Di Geraldine Meyer
Nami vive in un piccolo paese fatto di case che si affacciano su un’unica via chiamata Via dei pescatori. Boros è il nome del paese affacciato su un lago attorno a cui gira tutta la vita, reale e leggendaria. Un allevamento di storioni e una piccola fabbrica in cui si lavora il pesce. In lontananza le ombre scure di pozzi petroliferi che sembrano fare da contrasto all’unico chioschetto del paese in cui si vendono aringhe e semi di girasole. Nella piazza la statua dello Statista.
In questo scenario defilato cresce Nami, insieme ai nonni. Del padre non si sa nulla e della madre, il ragazzino, conserva l’indelebile ricordo di un’ombra rivestita da un costume da bagno e una voce che, in riva al lago, lo consola dal suo dolore allo stomaco. È un ricordo vago ma che prende, nell’animo del ragazzo, il posto del vuoto lasciato, mentre si addormenta sul ventre della nonna che gli racconta le storie dello Spirito del Lago e dell’Orda d’Oro i cui guerrieri aspettano di essere risvegliati da un altro guerriero. E mentre il lago si prende anche i nonni Nami comprende la durezza della vita, le ferite e le cicatrici di troppi strappi. Cresce lui mentre il lago si svuota sempre più. E in questo speculare procedere, lui parte alla ricerca di sua madre, tra incontri, dolori, fatiche e la “colpa” dell’essere chiamato figlio di puttana. Fono a un epilogo tanto bello quanto doloroso.
Il lago, di Bianca Bellova, tradotto in quindici lingue e vincitore di due importanti premi come il Premio Unione Europea per la Letteratura e il Premio Magnesia Litera, nella bellissima traduzione di Laura Angeloni, ci si presenta quasi come un libro a più livelli in cui, a quello della ricerca della verità da parte di Nami, si affianca quello simbolico ma anche quello di denuncia verso un sistema che sfrutta e uccide il lago il cui spirito sembra essere ridotto a fango e inquinamento e denuncia verso un potere politico assoluto e violento.
Ma è anche un libro in cui, alla conclusione, si inserisce l’accettazione delle vite altrui, la sospensione del giudizio, da parte di Nami, non tanto su chi fossero i suoi genitori ma sul perché abbiano fatto ciò che hanno fatto. Nami, nei momenti davvero importanti per il suo percorso, non è solo. E questo, credo, è uno dei motivi su cui mi sembra insistere la Bellova: la vecchia Dama che gli dirà che sua madre è viva e l’anziano genitore del ragazzo accusato, diciotto anni prima, di avere violentato sua madre, sono lì a dirci che un punto di domanda (da cui parte necessariamente una ricerca) può, girandosi a gambe all’aria, diventare un gancio.
Attorno a tutto questo un lago, il lago (con un articolo determinativo non casuale) che è un immaginario collettivo attorno a cui c’è la vita ma anche la morte, soprattutto quando inferta per placare uno spirito che sembra quasi una enorme nemesi, e dentro il quale ci sono fantasmi ma anche oggetti e corpi pronti ad essere restituiti. Tutto sorretto da una scrittura dentro la quale l’autrice sparisce per lasciare posto e attenzione alla storia, alle voci e ai sussurri dei protagonisti.
Letteratura
Miraggi Edizioni
2018
185 p., brossura