Archivio e camera oscura. Carteggio tra Walter Benjamin e Gershom Scholem
Di Anita Mancia
“Il tema dell’archivio, centrale per un collezionista come Benjamin non meno che per il bibliofilo Scholem, assume nel carteggio tra i due durante gli anni dell’esilio un rilievo difficilmente sopravvalutabile, soprattutto considerando che molte delle lettere qui pubblicate sono biglietti di accompagnamento per la spedizione di testi editi e inediti, richieste di copie di articoli perduti ma fedelmente conservati nell’archivio-caveau gerosolimitano, quando non vere e proprie riflessioni sull’importanza e la possibile funzione dei rispettivi depositi” Così scrive in Ombre cinesi, Saverio Campanini, curatore dell’edizione Adelphi di questo Archivio e camera oscura.
“Qui torna l’immagine della camera oscura, incastonata in una riflessione sulla mémoire involontaire “… non solo le sue immagini giungono inattese: piuttosto in essa si tratta di immagini che non avevamo mai visto prima che ci ricordassimo di loro. Ciò è tanto più evidente in quelle immagini nelle quali – come in taluni sogni – possiamo vedere noi stessi. Stiamo dinnanzi a noi proprio come eravamo un tempo in un lontanissimo passato da qualche parte, senza che però ci vedessimo. E quelle che riusciamo a vedere sono le immagini più importanti – quelle sviluppate nella camera oscura dell’attimo vissuto” sempre Saverio Campanini.
E’ un libro denso, intenso, drammatico, pieno di pathos, complesso quello del famoso carteggio fra Walter Benjamin e Gershom Scholem in questa seconda versione italiana dopo la ben più scarna pubblicata nel 1987 da Einaudi con il titolo di Teologia ed Utopia.
Questa edizione contiene una prefazione al carteggio di Gershom Scholem, nella quale egli spiega le differenze fra questa e le differenti parziali edizioni, 11 lettere di Benjamin a Scholem da Ibiza, Nizza, Poveromo (Marina di Massa), Forte dei Marmi, Berlino 1932, il carteggio reciproco composto di 128 lettere, lo scritto di Scholem sulla fine della corrispondenza e il testo che sarebbe quasi un libro a parte, dal titolo Ombre Cinesi di Saverio Campanini. Un libro composito, dunque, ma anche complesso.
Chi conosca le alterne vicende di Walter Benjamin, raccontate anche nel libro di Gershom Scholem, Walter Benjamin. Geschichte einer Freundschaft, Walter Benjamin Storia di un’amicizia, Adelphi Milano 1992, sa che lo scrittore berlinese dopo il suo esilio nel 1932 e fino al suicidio a Ibiza nel 1940, ebbe una vita molto travagliata, precaria per ragioni economiche, fra Ibiza, San Remo dove fu ospite della ex-moglie Dora, Nizza, Parigi, Svedenborg (Danimarca) sempre dipendente dai suoi amici, soprattutto dalla ex-moglie per Sanremo, che lo voleva persuadere ad andare in esilio a Londra poco prima del 1940, ma che non ottenne nessuna risposta positiva alle sue insistenze, a Brecht che lo ospitò in Danimarca a Svedenborg, dove Benjamin trasferì una parte della sua biblioteca, mentre l’altra era a Berlino, e soprattutto a Teodor Wiesengrund Adorno e Max Horkheimer esponenti di spicco dell’Istituto di ricerca sociale prima trasferito da Francoforte in Svizzera, a Losanna, e poi in America dove Benjamin non si recò mai ma dove Scholem fu almeno per sei mesi per preparare le sue lezioni sulla Kabbalah, ma anche per leggere una gran parte di manoscritti di cabalisti antichi che si trovavano ivi in gran numero.
Si può pertanto leggere questo carteggio come una sorta di storia di due vite, quella di Benjamin, tragica, e quella di Scholem, più pausata e più regolare, nonostante le difficoltà che egli incontrò in Palestina dove si era trasferito dal 1923.
