IL RAGGIO RIFRATTO – appunti intorno alla natura dell’arte e per una critica della modernità
Di Gianrico Gualtieri
Lo sviluppo dell’arte all’interno delle civiltà ha una sua fisiologia, procede da un primo stadio simbolico verso forme via via sempre più naturalistiche. Ad esempio nella civiltà greca si passa dalla scultura dei primi kouros attraverso forme di espressione sempre più naturalistiche, che innestano sullo schema simbolico dettagli tratti dall’osservazione del mondo naturale ; dalle prime forme a noi note dell’arte greca si giunge al culmine dell’Ellenismo, cioè ad un’arte compiutamente naturalistica. Oltre questo culmine nessun’arte può andare, e di conseguenza la civiltà collassa e cede il testimone ad un’altra civiltà : Roma, nel caso della Grecia. Nella nuova civiltà tutto ricomincia dalla fase simbolica, e lo schema di quel dinamismo si ripete.
Questa breve considerazione sulla fisiologia dell’arte all’interno della civiltà ci permette di sviluppare delle riflessioni sulla natura stessa dell’arte, così come si rivela dall’esame delle sue forme all’interno delle civiltà a noi note. Simbolismo e naturalismo partecipano l’uno dell’altro, nessuno dei due è completamente scevro dall’altro ; non vanno concepiti come opposti, ma come polarità dialettiche in costante rapporto tra loro, secondo il celebrato modello orientale dello Yin e dello Yang : il punto nero nel campo bianco e il punto bianco nel campo nero.
Considerazioni sulla natura dell’arte che andrebbero opportunamente integrate da una ricognizione filologica dei termini impiegati per designare l’arte, della loro storia e dei loro differenti significati. Tale digressione ci porterebbe però troppo lontano e amplierebbe il presente scritto oltre i limiti del consentito. Ci limitiamo qui a dire che attraverso la storia dei termini emerge il fatto che alle soglie dell’età moderna l’arte viene sempre più incensata e omaggiata da un lato mentre viene dall’altro spogliata di ogni reale importanza, di ogni potere cognitivo, di ogni autentica funzione sociale, di ogni utilità. