Quarant’anni di Una Giornata uggiosa. Donato Zoppo omaggia Battisti e la fine di un sogno
Di Carmine Maffei
Questa storia, lunga quarant’anni, inizia già nel 1979, e ci sembra più ovvia così, se pensiamo ad un nuovo decennio che è appena dietro l’angolo, quando fa capolino quella voglia di cambiamento che è tipica di quando si chiude un’epoca. E tutto sembra possieda una coniatura inscalfibile come la scomparsa di un colosso della musica e del canto, Demetrio Stratos, la cui uscita di scena figurativa dal regno degli eletti compositori del rock più raffinato pare voglia metter fine ad una parentesi italiana di un certo peso, che ancora oggi incanta, ancora oggi brucia viva.
Eppure l’avventura iniziata nel 1971, anno di gloria del rock progressivo, si affievolisce con l’avvento della disco music, verso la fine di quel decennio infestato dai fantasmi politici fraintesi e sfociati in un incubo collettivo, così come la musica, che prende piede nel sociale con la ribalta di una sferzata pazzesca, oltre che intellettuale, caparbia, poi cambia rotta via via che si spengono gli entusiasmi primordiali, lasciando il posto ad un consumo di massa dai facili ascolti.
La fine degli anni Settanta, che a mio avviso terminano ufficialmente con la fine prematura del cantante polistrumentista degli Area, non deve essere però vista soltanto come il termine lacrimoso di una fedeltà alla qualità musicale, ma anche come l’introito emozionale ai cambiamenti messi in atto già a partire dalla seconda metà del decennio, che si alimentano con la barriera del punk, che s’innalza dagli stereotipi troppo costruiti, e che poi stereotipo stesso diventa, quando ne nasceranno quei generi, tutti denominati post-punk.
In quel periodo” il nostro caro angelo” Lucio Battisti si trova a Londra, città forse ancora cuore del cambiamento epocale, che fu portabandiera generazionale di appena tre lustri prima.
Dopo la produzione di “Una donna per amico”, che già spunta le precedenti tracce di una musica volutamente colta, studiata, il musicista reatino giunge ad un’ancor più ragionata voglia di presentare una canzone che possa arrivare con la facilità di un’ottima composizione, che usufruisca di arricchimenti d’effetti d’impatto, che stravolgano l’udito, ma che non perda la dignità.
Lo scrittore sannita Donato Zoppo ci abbraccia di nuovo e lo fa col suo terzo omaggio a Battisti, e con il secondo volumetto della collana Songs, intitolato “Con il nastro rosa” (GM Press-2020), che con una storia di appena un centinaio di pagine, intrappolate in uno spazio ridotto, tascabilissimo, ci illumina la particolare vicenda della fine di una collaborazione storica, che però di triste ha ben poco, innanzitutto se si considera profondità delle parole di Mogol, che s’intrecciano con una musica del compositore numero uno italiano la cui ombra si allunga all’avanguardia stilistica, così colta da fagocitare ogni pregiudizio giornalistico legati ad un volto che rifiuterà in seguito di mostrarsi.
La copertina, ancora una volta minimale, le cui strisce pedonali in risalto che facevano effetto nel primo volume della collana Songs, sempre firmato da Donato Zoppo, omaggio alla stupenda canzone di George Harrison, “Something” dell’album Abbey Road, ora sono genialmente poste obliquamente, come a figurare una pioggia battente, proprio come disegnare l’illustrazione elementare e pop di una giornata uggiosa.
“Ecco la filigrana di Una Giornata Uggiosa, la congiunzione tra le premesse di Anima Latina e leggerezza del ’79. Coinvolgimento dell’ascoltatore , rispetto della qualità ma anche semplificazione, niente banalità. Sono le fondamenta sulle quali dovrebbe reggersi ogni buon album pop”.
“Con il nastro rosa” delucida la separazione di Lucio da Giulio Rapetti, in arte Mogol, che aveva conosciuto già giovanissimo la gloria di paroliere e poeta, i cui versi avevano trovato combustione nell’innescarsi della potenza materiale della musica di Lucio Battisti, quest’ultimo sempre grato all’autore, ma che per cause legate a diritti d’autore ed editoriali per cui ora gli eredi continuano le ormai consuete battaglie legali, afferra la capacità di doversi separare per motivi probabilmente legati alla nuova immagine “non immagine” che sta per costruirsi.
Sarà l’epoca di un musicista di cui conosceremo il volto fino proprio al 1980, e che poi scomparirà dalle scene per sempre (l’aveva già fatto tempo addietro coi concerti, ricordate?), le cui opere però risaneranno a pieno titolo questa gloria da custodire come un ricordo che si manterrà forte e che sarà risaldato dagli affetti, donandogli mistero e fascino ombroso.
Mogol, dicevo, aveva oltretutto contribuito alla crescita sperimentale di Battisti, che però quest’ultimo userà nelle produzioni successive per oscurare i versi frutto di una fedeltà collettiva, che aveva imparato ad apprezzare, anche perché aveva marcato a fuoco un’epoca. Questa brusca “offesa”, già in atto con Anima Latina, sarà soltanto l’inizio di una disgregazione che troverà l’apice esattamente con il finire del decennio, e con l’uscita nel 1980 di “Una Giornata Uggiosa”, quarant’anni fa.
Giulio Rapetti aveva raggiunto già il traguardo, quando qualcuno a lui vicino si decise a continuare seguendo altre collaborazioni, arrivando alla fine a scegliere l’ermetismo di Pasquale Panella, probabilmente il più anti Mogol in circolazione: sarà l’autenticazione, come quella di una generazione che prende il sopravvento su idee patriarcali ottenendo, con la fiducia in sé stessi, una giustificazione al cambiamento, al voltar pagina.
Eppure la ricchezza di “Con il nastro rosa”, canzone simbolo di “Una giornata uggiosa” sottolinea la marcata simbiosi che i due artisti avevano costruito, e il paradosso che si crea immergendosi nella lettura di questo libro, è che s’immagina una fine tragica, figlia di una rottura decisiva, mentre poi, cuffie alle orecchie, e le pagine che corrono veloci, si grida al miracolo e quasi ci si chiede il perché e il per come, quando tra lo scroscio di una pioggia come a celare lacrime amare, o il lungo assolo di Phil Palmer o ancora le produzioni mastodontiche di Geoff Westley, con la voce armoniosa di Lucio, ci facciamo rapire inconsapevolmente, e ai più deboli addirittura può far scendere una lacrima d’incomprensione.
Ancora una volta Donato Zoppo, prolifico scrittore musicale, incanta e insegna che la vera bellezza non è nelle mostre caricaturali odierne, ma nelle forme canzoni che hanno fondato le basi solide di una dignità da portare avanti, che sbaragli, attraverso menti sensibili, il macigno mainstream di una vetrina, specchio di parametri costruiti.
Saggistica musicale
GM Press
2020
100 p., brossura