Fra gli aspetti più interessanti del carteggio possiamo qui indicarne alcuni: le vicende della biblioteca di Benjamin che così importante era nella vita di un collezionista come lui, l’acquisto da parte della biblioteca di Gerusalemme del Baader ad un prezzo di 16 sterline che sarebbe stato un buon aiuto economico, l’opportunità di trasferirsi in Palestina, scartata comunque da Scholem dato che a suo parere vi si sarebbero potuti trovare bene soltanto dei sionisti convinti, mentre Benjamin non era fra questi, la possibilità di un viaggio a Gerusalemme, dove egli avrebbe potuto essere ospite di Scholem e di sua moglie Escha e, infine, il rapporto fra l’epistolario e la produzione letteraria dei due scrittori, ma soprattutto di Benjamin, dato che questi considerava il suo amico come depositario di un archivio in cui si sarebbero potute conservare le sue opere, vero lascito della sua vita. Prima di prendere in esame questo aspetto, conviene soffermarsi sulle circostanze dell’esilio inevitabile per Benjamin. Ecco che cosa scrive nella lettera 14 a Scholem: “Per quanto mi riguarda non sono state queste contingenze [la cattura di molti prigionieri] – da lungo tempo più o meno prevedibili – a far maturare in me solo una settimana fa e in forme indeterminate la decisione di lasciare più in fretta possibile la Germania. E’ stata piuttosto la simultaneità quasi matematica con la quale i miei manoscritti sono stati respinti da tutti i miei possibili interlocutori, le trattative ancora in corso o vicine alla conclusione sono state interrotte, le mie domande sono rimaste senza risposta. Il terrore nei confronti di ogni atteggiamento o modo di esprimersi che non si adeguino totalmente a quelli ufficiali ha raggiunto dimensioni praticamente insuperabili… Per quanto sia insopportabile l’atmosfera tedesca, in cui si preferisce prestare attenzione al risvolto della giacca, rinunciando per lo più a guardarsi negli occhi – di non aver seguito un impulso dettato dal panico. E’ stata piuttosto la pura ragione che mi ha indotto a fare in fretta, e non c’è nessuno tra quanti mi sono vicini che non la pensi allo stesso modo”.
Dunque una fuga razionale, di fronte alla perdita del lavoro intellettuale e soprattutto alla perdita della libertà e delle condizioni di lavoro. Ciononostante le condizioni dell’esilio erano quanto di più sfavorevole e drammatico si potessero presentare a Benjamin. Tuttavia egli fu perseverante pur nella estrema dificoltà ed elaborò le opere più importanti della sua produzione letteraria proprio nell’esilio. La rielaborazione di Infanzia Berlinese, il fondamentale saggio su Kafka, l’opera su Fuchs, i passaggi di Parigi, Baudelaire, le tesi sulla storia e i saggi sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo per non citare che le opere più importanti furono tutte prodotte durante l’esilio. Il saggio sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo dà a Benjamin l’occasione di riflettere sulle contingenze importanti della sua vita: “Considera che io devo fare tutto da solo nelle condizioni più sfavorevoli, mentre tu hai una casa e cento mani a tuo servizio. E non conto Escha nel novero dei prestatori di così umile opera”. Scholem chiedeva a Benjamin lumi sulle condizioni della sua vita a Ibiza: “Vivi solo, in una pensione, presso contadini o europei? Parli il dialetto locale? Sui giornali si legge più spesso, come mi hanno riferito, il nome di Ibiza: significa che aumentano gli immigrati e il costo della vita”? E Benjamin rispose, non senza offrire all’amico la possibilità di scrivergli al prossimo indirizzo, nuovo recapito della sua vita raminga.
