Quanto al ritmo (nella Rosselli e non solo)
Di Vladimir D’Amora
Ritmo è voce? No.Ritmo è respiro? No. Ritmo è il vivente divenire di una stazione di immagine – cioè?
Il ritmo insorge laddove non s’obbedisca alla adeguazione del tono espressivo all’occasione sonora – c’è ritmo, entro lo spazio scritto: entro la scrittura che la poesia è, SOLO SE nella distensione orizzontale, nella successione semiotico-semantica e fonico-sintattica si dà una interruzione…
Se la spaziatura orizzontale, la graficità porosa del dettato poematico si cuba: se si finisce limitandosi di vuoto interversale: le cesure d’immagine, allora, il non dicibile: l’orizzontalità vacua del senso non si placa nella sua viseificazione, costruzione istituzione di visualità, ma si intende: si puntualizza tonalmente verticalizzandosi non nel segreto (cosa che pertiene allo scritto da recitare poi eseguire in un abito di conservazione, quindi, alterazione del di-segno…
Abito, questo, di ogni modernità, e ogni modernità è versoliberista…), ma nell’uscita dal cubo: nell’affacciare lo spazio misurato della e dalla scrittura, al vuoto spezzato esso stesso: inarcato (enjambement rosselliano come ossessiva oggettivabilità: possibilità impossibile e non già possibile: chiusa al possibile costretta) a contattare intensioni, e non intenzioni progetti, di vita. Moduli – metriche immagini balenanti misure sine salute – di divenire.
In copertina Robert Dealunay da newsart.it