«Odiavamo la democrazia, il liberalismo, i russi e i comunisti, ci preoccupavamo del destino della nostra amata patria nella morsa della crisi economica e sognavamo uno Stato nazionalista ideale dove ci fossero un solo partito, un solo capo, un solo popolo… Un paese con un capo forte, attraverso il quale potesse operare Iddio, un paese solido dove ciascuno fosse un pezzo di una macchina ben funzionante, dove i cittadini si distinguessero per la ferrea volontà e l’ideale di sacrificio e abnegazione… dove regnassero la dottrina del potere del più forte e della razza biologica purificatrice, eredità del darvinismo sociale».
E’ questa, in sintesi, l’ideologia dominante della moglie del colonnello, protagonista del romanzo-monologo della scrittrice lappone Rosa Liksom, che costruisce una storia inventata, ma realistica, della vita della scrittrice lappone Anniki Kariniemi (1913-1984). Questa resa della storia finlandese, insieme con la potenza redentrice della natura sulla vita, è la ragione che rende questo romanzo, La moglie del colonnello appunto, altrimenti non dissimile dalle storie e dalla storia della depravata violenza nazista, che siamo abituati a leggere e conoscere attraverso tutte le forme storiche ed artistiche del XX e di inizio XXI secolo.
Seconda di otto figli di un nazionalista conservatore finlandese Juho nato a Kittilä, la moglie del colonnello che non è conosciuta qui con altro nome sperimenta le contraddizioni e la depravazione morale di un colonnello tedesco nazista, che la stupra e ne fa la sua donna, trattandola ora dolcemente, ora in modo violento e disumano secondo il suo carattere. Tutto il libro getta luce sulla storia della Finlandia tra la fine della prima guerra mondiale (1918) e la seconda guerra mondiale (1939-1945) che si unisce alle varie guerre nazionali combattute dalla Finlandia per mantenere ed ampliare la sua indipendenza, come spiega bene Ingrid Basso nella sua post-fazione.
La vita mette la giovane, poi moglie del colonnello, di fronte a fatti come le crudeltà rivolte contro il giornalista Gronroos perpetrate da parte dei fascisti finlandesi che modificano l’ideologia e l’atteggiamento della protagonista del romanzo almeno verso i fascisti di Kosola 34, ma non verso il nazionalsocialismo che continuerà ad essere il suo punto di riferimento, anche sulla base delle idee del padre, morto quando lei aveva dieci anni. Entra nel rapporto con il colonnello, che aveva 28 anni più di lei il riferimento alla figura paterna, diversa dallo zio Matti, indolente e comunista, che aveva perduto da piccola. E questo anche se il padre vedeva in modo ambiguo il colonnello: ne apprezzava le idee politiche, ma lo disprezzava come uomo.
Forse la parte più interessante del monologo è quella che rivela il rapporto creativo fra la natura e la moglie del colonnello. In particolare il ruolo svolto dalle paludi nella Lapponia e nella vita della giovane. Un giorno che aveva del tempo libero durante un campo a Kittilä, che per lei rimarrà fondamentale, si incamminò per vedere come era l’annata per i camemori. La presenza dei colori, degli odori, degli animali della palude le procura un’estasi e un senso di libertà sconfinata: «… Attaccati ai capelli avevo carici e fossili, ma niente mi fermava, e ai fiori dei camemori non ci pensai più, ero così libera, completa, così illimitata da sentire la linfa scorrermi dentro, e pensai: se la morte viene a prendermi adesso, l’accolgo a braccia aperte. Ero forza ultraterrena e bellezza dalla testa ai piedi».
Questa esperienza estatica della palude ha delle conseguenze sulla vita pratica, chesi rivelano profonde e piacevoli. La giovane si reca a vedere le sue compagne: «Tutte dormivano tranquille e beate. Andai zitta zitta nella radura del falò. Ammucchiai dei ramoscelli, accesi il fuoco con una corteccia di betulla e preparai una grande cuccuma di caffè. Come furono contente le altre, che al risveglio trovarono tutte una bella tazza di caffè caldo già pronto». Oltre che sulla vita pratica, l’estasi naturalistica ha conseguenze anche sul piano ideologico. Rafforza le convinzioni naziste, si può dirlo chiaramente, della donna, per la quale alla base di tutto c’era una triade: casa, religione, patria.
