Gli egoisti. La tensione etica di Bonaventura Tecchi
Di Geraldine Meyer
A Bonaventura Tecchi, sempre nella rubrica Alla ricerca del libro perduto, la nostra rivista aveva già dedicato l’articolo Tecchi, la Sicilia e le lettere (che vi invitiamo a leggere cliccandi QUI). Tornarci, parlando questa volta di Gli egoisti, dimostra quanto questo autore sia per noi meritevole di scoperta e riscoperta. Tornare a Tecchi vuol dire tornare a quel ‘900 da cui non si può e non si deve prescindere. Anche e soprattutto per comprendere quelle derive di vuoto in cui è troppo spesso approdata la letteratura successiva.
Gli egoisti, dunque. Ma di che libro si tratta? Un romanzo? Un saggio teologico e morale? Forse entrambe le cose si possono trovare in questo libro, pubblicato per la prima volta, da Bompiani, nel 1959 e con cui Tecchi vinse i premi Bancarella e Bagutta. Un testo in cui lo scrittore, nato a Bagnoregio nel 1896, riversa molte di quelle che furono le sue istanze cristiane e etiche. Anzi, forse proprio tra queste pagine, emerge più forte e viva la sua indagine letteraria e filosofica sul male e sul demoniaco. Due elementi focali in questo Gli egoisti. Che già dal titolo richiama a gran voce una precisa ricerca tematica.
“Metodico compositore di libri” lo definì Giacomo Debenedetti. E metodicità si avverte anche in questo testo in cui il lettore si troverà dinanzi ad alcune “ossessioni” dello scrittore quali la sensualità e la solitudine.
Gli egoisti è un libro in cui il tema trattato assume una dimensione, si potrebbe dire, corale che dona voce a un variegato e rappresentativo campione culturale e sociale di persone. Si apre con un pranzo, quasi a sembianza di un coro introduttivo, nella casa romana di uno dei protagonisti, il famoso dottor Paolo Contarini, cordiale e portato a comprendere, almeno così sembra, debolezze e cadute umane. Al pranzo, che diviene un desco intellettuale su temi, appunto, come male, anima, spirito, demoniaco, donne, partecipano diversi personaggi, tutti uomini e tutti scapoli. Vi è il professore di sanscrito Almirante, da subito presentato come quasi ossessionato dall’idea della donna come unico contatto con la vita. Vi è Giacomo D’Alessio, ricco industriale votato alla causa del “prestigio del denaro”. Poi Roberto Fauni, giovane e freddo professore di fisica, Marcello Rudòr, poeta e traduttore e due preti, un anziano monsignore e un giovane e silenzioso prete olandese. Metafore necessarie per il discorso talvolta accidentato della teologia stessa.
Un pranzo che è una sorta di preambolo e presentazione di quei personaggi che, proseguendo nel libro, andremo a conoscere in modo più approfondito e di cui comprenderemo lo specifico egoismo. Il professor Almirante, proprio dalla sua visione della donna, emergerà con una solitudine in cui l’egoismo sarà una sostanziale incapacità di uscire dal “vizio” e da un lucido e malinconico scetticismo. Tanto più forte quanto più cercherà di comprendere come possa, dal basso, arrivare la vita più alta. Il dottor Conterini si scoprirà a sconfinare in un egoismo gaudente proprio partendo da quella comprensione che dovrebbe essere il suo opposto.
Il denaro e il potere economico saranno il filtro attraverso cui tutto passa per l’egoismo di D’Alessio, l’intelletto freddo e schematico ciò che diviene unica chiave di lettura per l’egoismo del giovane Fauni. Mentre sarà quello tipico degli artisti l’egoismo incatenante che imbriglierà il letterato Rudòr.
Ma non si pensi a un romanzo a tesi, con i protagonisti ridotti a cliché intellettuali e portatori di assenze di dubbi. In realtà la forza di questo libro è proprio il percorso in cui molte saranno le crepe e le incertezze in cui si troveranno i vari personaggi. Quasi un divenire inevitabile scatenato proprio da quelle donne, centro di tutto e assenti nel pranzo di apertura. In una dinamica, anche narrativa, che partendo dal loro non esserci le rende, invece, assolutamente e costantemente presenti in tutto il resto del libro. Jeanne e Isabella, che diverranno le mogli di Fauni e D’Alessio, saranno quasi una sorta di catalizzatore, di scatenamento di quelle voragini in cui materia e spirito divengono una sola cosa. Tanto più unica quanto misteriosa di irrisolvibile mistero.
Gli egoisti rappresenta veramente una straordinaria ed elegantissima (per stile e profondità) speculazione sul mistero della vita, sulla sua stessa imperfezione che diventa però elemento fondante, creativo e costruttivo. Il demònico di Goethe si unisce a Sant’Agostino in un intreccio inevitabile tra “egoismo intellettuale” e alito incontenibile di vita. Ma in cui il rischio è un’ombra di isolamento di chi fa dell’intelletto un autistico rifugio.
Un libro molto complesso, a più strati. In cui temi “pesanti”, al confine con la teologia intesa come “parola che lega insieme” emergono dalla narrazione e descrizione di elementi di vita quotidiana. Con tutto il suo carico di senso e di impossibile schematismo.