Mettiamo un mattino come un altro
Mettiamo un mattino come un altro,
fischiettando tra i marciapiedi della tua città
– fosse fine primavera –
tra gli smilzi fili d’aria
che la mia bocca lascerebbe cadere
abbandonassi anche qualche lacrima,
tu cosa raccogliesti?
Mettiamo in un mattino come un altro
volessimo incontrarci in un bar per il caffè
– fosse fine primavera –
e io mi fossi un po’ attardato.
Una volta terminato il caffè,
mi chiederesti, con aria immatura,
di restituire quel tempo insieme che ti ho sottratto?
Mettiamo, dicevo, un mattino come un altro,
chiudessi i tuoi occhi e con le mani le tue orecchie su di me
– fosse fine primavera –
evaporassi assieme a tutto il mondo.
Supporresti che la vita procede ancora,
che oltre la tua morte nient’altro morirebbe?
Sapresti, con certezza celeste, di avermi davanti?
Vorrei sapere se un mattino come un altro,
ravvisando la luce sensuale del sole
– fosse fine primavera –
cominceresti a pensare al caldo che si attenua
in un mattino di fine estate
e alla vigna dove potremmo spogliarci e baciarci,
tra l’uva matura?
In conclusione, mi piacerebbe capire
semplicemente se posso chiamarti amore.
Pastorale
Due bambini vogliono fare l’amore
e scambiarsi i nomi e i cognomi
come fossero figurine e perdonare
una stella fasulla, trascina un ago
che chiaroscura l’imbrunire.
“Mamma, Mamma regalami un soldino
a conservarne abbastanza mi farò una casina.”
E poi domenica dopo domenica
in punta di piedi affacciare in sacrestia,
capeggiare col prete la processione
e un altro soldino dalle devote
di gote rosse, avemaria.
“Mamma, se a notte attenuata non mi svegliassi nemmeno io,
sarà ancora estate per Andrea e tutti gli altri bambini? ‘
Lacrime calde, lacrime fredde,
rospi strillanti buttarsi nella discesa
di gote rosse, senza peluria.
Tanto era pura quella tristezza
che ogni altro sentimento si arrese.
Mamma di ciuffi d’erba, di piante e di canne;
Mamma di suoni, ci si nascondono dentro.
Eppure, si muore ancora, muoiono tutti.
Di porta in porta. Una questua. Scostando i cadaveri
due bambini prendono una monetina dai salvadanai,
lasciando le altre per gli altri bambini.
Le case sono sporche e polverose
In qualcheduna piove dentro.
Hanno l’odore dei cassetti che non schiudevi da molto tempo,
nell’interno: il mazzo di carte incompleto mai gettato via.
Mamma a braccetto con lunghi anni fiaccati
a non vuotare il sacco. Ad accudire il fuoco,
se nella cenere c’è ancora fuoco.
Il bambino si rimette a grufolare nel bosco
e si addormenta nell’infossamento creato
dalla discesa notturna, a ruzzoloni, dei cinghiali.
Nella tristezza un brufolo di inesorabile
ottimismo, come solo il pensiero di un nuovo giorno.
Con le mani
Se lo sapessi e fosse no
e intrecciassi fili su fili
per fare il tempo con le mani,
e intanto iniziassi a raccontarti di una donna,
era il 2013 e tra queste mani rabbrividiva,
era bene che ruscellava nel dolore,
un oceano di dolore di un padre
che era padre nel pudore e un figlio
senza voce evaporato tra i libri della libreria,
nei vestiti stesi al vento, dentro al rombo di nuovo motore;
qualche altra fine che non conosco
e una che le ho negato.
Se lo sapessi e fosse no
e intrecciassi fili su fili
per fare il tempo con le mani,
inizierei a raccontare il viaggio da me a me
che Valentina percorse per accompagnarmi
a incontrare chi sono ora,
e qualche fine che conosco
ma non la fine di una storia d’amore.
Se quel che diresti lo sapessi, e fosse no,
intreccerei fili colorati su fili colorati
per fare il bene con le mani.