Questo effetto che la natura, la palude specialmente come essenza del paesaggio lappone ha sulle persone non ha invece il minimo effetto sul colonnello, che, in questo, non appartiene al mondo finnico lappone: «Arrivammo al margine della palude che si estendeva fino al limitare del villaggio, fermandoci sul bordo in decomposizione. Davanti a noi si apriva la piana acquitrinosa in tutto il suo splendore. Nella luce che emanava mi sentivo viva, vigorosa, e negli occhi avevo mille e mille delizie. Ma colui che avrebbe dovuto essere un condottiero pieno di passione estetico-romantica vedeva in quella distesa paludosa solo la possibilità di boschi, di campi coltivati, di terre bonificate, di produzione di torba, di campi di battaglia. Nella palude non aveva trovato la pace come l’avevo trovata io, così tornammo subito al villaggio».
Come è chiaro, il colonnello è un uomo della tecnica, mentre la moglie è una donna della natura e della poesia (lui la chiamava poetessina). Il centro del romanzo è dedicato alla parte violenta e distruttiva del rapporto tra il colonnello e sua moglie. Con i suoi raptus d’ira quasi la uccide e ferisce a morte il bambino che lei porta in grembo. Il ricovero in un ospedale psichiatrico e la lunga degenza nell’ospedale segnano l’inizio della lenta resurrezione di quello che era stata la moglie del colonnello.
La presenza della sorella Rebekka a Helsinki, la aiuta a superare il trauma dell’allontanamento dal marito e carnefice: «Sentivo che se l’avessi lasciato sarei morta di dolore. Allora mi sforzai di ripetermi: penserò a lui domani. Funzionò. Rimandavo sempre a domani, e così resistevo un minuto, un’ora, una giornata alla volta, finchè arrivai alla convinzione di poter vivere da sola, o tutt’al più con qualche cane e gatto.» Ancora con l’aiuto di Rebekka ad Helsinki, la moglie del colonnello – non conosciamo il suo nome perché il racconto è un monologo – riprende a vivere facendo domanda e diventando maestra nel villaggio di Kalmalompolo. Qui comincia la terza ed ultima parte del romanzo di Liksom. Nel piccolo paese, non per caso, c’è una «indomita palude», che è una sorta di leit-motiv di tutto il racconto: «Quello spazio così grande in una zona tanto isolata, pensai, era un un rifugio per la flora, per la fauna e anche per me. Mi innamorai di quel paesaggio, della sua tenebra antica e scintillante dove in un attimo la luce si tramutava in ombra».
La presenza di un nuovo amore giovanissimo, Tuomas, aiuta molto la ex-moglie del colonnello a riprendersi dal suo passato. Quando Tuomas si rende conto che non gli basta l’amore di una donna matura incapace di dargli dei figli, la moglie lo sprona e gli fa trovare una donna giovane, che gli darà dei figli, pur senza abbandonare il suo primo amore. Il rapporto con la vecchiaia è ben vissuto dalla donna: «Porto con fierezza questo vecchio corpo di donna morente. La senescenza è la legge della vita che il ciclo biologico e la natura hanno concesso agli esseri umani. Il Colonnello detestava invecchiare perché era spaventato all’idea di perdere il desiderio e che non gli si rizzasse più. Ho scacciato dalla mente il Colonnello e ho preparato il caffè. Un’operazione lentissima, che è durata un’ora, forse due. Guardando fuori dalla finestra ho scorso una renna femmina aggirarsi solitaria sul limitare del bosco. Ci conoscevamo. L’ho salutata alzando la mano e lei ha risposto con un cenno della testa».
Si può confrontare, simbolicamente, questa preparazione lentissima del caffè con la preparazione del caffè nel campo di Kittilä ad apertura di libro per osservare come gli anni sono passati. Ancora la natura lappone trova il suo posto d’onore nel romanzo della scrittrice Liksom. E l’accettazione della vita è anche l’accettazione della vecchiaia e certo della morte.
Un libro notevole, bello per l’apertura estatica sulla natura con al centro le paludi che formano, con i boschi e gli alberi, l’ossatura e il cuore del paesaggio lappone, più convenzionale per quello che riguarda non tanto la storia finlandese fra le due guerre ed oltre, che anzi è ben ricostruita, quanto per la violenza molto nota del mondo germanico nazionalsocialista che ha avuto la sua triste espressione anche nel nord-Europa.
Lo stile è essenziale senza essere scarno, preciso e netto, anche molto crudo e aspro nel ritagliare il carattere del colonnello e dei nazisti del suo tempo.
Letteratura nordica
Iperborea
2020
224 p., brossura