Vorrei soffermarmi, per questo scritto, sulla figura di un artista che considero un po’ come il mio maestro spirituale : Nicolaes van Verendael (Anversa 1640-1691). Questo artista è vissuto sempre ad Anversa e si è occupato quasi esclusivamente della pittura di fiori. Figlio d’arte, riceve con ogni probabilità dal padre Guillame i primi insegnamenti.
La pittura di fiori era nata, come genere, a partire da dettagli di scene religiose e dal verso di pannelli di trittici : gigli, rose ed iris che traducevano in immagini la purezza, l’amore e il messaggio ricevuto dalla Vergine ; violette che parlavano della sua umiltà ; l’ancolia che per allitterazione evocava la melancolia della Vergine nella coscienza dell’amaro destino del suo Figlio…
Nella società del nascente commercio, delle prime borse, del gusto degli oggetti esotici e delle prime collezioni che erano già delle Wunderkammer, i dipinti della prima generazione di pittori di fiori ce li presentano su uno sfondo culturale che è quello di una meditazione sul simbolismo e sulla lotta bene/male, sul trascorrere del tempo, sulla vanitas in senso lato, ma anche sulle collezioni di conchiglie esotiche e sulla tulipomania : perchè la vanità ha due facce, da un lato è l’aspetto di chi è completamente involto, partecipe della vanità ; dall’altro è soggetto di meditazione, presa di distanza, consapevolezza rispetto alle forme del mondo e ai suoi fenomeni culturali, economici e sociali.
Dopo la prima generazione di pittori di fiori, con la freschezza un po’ naïf di Ambrosius Bosschaert, Balthasar van der Ast, Osias Beert il Vecchio… e naturalmente Jan Brueghel dei Velluti che formerà quello che sarà un punto di riferimento ineliminabile per le generazioni seguenti, il grande Daniel Seghers, col suo stile pulito e ormai pienamente naturalistico nel quale, ormai senza più alcuna ingenuità, i fiori nel loro candore e nella loro spontaneità s’offrono nei vasi di cristallo, s’intrecciano a formare ghirlande ; Seghers è un gesuita e vi è forse qualcosa, nel suo linguaggio e nella sua ricerca, che vuol parlarci della purezza perduta della creazione e di una speranza di redenzione.
Quando Van Verendael si affaccia sulla scena artistica, da un lato i linguaggi e i riferimenti sono già formati e dall’altro la concorrenza è fortissima. Jan Davidsz de Heem (1606-1684) è uno dei giganti del secolo, si è formato con Van der Ast, dipinge benissimo, rapidamente, e un po’ di tutto nell’ambito della natura morta, tavole imbandite, vanitas, e ovviamente fiori e frutta. De Heem è molto versatile, le sue composizioni sono esuberanti e perfette nel loro naturalismo, il suo linguaggio è elegante e sensuale, pienamente barocco e opulento. Le sue nature morte hanno qualcosa di sontuoso.
Van Verendael sa che deve formarsi un suo linguaggio e sa che la concorrenza è durissima. Conosce e studia sia Seghers e i pionieri che De Heem e ne subisce, entro certi limiti, l’influenza, come è giusto che sia. Sceglie, però, di formarsi una sua visione particolare entro la quale i fiori cresceranno e si svilupperanno, realizzando un piccolo miracolo, a mezzo tra la natura e la cultura.
Questo Maestro lavora sul modo di guardare il fiore, sulla visione del fiore, una visione che vuol restituirlo nella sua purezza, non al modo di Seghers ma come se potessimo essere interamente assorbiti nella purezza della visione del fiore ; manca la verve di De Heem, mancano le inflessioni schematiche e al limite del caricaturale che caratterizzano, ad esempio, tanta della produzione di Van Kessel, aspetto al quale per certi versi non sfugge nemmeno De Heem. Ogni immagine si basa su uno schematismo che riveste poi di accenti naturalistici per rendersi credibile e verosimile.
Nicolas lo sa e ha anche dipinto delle scene moralistiche di « singeries », ma rinuncia a questi elementi per caratterizzare la sua visione. Quello che vi si avvicina di più, come paragone, è l’attività di tagliatore di lenti che era propria di Spinoza e che caratterizza anche tutta un’epoca e un modo di pensare. Van Verendal non caricaturizza, non esalta, non magnifica : fa della descrizione un’arte, sembra che non facciamo che vedere, naturalmente, ma quello che è dato a vedere è il frutto di uno sforzo paziente e di una lenta, meditata costruzione interiore. Questa la sua scommessa, e il prezzo da pagare sarà una maggiore lentezza nel lavoro. Il Maestro lo accetta e cadenza il linguaggio nei bouquets mentre il linguaggio stesso conosce una sua modificazione naturale interna. Molto in esso è dovuto al gioco della luce sui petali, e man mano, fino all’ultima produzione, è come se i petali fossero sempre più sgualciti fino ad assomigliare a fiori di stoffa. Come le cose naturali, il linguaggio della pittura conosce un suo intimo decadimento che segna il tempo della sua evoluzione e della sua scomparsa.
Queste caratteristiche della sua personalità e della sua vicenda artistica hanno fatto sì che, pur senza essere mai davvero dimenticato, Van Verendael non sia mai assurto ad alti onori e sia stato certo lodato come eccellente pittore ma senza essere considerato degno di maggiore attenzione.
Eppure proprio le particolarità della sua visione lo rendono unico nel panorama – così ricco e variegato – della sua epoca : la purezza cristallina della sua visione, la sua compostezza, la sua rarefatta eleganza, non hanno eguali, oseremmo dire né prima, né dopo di lui.
Chiudiamo con due immagini, di una grande composizione col brano sublime di poesia della farfalla posata sulla rosa :
E di un’altra più piccola, eseguita su rame, un piccolo gioiello di abilità compositiva dove il collo alto del vaso non pone alcun problema, tanto tutto è sapientemente bilanciato :