Pur molto amici e vicini, tanto da condividere la sorte di due fratelli prigionieri in Germania, Walter e Gershom avevano due visioni della vita politica e della storia molto diversa. L’uno era molto vicino al marxismo, tanto da essere amico di Brecht, l’altro piuttosto, era liberale, certamente anticomunista. Così scrive Scholem all’amico “L’articolo apparso sulla “Zeitschrift für Sozialforschung” non l’ho ancora capito. Che sia una professione di fede comunista? E se no, che cosa? Devo confessarti che quest’anno non so davvero più dove ti collochi. Anche in passato, malgrado tutti i tentativi, che ricorderai, non mi è mai riuscito di arrivare con te a un chiarimento della tua posizione. E adesso, dopo l’irruzione del nuovo eone, nel quale sembri ancor meno propenso a spiegarti già solo per via delle condizioni esteriori spaventose in cui ti trovi, mi riuscirà purtroppo ancora di meno. E questo è davvero un peccato. Ma tu sai già tutto meglio di me”. Benjamin esita a rispondere, elabora un testo, e poi finalmente un altro. Egli ritiene che la domanda dell’amico sia in realtà più che altro una controversia fra loro: “Penso che l’immagine di me che conservi non sia quella di un uomo che si vota con leggerezza e senza necessità a una “professione di fede”. Tu sai che ho sempre scritto secondo le mie convinzioni, raramente invece e solo conversando, ho tentato di esprimere nel suo insieme il fondamento contraddittorio dal quale esse promanano nelle loro singole manifestazioni”. Invita l’amico a chiarirsi di persona e a non usare il termine professione di fede. Nell’attuale sistema di produzione Walter non ha trovato “uno spazio al mio pensiero, e da parte dell’attuale sistema economico di offrire uno spazio alla mia vita”. Certamente i punti di vista sono divergenti, ma Walter invita l’amico a un discorso da fare di persona piuttosto che in una controversia letteraria.
Tanti sono gli spunti che queste lettere offrono. A mio parere esse vanno lette sulla base del costante rapporto con le opere reciproche che in quel periodo densissimo di eventi storici e politici si producono e certo anche alla luce della lettura critica che Campanini fa dell’epistolario, della nozione di archivio, di camera oscura, di plagio (quello che Bloch farebbe di Benjamin e quest’ultimo di Scholem al riguardo della nozione dell’anno messianico) e anche della censura scholemiana che si esercita spesso verso l’amico.
I due scrittori sono coscienti dell’importanza e del carattere tutto particolare del loro carteggio: “Se negli ultimi tempi al nostro carteggio non è andata meglio che a te [a Scholem], non potrai negare che gli sono stato accanto con pazienza. Non sarà stato invano, se col tempo tornerà al suo carattere originario. Per questo dobbiamo augurarci entrambi che gli spiriti elementari della nostra vita e della nostra produzione, ai quali spetta di diritto il dialogo tra noi due, non debbano più attendere indefinitamente sulla soglia. D’altra parte non si può ignorare l’opportunità che si offre loro di conversare liberamente grazie a una ormai indifferibile chiarificazione intellettuale delle divergenze sulla politica mondiale”. E’ la richiesta di un incontro, che ci sarà a Parigi nel 1938 e l’interpretazione del carteggio in funzione del dialogo, del vedersi per discorrere di questioni che non si possono demandare alle lettere.
Una densa scrittura, ricca di stimoli, vicina allo sviluppo delle opere maggiori di Benjamin – specie il saggio su Kafka, la stroncatura dell’opera biografica su Kafka di Brod – il saggio su Baudelaire, i passages parigini incompiuti, e alla letteratura kabalistica e messianica di Scholem, vette eccelse. Che vanno lette criticamente proprio alla luce del saggio di Campanini che conclude quest’opera composita. Si intitola Ombre Cinesi il saggio di Campanini: “Le ombre cinesi erano il gioco preferito di Benjamin bambino quando a letto con la febbre, si guadagnava, proiettando accanto a letto le fauci di un lupo, le “medaglie” delle lunghe ore di assenza da scuola. Del resto lo stesso Scholem, per descrivere la cerimoniosità dei modi di Benjamin in un ricordo postumo, ricorse all’immagine della sua cortesia cinese”. Benjamin, nel saggio su Kraus, aveva collegato la sua “capacità mimetica proprio ai modi cinesi: “la cortesia cinese è mimetica-entrare di soppiatto nell’altro” .
Carteggio
Adelphi
2020
463 pp., brossura