Field Work
Di Marco Sonzogni e Leonardo Guzzo
Field Work (1979) è il quinto dei dodici libri di poesie pubblicati da Seamus Heaney (1939 – 2013) e l’ultimo ad uscire in traduzione italiana il prossimo settembre. Nel 1972 Heaney decide di lasciare Belfast e l’Irlanda del Nord per ritirarsi con la giovane famiglia nella campagna di Wicklow a sud di Dublino e dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Una scelta che lo espone a polemiche — sia i cattolici che i protestanti rimproverano al poeta di non volere o di non sapere prendere posizione in merito alle questioni politiche e sociali che stanno dividendo le comunità in Irlanda del Nord (proprio in quegli anni, tra l’altro, sono scritte le pagine forse più buie dei Troubles).
Ha però ragione Helen Vendler, uno dei primi e più attenti studiosi del poeta, che individua nell’auto-esilio del poeta e nei testi confluiti in questo libro le tracce di una importante, decisiva transizione: da «figlio anonimo di una ruralità quasi medievale» e da «spettatore del ritorno di una violenza arcaica» a «individuo impegnato nell’ordinarietà dei rapporti domestici e sociali». Un passaggio, un processo di matrice antropologica che Heaney annuncia apertis verbis già dal titolo. In questo libro dà dunque conto del lavoro sul campo di quegli ‘anni di piombo’ tra le due Irlande: un potente ma pacato auto-da-fé nella poesia e in se stesso che affrontato e documenta con la dignità e l’integrità che hanno sempre contraddistinto i suoi pensieri, le sue parole e le sue azioni. La poesia che segue è una delle testimonianze più limpide, più luminose e più leggere di questo intimo diario in versi.
Field Work
I
Where the sally tree went pale in every breeze,
where the perfect eye of the nesting blackbird watched,
where one fern was always green
I was standing watching you
take the pad from the gatehouse at the crossing
and reach to lift a white wash off the whins.
I could see the vaccination mark
stretched on your upper arm, and smell the coal smell
of the train that comes between us, a slow goods,
waggon after waggon full of big-eyed cattle.
II
But your vaccination mark is on your thigh,
an O that’s healed into the bark.
Except a dryad’s not a woman
you are my wounded dryad
in a mothering smell of wet
and ring-wormed chestnuts.
Our moon was small and far,
was a coin long gazed at
brilliant on the Pequod’s mast
across Atlantic and Pacific waters.
III
Not the mud slick,
not the black weedy water
full of alder cones and pock-marked leaves.
Not the cow parsley in winter
with its old whitened shins and wrists,
its sibilance, its shaking.
Not even the tart green shade of summer
thick with butterflies
and fungus plump as a leather saddle.
No. But in a still corner,
braced to its pebble-dashed wall,
heavy, earth-drawn, all mouth and eye,
the sunflower, dreaming umber.
IV
Catspiss smell,
the pink bloom open:
I press a leaf
of the flowering currant
on the back of your hand
for the tight slow burn
of its sticky juice
to prime your skin,
and your veins to be crossed
criss-cross with leaf-veins.
I lick my thumb
and dip it in mould,
I anoint the anointed
leaf-shape. Mould
blooms and pigments
the back of your hand
like a birthmark —
my umber one,
you are stained, stained
to perfection.
Lavoro sul campo
I
Dove il salice sbiancava ad ogni brezza,
e spiava perfetto l’occhio del merlo alle prese col nido,
dove sempre una felce era verde,
io stavo in piedi a guardarti
imboccare la via dalla casetta all’incrocio
e andartene a levare il bianco bucato steso sui ginestroni.
Riuscivo a vedere il segno del vaccino
largo sul braccio, vicino alla spalla, e sentivo l’odore di carbone
del convoglio che poi ci separava, un lento treno merci,
uno dopo l’altro, vagoni stipati di mucche dagli occhi grandi.
II
Ma il segno del vaccino è sopra la tua coscia,
una O cicatrizzata nella carne.
Non fosse che una driade non è una donna,
saresti la mia driade ferita
dentro un materno odore di bagnato
tra castagni ammalati di tigna.
Piccola e lontana, la nostra luna
era un soldo a lungo fissato
lucente sull’albero del Pequod
in mezzo a flutti di Atlantico e Pacifico.
III
Non lo scivolo di fango,
non l’acqua nera infestata di erbacce,
piena di amenti d’ontano e di foglie butterate.
Non il cerfoglio d’inverno
coi i vecchi polsi e stinchi imbiancati,
il sibilo, il tremore.
Neanche l’ombra verde acida dell’estate
densa di farfalle
e il fungo paffuto come fosse una sella di cuoio.
No. Ma in un angolo quieto,
poggiato a un muro rustico,
grave, terragno, tutt’occhi e bocca,
il girasole, assorto in tinte d’ombra.
IV
Sa di piscio di gatto
il roseo bocciolo schiuso:
spremo una foglia
del ribes in fiore
sul dorso della tua mano
per il bacio di lento calore
del suo succo appiccicoso,
che permei la tua pelle
e percorra le tue vene
intrecciate alle vene delle foglie.
Mi lecco il pollice
e lo intingo nel terreno.
Ungo l’unta
forma della foglia. Il terreno
germoglia e ti tinge
il dorso della mano
come una voglia —
mia unica terra d’ombra,
sei macchiata, macchiata
alla perfezione.
Traduzione di Leonardo Guzzo e Marco Sonzogni
Seamus Heaney (Mossbawn, Irlanda del Nord, 1939 – Dublino, Repubblica d’Irlanda, 2013) è uno dei poeti più amati del nostro tempo. I suoi scritti in versi e in prosa sono letti, studiati e tradotti in ogni angolo del pianeta. In quasi mezzo secolo di scrittura – la prima raccolta esce nel 1966, l’ultima nel 2010 – Heaney ha pubblicato 12 libri di poesie, 3 raccolte di saggi critici e traduzioni letterarie da 15 lingue (in plaquette, riviste, antologie e volumi), senza contare i numerosi scritti generati dal costante interesse per la sua scrittura e della generosità con cui lo ha sempre corrisposto. Tanti anche i ricoscimenti nazionali e internazionali, per singole opere e alla carriera, tra cui spicca il Premio Nobel per la Letteratura, conferitogli nel 1995 per la «bellezza lirica» e la «profondità etica» delle sue opere che «esaltano i miracoli quotidiani e il passato vivente». Con la pubblicazione di Lavoro sul campo (Field Work, 1979), tutte le sue raccolte – caso unico al mondo – saranno disponibili in traduzione italiana. È in preparazione per tipi londinesi di Faber & Faber, il suo storico editore, l’edizione definitiva di tutte le poesie e di tutte le traduzioni, accompagnata da un’antologia della corrispondenza e da una biografia letteraria.
Leonardo Guzzo scrive per «Il Mattino» e «L’Osservatore Romano». Ha pubblicato le raccolte di racconti Le radici del mare (PeQuod, 2015) e Terre emerse (PeQuod, 2019). Marco Sonzogni ha dedicato la sua attività di studioso e traduttore all’opera in versi di Seamus Heaney, di cui ha curato il Meridiano (Mondadori, 2016). Insieme hanno lavorato all’edizione italiana di Eneide, libro VI (Ponte del Sale, 2018), Traversare l’inverno (Gabriele Capelli, 2019), Sweeney smarrito (Archinto, 2019) e ora Lavoro sul campo (Biblion, 2020).