Per la lingua: oggi – poesia…?
Di Vladimir D’Amora
1. La lingua poetica del novecento, tra Rilke e Koelderlin, l’estremo Hoelderlin ossia il pubblicato solo agli inizi di un secolo, e tra Campana e Montale, tra Rosselli e Caproni – che cos’è?
1a. La lingua poetica è la poesia stessa: ogni notazione contenutistica è immediatamente formale, ogni voler dire un dire, anzi, un aver detto, e ogni suono e ritmo e rumore: un senso e una destinazione significante: ogni apparenza, una essenza… – ma, come?
1b. Le amate, le l’aure piene di un vuoto: le annine da choc gioioso: le beatrici morte a-per-donare amore: e le basche da ragionare – il versificatore, in Europa, la poeta: è desiderio e insoddisfazione, copula e appagamento – presso la lingua stessa: nella lingua che viene ora: essa nel secolo: cacciata – ora in una denudata liquidazione…
1c. … in quel luogo impervio e persino ingombrantemente perspicuo, e proprio perché attraversato spesso come se ad attraversarsi fosse l’attraversamento stesso: come se, laddove la storia e la vita reclamino ascolto e presa di parola (più o meno cosciente… – la testimonianza…): nel novecento in quel luogo preciso le filosofie avessero smesso di far intelletto e invece voluto inaugurare pensiero…: qui aggiungere: oggi aggiungere: la poesia, come torso spettrale tra il biostorico e il pensamento, ossia quella terzietà di limen, che sia in cammino verso il linguaggio o verso l’essere…?
1d. o: di più: oggi la poesia è questo come ne fosse, di una soglia bio-stori-ficante: la s-chiusura interrogativa? è ancora il potersi domandare di una soglia: la poesia oggi? La poesia come testimonianza che possa salutare anche la fine della lingua, e di una vita: e di una vita della lingua stessa: e non solo archivio che raccolga anche degli stracciati l’infamia – ancora il coappartenersi, sempre in flagranza di smentita, nel novecento, e oggi: di armonia aspra e di armonia dolce…: di spinta asintattica, e asemantica persino, in una paratassi anche minimalissima – un inno s-morto -, e di insistenza ipotattica e allusiva anche gravosa e gravata e gravante – elegia pensata…?
2. Morto dio, e questo anche come se da dio si venisse e si sia venuti solo e soltanto proprio nel novecento – cacciata la lingua, e scacciata dalla poesia e dal pensiero anche proprio laddove e quando si sono ripetuti e travestiti assai assurdi linguistic turn – ecco che la poesia – almeno fino a Rosselli e De Signoribus e poco oltre e poco distante… – si è contenuta in una mescidazione di innicità – il nome: l’isolamento: il bianco della pagina… – e di elegiacità – il discorso, il pezzo di senso e dei sensi: le vigne testuali… ma: come si è fatta: come ancora si fa: tale mix: una poesia?
2b. Questo ibrido innico-elegiaco…
2c. Rilke come inni (l’angelo… che porta il messaggio e se ne va…) – prima, persino prima che giunga il professore universitario, a intavolare visualizzazioni e obbiettivazioni e mercificazioni (sempre inaugurate da un Ma di contestazione e riserva) del medio: della atopia, del tramezzo ermeneutico: la croce maledetta dell’interpretazione…!! – traveste delle elegie – se Hoelderlin traveste da elegie degli inni – il semi-dio, se dio è morto…
2d. Dalla morte di dio, da dio morto, dalle chiese ancora-e-sempre aperte a custodire e salvaguardare quel feticcio, e/o simulacro, che è (stato) il puzzo del divo cadavere…: da dio infinitamente indefinitamente morto – viene la lingua di torso delle poesie – di tutte! – del novecento: da Penna a Celan, da Cavalli a Nappo, da Mandel’štam a Rebora, da Frasca a Stevens…!
2e. DA SPETTRO: da lingua morta: dal latino delle traduzioni, o dal grecoantico, dalla vita offesa: la filologia di lager, dal dialetto… – A SPETTRO: non c’è torso poetico novecentesco che non sia, e non voglia essere, una illusione orfica… una riattivazione, data la tecnica imperante, di certa mantica…
2f. Dal novecento si eredita, e sopravvive, per la poesia, e NELLA poesia, solo una duplice impossibilità: se inno ed elegia (da Omero e da Saffo: da Catullo e da Sinesio…) devono, come è stato, sempre coappartenersi, ossia cogliersi nel mettersi insieme (sim-bolo) della loro confusione reciproca e corruzione corrosione e collusione – allora: chi ha detto (inno) il lamento (elegia), si è tenuto lontano – per poter essere detto ascoltato cantato e letto riconosciuto e pagato come – come poeta – dalla CHIACCHIERA – chi ha lamentato, accusato (elegia) il dire (inno), per potersi ri-valere, ha rischiato il SILENZIO.
2g. SILENZIO e CHIACCHIERA – l’unico STELLEGGIARSI di cui facciamo ancora ESPERIENZA… e: le stelle stanno in CIELO ancora, esperienza passa per le FOGNE… e: il MEDIO, che le interrompe e provoca a FUORIUSCIRE: è SCHERMO… ma: lo schermo è GORGO: e medusa richiede e determina e esige: VITA. l’ALTRO.
2h. CHI ANCORA SI OSTINA A VIVERE POETANDO E A POETARE VIVENDO – e scrivere è scrivere anche romanzi, se si vuole… e/o vivere è vivere solo i lager ancora meta-fisicamente mappati sulle terre… – sappia, se vuole-dire-e-sapere – che tra chiacchiere e silenzi rischia di far perdere MEMORIA.
3. Cioè: la poesia fu, per più di un novecento: disgiungere storia e vita, da forma e arte: una immagine, cioè: fu scissa da un’altra immagine… – oggi: ricostituire – à la Kafka: à la Benjamin… – di ogni singolo angelo: di ogni singolo istrice-poiema: la sua ministerialità e la sua inoperosità: la sua gloria: l’autonoma apparenza, e la sua economicità mediale: la sua vita senza vesti: senza pieghe neppure in-visibili: oggi ricostituire questa complicità angelico-poetica: la poesia oggi come inapparentemente-impegnata da un oggi… – è provarsi a fare immagine di una ricostituita possibilità di autonomia della poesia: laddove poesie si scrivano come se non si scrivessero: qui: oggi: le poesie sono la loro flagranza stessa… oggi: la lingua: è essa, invero, a patire registrare reificare – ancora – questa inavvertita e non immaginata oggi: situazione im-poetica di ogni opera e di ogni vita.
L’immagine di copertina è La visione di Tondal di Hieronymus Bosch (foto da MeisterDrucke.it)