Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

«Per dodici mesi ho avuto una passione: Vi ho raccontato queste storie. Ho fatto del mio meglio per trasmettervele in tutta la loro bellezza, malinconia e crudeltà, desiderando che le sentiste come il tocco di una mano sulla pelle. Ma mi porto dentro un sospetto ostinato: sia Leo che Werner le avrebbero sapute raccontare meglio».

Questo La sciagura di chiamarsi Skrake è il secondo libro, (dopo Miraggi 1938 di Kjell Westo, pubblicato sempre da Iperborea, nel 2017), tradotto magistralmente da Laura Cangemi. Un libro bello tanto quanto il precedente.

Gli Skrake sono una famiglia originaria dell’Ostrobotnia trasferiti a Helsinki per una serie di motivi personali. Qui è raccontata la storia della generazione dei fratelli Bruno e Leo, con incursioni nella storia della Finlandia fra 1918 e 1945 al tempo della guerra con la Russia, della guerra mondiale e della guerra di inverno e della guerra di continuazione. Ma soprattutto di Werner e di suo figlio Wiktor (ciò può essere dato da motivi autobiografici dell’autore) tra gli anni ’60 e ’90 del secolo scorso. Werner ha una storia sfortunata perché è detentore di un metcy, in russo, un sogno o un destino che lo porta a compiere una serie di azioni sfortunate, come quando urtando contro un albero, distrugge tutte le casse contenenti coca-cola perché distrattosi a pensare alle belle gambe di una sportiva saltatrice olandese, o quando, con un racconto veramente umoristico, riesce a dimenticare di mettere un coperchio su dei popcorn che gli erano stati affidati da un produttore, e li fa saltare in aria nella scuola dove Leo insegna colpendo all’occhio la professoressa di economia domestica Schultze e mettendo fine alla collaborazione con l’importatore Duncan Reinertsen.

Da questo, soltanto, e non dall’ultimo caso quello di un lancio sfortunato del martello nella scuola del figlio Wiktor (Viki per tutti quelli che lo conoscono) che colpisce al piede il vescovo Achrén in visita nella scuola di Råberga si comprende il perché del titolo del libro: essere uno Skrake è una sciagura che porta al fallimento della propria vita per un eccesso di energie che si scontrano all’interno della persona in conflitto con sé e col mondo.

Werner non ha una vera professione, ed in questo senso è un fallito: i suoi studi in legge all’università di Cleveland non portano alla laurea, ma candidano il giovane a un ritorno in patria senza una professione e senza un lavoro. Werner ha delle passioni dilettantistiche quando si sta passando dall’epoca del dilettantismo a quella della professionalità: lo sport, il lancio del martello – aspira a raggiungere i 60 metri e poi a ritirarsi – la pesca, specialmente delle trote, e la scrittura. Fa dei lavori saltuari che lo conducono a frequentare dei luoghi loschi di Helsinki ed a lasciare per lunghi periodi la famiglia composta da Vera, Viki e lui stesso, salvo poi ritornare a seguitare il normale corso degli eventi. La scrittura (sul significato della scrittura per la vita si rinvia a pagina 301) è l’attività più durevole e continuativa che caratterizza la sua vita insieme con le sue «fughe» da Råberga – cittadina in cui vive perché dopo i traumi occorsigli ha deciso di lasciare Helsinki – con il lancio del martello, e la pesca. Scrive di questo, di sport e di pesca senza però riuscire a scrivere un racconto veramente originale sulla pesca delle trote perché non ne è capace. L’incidente con il martello nella scuola di Råberga mette fine a tutti i suoi piani futuri e lo porta ad affrontare una lunga crisi per un brevissimo tempo in prigione – si era trattato di un incidente non certo premeditato – e poi in una clinica psichiatrica, da cui esce guarito, ma non felice perché nel frattempo, il suo matrimonio con Vera è stato distrutto, Vera vive ad Helsinki, ed anche la relazione con Vicki ne ha risentito. Questi decide di abitare ad Helsinki, come custode della casa della zia Mary, sposata von Herring e di lasciare per sempre Råberga.

La scelta di raccontare questa storia attraverso la voce di Vicki si rivela particolarmente felice da parte dell’autore perché lo porta a prendere le distanze da alcuni protagonisti, certamente da Werner e da suo zio Leo ai quali, pure, è molto vicino e affezionato. Vicki appartiene alla generazione ultima degli Skrake, e pur non essendo sposato né apparentemente interessato a proseguire la stirpe del sud della famiglia, ha ottenuto successo come giornalista e pubblicitario. Significativo e affettuoso è il suo rapporto con la nonna Maggie, madre di Werner, che gli rivela fatti e azioni di Bruno, suo marito, che consentono al giovane di comprendere lati altrimenti oscuri, della vita e della storia della Finlandia fra il 1918 e il 1945, le due e più guerre, altrimenti oscuri.

Il racconto anche se complesso – è articolato in due libri dei quali il secondo, come spiega Vicki è frammentario perché è la vita stessa della Finlandia a essere frammentaria – è molto piacevole ed avvincente. Alcuni caratteri, come per esempio la nonna Maggie e l’amica Janna, dura e sincera, conosciuta anche attraverso pseudonimi come Sabba (da Sabina) e Jinx sono veramente ben riusciti. Tutto il racconto è teso sul filo robusto di una costante ironia e distacco, che non significano disinteresse ma affetto profondo per le generazioni passate, non senza elementi di rabbia acuta per la sfortuna e la responsabilità nel fallimento del protagonista, ad importanti tratti caratterizzato da uno humour nero, ma sempre molto appropriato. Le figure di Bruno, Maggie (i nonni di Vicki), Leo, Janna, Bjöna, Vera, il professor Riggert Holm sono veramente riusciti e rendono la lettura piacevole ed avvincente. Il ruolo esercitato dalla musica nel romanzo è molto importante, tanto la musica classica – penso a Dvorak e a Schubert – quanto la musica jazz e blues dei neri americani amata da Werner, quanto il rock e la musica contemporanea che incidono fortemente sulla vita quotidiana e le idee di Vicki. La musica – ciò si vede e si sente nelle parole di nonna Maggie (439-440) – unisce, tocca le corde del sentimento umano, laddove la guerra aveva creato odi e divisioni. La musica accomuna Maggie e Vera e le rende solidali, laddove altrimenti il loro rapporto non avrebbe potuto decollare. Insieme a questa, la narrazione di momenti ed episodi di pesca è particolarmente bella ed avvincente perché avviene in un contesto paesaggistico nordico a momenti aspro ma di grande bellezza e stupore (anche le descrizioni delle tempeste di agosto a Helsinki che fa da sfondo alle azioni e decisioni di membri della famiglia Skrake. Insomma, per tutti questi elementi, insieme alla ricerca di una sincerità e verità di fondo, che non è mai disgiunta dall’amore (non esiste verità senza amore) un libro bello, veramente da leggere.

La sciagura di chiamarsi Skrake Book Cover La sciagura di chiamarsi Skrake
Kjell Westo. Trad di Laura Cangemi
Letteratura nordica
Iperborea
2020
498 p., brossura