OSSIMORO È VITA
Di Adriana Sabato
Armonia (dal greco ἁρμονία).
La definizione deriva dal retaggio culturale della Grecia classica: riconciliazione degli opposti, concerto di elementi discordanti – immagini o pensieri – nell’ambito della musica, dell’Universo,della politica, del corpo umano.
Immagini o pensieri che da soli sono una contrapposizione ma accostati creano un senso nuovo, una visione inedita che apre nuovi orizzonti.
Estremi che si toccano, dunque. E questo rimanda ad un’immagine simbolica descritta da Omero nel quinto libro dell’Odissea, nel narrare che la dea Calypso consigliò a Ulisse di “armonizzarsi una zattera” per ritornare in patria.
Cosa intendeva con ciò?
Non intendeva suggerire di tagliare dei tronchi e assemblarli semplicemente insieme, no, altrimenti, a metà navigazione, la zattera si sarebbe rovesciata!
Ulisse invece avrebbe dovuto mettere dei perni sotto i tronchi in modo tale da permettere al fondo della zattera di aprirsi e chiudersi, allargarsi e avvicinarsi, e dunque tenere insieme due movimenti che si oppongono: la rigidità delle assi e il fluire delle onde. Insomma, tenere uniti due opposti.
L’armonia, dunque, è un ossimoro.
L’ossimoro è un procedimento retorico (➔ retorica) che consiste nell’unire due parole o espressioni inconciliabili nel significato in quanto indicano propriamente un’antitesi o contrarietà.
Essendo allora espressione dell’antitesi, l’ossimoro unisce – contrapponendoli – due pensieri o due significati che sono di per sé inconciliabili perché l’uno esprime il contrario dell’altro.
Così: assordante silenzio, ghiaccio bollente, morto vivente. Insomma, solo qualche esempio di una contrapposizione che viene superata nell’accostamento.
Ma, nella vita di tutti i giorni, le contrapposizioni sono necessarie.
L’ossimoro è la quiete dopo la tempesta, è l’unione di due estremi diversi fra loro: per esistere, debbono necessariamente convivere, altrimenti è la noia.
La notte e il giorno, il buio e la luce, il dolce e l’amaro: ossimori della nostra vita.
Perché amiamo il giorno? Perché c’è la notte.
Perché amiamo il buio? Perché esiste la luce.
In musica l’ossimoro più rappresentativo è il tritono.
La definizione nella teoria musicale di questa dissonanza è: intervallo di quarta aumentata o quarta eccedente o “quinta diminuita”.
Il “Diabolus in Musica” – questa la terminologia coniata per indicare il tritono – era usato assai raramente nelle composizioni di polifonia sacra: era più frequente invece nella musica profana, col passare del tempo si è emancipato, diventando di uso comune.
Le note separate da un tritono, suonate insieme, danno un suono dissonante, inquietante, tanto che la Chiesa lo considerò la “dissonanza delle dissonanze”, qualcosa da proibire nella musica, perché l’orecchio umano non avrebbe mai provato piacere nell’ascoltarlo.
Il tritono (il “diabolus”), uno degli intervalli più dissonanti della scala diatonica, il più ricco di forze risolventi, componendosi delle due sensibili (ascendente e discendente) della scala tonale, è una dissonanza che vuole risolvere. La musica medievale non presentava dissonanze dure, come il tritono, e il motivo è da ricercarsi nel fatto che nel Medioevo, allorquando la musica vocale svolgeva un ruolo ancora predominante rispetto a quello della musica strumentale, era molto difficile intonare le dissonanze dure.
Tra una nota e l’altra c’è una distanza di tre toni. Il tritono è anche la metà esatta di una ottava. Questo intervallo è una delle maggiori dissonanze della scala diatonica: il tritono, come ogni dissonanza, va risolto e si risolve nel modo più completo e più perfetto sull’accordo di tonica.
Il tritono e la sua risoluzione – l’accordo di tonica – rappresentano due opposti che definiscono, delineano, precisano i contorni di due estremi, il bello e il brutto: due opposti che si incontrano. Si possono definire, insomma, un ossimoro sonoro.
E di questa continua lotta fra il bene e il male, fra consonanza e dissonanza, si nutre il moto musicale: questo scontro, questa lotta fra forze opposte, come in un moto perpetuo, dà forza ed energia al movimento musicale.
Una musica sempre consonante non l’ascolteremmo volentieri; una stagione sempre calda ci verrebbe a noia e porterebbe alla desertificazione; un mare sempre piatto ci priverebbe delle emozioni più belle; un amore senza litigi sarebbe nient’altro che indifferenza.
Siamo tutti uguali, proprio perché siamo tutti diversi: anche questo è un ossimoro.
E, come nella musica, anche nella vita esso dona forza ed energia, genera interesse, stupisce e sconvolge.
Riferimenti bibliografici: