La crisi degli operatori del mondo dello spettacolo ai tempi del Covid-19
Di Alessandra Durighiello
Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte. Leo de Berardinis
Da quasi due mesi viviamo in una condizione di reclusione forzata che limita la possibilità di dialogare e di confrontarci costruttivamente. Abbiamo modificato radicalmente le nostre abitudini. L’obiettivo settimanale è la spesa: un premio a chi si accaparra l’ultimo panetto di lievito! È diventato alquanto difficile rintracciare informazioni fondate e scientifiche. Ci siamo assuefatti alla retorica del “nemico invisibile”, degli eroi che combattono in prima fila, in trincea. Il Tricolore, che dal mondiale del 2006 era appallottolato in uno scatolone in garage, sventola dai balconi. L’Inno di Mameli cantato con la mano sul cuore. Insieme, tutti uniti ce la faremo, siamo italiani … il ritrovato orgoglio patriottico destinato a spegnersi appena i contributi promessi dal Governo e dalla Regione non verranno accreditati sul conto corrente.
Tra l’applauso delle 18 e un Tik Tok, siamo stati catapultati in uno Stato di polizia, inerti davanti alla soppressione dei diritti costituzionali fondamentali, il diritto al lavoro, alla libertà personale, allo studio, il diritto di professare la propria fede, il diritto di riunirsi, associarsi, manifestare; diritti conquistati proprio dalla generazione che abbiamo permesso al Covid-19 di incenerire: tanti partigiani, uomini e donne che, dopo aver ricostruito un Paese distrutto dalla guerra, ormai anziani, oggetti arrugginiti e sacrificabili, sono stati privati, prima ancora che del diritto a ricevere assistenza e cure mediche adeguate, della loro dignità. Abbiamo perso la Memoria che rende liberi.
Mai come ora forse, ci vorrebbe il Teatro che, tra tutte le arti, permette alla società di ritrovare se stessa attraverso la forza della parola, dell’azione in scena, attraverso l’interazione alchemica tra attori e pubblico. Il linguaggio del Teatro parla alla testa e all’anima, smuove le coscienze. Eppure se tanto si parla della riapertura di bar, ristoranti, centri estetici, palestre, nulla ancora si conosce in merito alla riapertura dei teatri, nell’erronea convinzione che coinvolga solo una piccola parte della popolazione o comunque che la loro attività sia superflua rispetto alle attuali esigenze economiche e sociali.
L’Agis – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, già nell’ultima settimana di febbraio, in relazione a sole quattro regioni del Nord Italia in cui iniziava a manifestarsi il Covid-19, stimava una perdita di dieci milioni di euro al botteghino a causa della cancellazione di 7400 spettacoli. Si calcola che la perdita settimanalmente ammonti a circa venti milioni di euro, quindi al 19 aprile 2020 il danno potrebbe aggirarsi intorno ai centocinquanta milioni di euro. Nella sola città di Roma, per i mesi di marzo, aprile e maggio, l’esercizio teatrale registra una perdita di circa ventiquattro milioni di euro. Cifre esorbitanti e il Governo ha stanziato nel decreto Cura Italia centotrenta milioni di euro per il mondo dello spettacolo e al Mibact si pensa ad una riapertura a dicembre. Attori, registri, ballerini, orchestrali, scenografi, per i quali non sono mai state prese misure sufficienti per sostenere i periodi di non lavoro, si trovano in una situazione molto difficile, non possono pagare il mutuo, fare la spesa, vedono ridursi senza prospettive il proprio reddito; anche chi è in possesso di una Partita Iva non è tutelato, benché svolga il lavoro allo stesso modo di un subordinato.
Gli artisti sono tra gli invisibili che rischiano di diventare inesistenti, insieme a truccatori, parrucchieri, service audio e video, tipografie, che lavorano in silenzio per e nei teatri italiani. Il Ministro Dario Franceschini ha avanzato l’idea di una Netflix della cultura, sconfessata da molti artisti a partire da Emma Dante: sicuramente c’è bisogno di garantire un maggiore spazio alla programmazione culturale e teatrale sia nella tv privata che pubblica, ma resta il problema di preservare il teatro in teatro quale presidio culturale nel tessuto urbano e sociale, anche perché con il ricorso allo streaming si sta consolidando un malcostume già in atto nel mondo dello spettacolo da molti anni, quello di proporre prestazioni volontarie, sempre e solo a titolo gratuito.
