretazione poetica della realtà dolorosa di cui la D’Acierno si fa compartecipe, ne assume appieno l’amaro, pur proponendo una soluzione realistica e con un tono di speranza. Maria Rosaria D’Acierno è solo studiosa di lingue, filosofia, antropologia? Non è solo questo! E’ tutto questo e molto di più, perché il suo sapere, ma forse sarebbe meglio dire il suo addentrarsi spiritualmente in tanti altri ambiti, compresa la musica, la pittura e la psicologia, aiuta ad avere una visione globale dell’essere umano, pur partendo quasi sempre dal mondo che “sente più suo”: quello “mediterraneo”. Per aiutarci a comprendere meglio la empatia che Maria Rosaria D’Acierno sviluppa per chi è “costretto” a sentirsi un estraneo anche entro il proprio corpo ed ovunque vada e viva, puntualissima è la prefazione di Francesco Piro, figlio e mentore di Sergio. Egli inizia la sua prefazione commentando un libro edito già nel 2012 dalla D’Acierno: Music and Medicine from East to West: Ibn Sīnā – Sergio Piro. Qui viene presa in considerazione la funzione psicologica e, più specificamente, terapeutica della musica – confrontando due stili teorici nei quali questo problema è esplicitamente considerato e valorizzato, quello del grande Ibn Sīnā (tra i Latini, noto come Avicenna) e quello appunto dell’antropologia trasformazionale di Sergio Piro. Avicenna, in particolare, da considerarsi filosofo, ma anche medico, troppo trascurato già nel mondo medioevale, ma anche nel periodo della cultura greca, introduce, nelle opere di filosofia naturale, in particolare nel celebre Liber sextus de naturalibus sive de anima, problemi come la natura della profezia, i poteri dell’immaginazione sul corpo, le emozioni, il piacere estetico. Il che lo renderà qualcosa di più “compiuto” di un medico del periodo illuministico, quando, in ogni campo, si dava per vero solo ciò che era riscontrabile logicamente. Avicenna, invece, allargando e sviluppando idee di un filosofo di matrice aristotelica, rende lecita la comparazione con gli psicologi contemporanei come appunto Sergio Piro, che della trasformazione della psicologia in antropologia “trasformazionale” è stato il teorico per eccellenza. D’Acierno coglie appieno questa similitudine tra due mondi cosi distanti nel tempo, considerando la relazione Musica-Medicina parla già di medicina psicosomatica, di effetti placebo. Elementi peraltro ormai generalmente accettati dal mondo scientifico. Questo conferma Francesco Piro a sostegno ed esplicazione del pensiero di D’Acierno: “: la volontà di non racchiudersi nelle confortanti barriere disciplinari, un certo gusto per l’ibridazione tra teorie”. Ibridazione anche concettuale, dato che nel libro, di recente pubblicato: “Zanzibar and Germany in Sayyida Salmé, D’Acierno non si misura con una teoria scientifica, ma con un’opera di natura letteraria, vale a dire con l’autobiografia composta in tedesco da Sayyida Salmé (1844-1924), principessa di Oman e Zanzibar, trasferitasi in Germania dopo il matrimonio con un addetto d’ambasciata tedesco. In questa autobiografia cogliamo la capacità di Sayyda Salmé di accettare in sé due identità: la originaria araba e la subentrata tedesca. Accettando questo approccio, si badi bene: non compromesso, plurilinguistico, pluriculturale, con la mediazione di Maria Rosaria D’Acierno, noi riusciamo a capire come la interculturalità, la condivisione possano essere le sole strade per una pace interiore. Così la nostra autrice ci ha portato dal rapporto tra musica e medicina alla comprensione della nostra possibilità di convivere con un io doppio che si amalgama in “un uno”, una “coralitàdi sfondo presente nella elaborazione della propria identità (il “magma trasformazionale” citando ancora Sergio Piro)”. Significativo che l’ultimo saggio, per ora, della D’Acierno riguardi uno scampolo di storia degli inizi novecento e prenda in considerazione luoghi non esattamente “mediterranei”, ma comunque facenti parte di un territorio complesso come quello mediorientale, in cui il territorio a nord della Turchia dovrebbe essere un ponte tra Asia ed Europa. Ponte su cui oggi si ergono “muraglie” !! . Il Saggio”Il Genocidio dimenticato: I Greci del Ponto”, scritto assieme a Lucia Guadagno, ricercatore di lingua e letteratura inglese all’Università Orientale di Napoli, al mese in corso. All’eccidio degli Armeni e dei Greci del Ponto, citati in modo più completo, vanno aggiunte anche piccole minoranze di Assiri, così che, nell’insieme, tali genocidi costarono la vita a circa tre milioni di persone negli anni a ridosso del primo conflitto mondiale sino al 1923 circa. Ma, al di là delle accurate descrizioni storiche su questi stermini, peraltro negati dai Turchi, colpisce la riflessione sull’Amore. Quel sentimento che ci dovrebbe accomunare a Dio, di