Ci si interroga inoltre sul futuro del teatro sociale, quello che opera nelle periferie, che denuncia le marginalità e le tensioni, del teatro come mezzo di inclusione e riabilitazione proposto dalle cooperative ai portatori di handicap, ai carcerati, agli ospedalizzati, esperienze radicate che hanno favorito la creazione di modelli sociali e culturali di assoluto valore.
Per quanto riguarda la riapertura dei teatri, si pone il problema dell’accoglienza e della sistemazione del pubblico, della sistemazione dell’orchestra in buca, del contatto degli attori in scena. Attuare il distanziamento sociale comporterebbe una diminuzione del pubblico per replica e dunque una diminuzione dei ricavi a fronte dei maggiori costi necessari per un ripensamento globale dei luoghi. Tra le tante questioni che il sistema teatrale affronta in questo periodo, non può trascurarsi la questione che riguarda i festival estivi, da sempre promotori di visioni e precursori di tendenze, che avrebbero tra pochi giorni presentato i loro cartelloni al pubblico. I festival non sono solo un’occasione per conoscere i nuovi protagonisti del panorama performativo internazionale, ma sono soprattutto un momento di scambio con il pubblico, con gli altri addetti ai lavori, con gli artisti stessi.
Il Napoli Teatro Festival Italia che di solito si tiene tra giugno e luglio, è stato rimandato a settembre per ora, per cui ipotizzando che tutto vada bene si svolgerà tra sale ed eventi all’aperto come di consueto. Tuttavia in un’intervista rilasciata a Radio Popolare, il direttore artistico, Ruggero Cappuccio, ha dichiarato che: “nel caso in cui le misure sanitarie non consentissero lo svolgimento dei Festival in Italia siamo in grado di riprogrammarlo ancora, spingerlo ancora più in avanti … nel caso in cui si potesse lavorare all’aperto a settembre disponiamo di infiniti spazi meravigliosi in Campania. Nel caso in cui non si potesse lavorare a settembre neppure all’aperto, bisognerebbe eventualmente attendere di poter lavorare al chiuso sia pure con le misure di riduzione della platea e con le misure di distanziamento sociale”. Se appoggia l’attività documentale del Festival sul web, precisa che “il web è il web, il Teatro è il Teatro, il web non è il Teatro e il Teatro non è il web. Il Teatro ha il suo senso nella legge della comunione, che è una legge naturale. La comunione è un concetto persino più importante della democrazia, perché in democrazia il 51% vince, il 49% perde, c’è una parte di contenti e una di scontenti. A Teatro ci sono soltanto vincitori … Il pubblico è una componente dello spettacolo, del Teatro. Senza il pubblico il Teatro non è … gli attori che fanno questo lavoro da molto tempo sanno bene che lo spettacolo ogni sera è diverso perché le energie emanate silenziosamente dal pubblico determinano intensità di tipo diverso, se non c’è la partecipazione del pubblico non c’è il Teatro”. Ha inoltre aggiunto: “ il Covid-19 è un amplificatore, una lente d’ingrandimento ma le gravi difficoltà in cui versa il Teatro in Italia esistono da decenni. Il problema è che per la maggioranza degli italiani, culturalmente, chi si occupa di Teatro, Cinema, è una persona che ha un hobby, non si è riusciti a far entrare nei neuroni degli italiani l’idea che i violinisti, gli attori, gli scenografi, i costumisti sono dei lavoratori …”.
Riferimenti: Sull’orlo del baratro. La crisi del Teatro è prima di tutto la crisi dei suoi lavoratori di Andrea Porcheddu – CheFare.com; Teatro: cosa ne sarà dei festival estivi ai tempi del Covid-19 di Chiara Pirri – Artribune; Coronavirus, i teatri in crisi nera: “Per lo Stato siamo inesistenti, riapriremo per ultimi” di Fabio Giuffrida – OPEN; Covid-19: teatri chiusi, da Gassmann a Placido gli appelli degli attori di Valentina Capone – Alley Oop. L’altra metà del Sole
In copertina: Foto scattata in occasione di Sipari Aperti – Festival degli altri mondi nel 2017 presso il Teatro Carlo Gesualdo di Avellino