qualsivoglia Dio si parli, ma che, in fondo è un misto di altruismo ed egoismo. Lascia una domanda apparentemente aperta nell’ultimo capoverso: vi è già però insita una risposta, forse condizionata da quel “mito identitario” tanto temuto anche da Sergio Piro. Il nostro “viaggio sentimentale” nello spirito di Maria Rosaria d’Acierno, che è veramente Spirito Ecumenico, non può prescindere dalle sue FIABE. Le fiabe di D’Acierno si intrecciano temporalmente con la sua saggistica, ma divengono numericamente prevalenti nell’ultimo periodo, quasi l’Autrice volesse dare le ali allo spirito che anima i Saggi. La distinzione semantica tra favole e fiabe, nella D’Acierno non ha motivo di esistere, soprattutto perché le sue composizioni hanno un grande valore aggiunto: le Prefazioni ad ogni singola fiaba. Nelle prefazioni troviamo richiami storici, letterari, logistici che ci fanno capire a fondo il significato morale del racconto stesso, per cui non vi è la morale sottintesa, tipica della fiaba, e gli attori sono animali,come nella favola. Affascinante che, sia nella prefazione, sia nella fiaba stessa, vengano riportati i nomi degli animali e delle cose anche in lingua araba: come se l’Autrice ci permettesse di volare con lei alla scoperta e condivisione di un mondo così vicino, seppur tanto distante, facendoci carico delle difficoltà, dei dolori, ma anche delle gioie di questi nostri “ fratelli”. La fiaba: “Le Rondini migranti” : “E’ Pasqua, la gioia della resurrezione, dell’amicizia, della famiglia che si riunisce e della buona compagnia. E’ l’alba, chiara e argentea, i tenui raggi della luna diffondono una pace serena mentre si confondono con l’oro velato del sole che sta per sorgere. Uno stormo di rondini leggere, dono di Afroditesvolazza nel cielo terso dopo la tempesta della morte, e inizia un lungo viaggio per diffondere l’amore, la resurrezione di Osiride dopo il pianto di Iside; il pianto illuminato dalla stella Sirio (Soped), una stella che torna a brillare dopo 70 giorni di assenza dal cielo. Questa bellissima stella segna la rinascita della piena del Nilo che con le sue acque renderà fertile la terra egiziana.” Siamo già lì, assieme a D’Acierno: tempo, luogo, personaggi, visione del cielo e del fiume ci anticipano la poesia con cui sono descritti gli animali che si preparano ad accogliere le rondini, alla fine del lungo viaggio. Ogni essere (noi umani compresi, si intuisce nel desiderio di chi narra), si dà da fare, secondo le sue possibilità, per rendere più confortevole l’arrivo. Accoglienza, fraternità, gioia. Tutto portato in “poesia”. Ed alla fine il miracolo della nascita, della rinascita per molti. Questo è il messaggio finale di speranza che ci arriva. La fiaba di Anubi- Il dio sciacallo, del dicembre 2019, ci induce a valutare altri tre elementi fondamentali: “Rispetto per la natura, per gli anziani, qui rappresentati dall’albero secolare, e per tutto ciò che ci circonda. I piccoli non devono mai evadere la sorveglianza dei genitori, i quali sono sempre pronti a proteggerli. Ma c’è ancora un altro messaggio altrettanto importante, vale a dire quello riferito al fatto che spesso indossiamo una maschera che ci impedisce di farci agire spontaneamente, solo perché siamo condizionati da stereotipi che intralciano i nostri sentimenti; stereotipi che ci costruiscono addosso una corazza che ispessisce anche il nostro cuore”. La introduzione ci fa esplorare il mondo delle religioni, il loro formarsi, il loro perché. E, soprattutto ci porta a considerare il mondo della diversità, per superarne il concetto e, conseguentemente, dar vita all’accoglienza. Continua l’ Autrice: “Inoltre, anche in questa fiaba seguo il modello dettatomi dalle fiabe contenute nel Panchatantra scritto in sanscrito da VIøNU ŠARMA (about AD 570), allo scopo di risvegliare le menti dei giovani seguendo i dettami suggeriti dal n†ti (la saggezza della vita quotidiana). Il mondo degli animali offre più di altri l’occasione per perseguire questo intento. Qui lo sciacallo, forse il più orripilante degli animali, è usato come metafora per indicare colui che è diverso, e che, quindi, suscita un sentimento di repulsione solo perché non lo conosciamo, e ci facciamo suggestionare dalla sua apparenza sgradevole”. La fiaba, che rende manifesti questi sentimenti, ci porta in un mondo giocoso, quello dei bimbi e delle famigliole, per farci poi intravvedere il mondo del pericolo, dell’ansia, del buio, rappresentato dal bosco in cui i bambini si perdono per sfuggire ad un ‘diverso’. Sarà il riconoscimento, rappresentato dal getto simbolico della “maschera” che porta alla felicità universale. Per ultima, ma non certo per importanza viene la fiaba: Le dee sirene: Athargathis e Partenope.
L’immagine di copertina è Star catcher di Duy Huynh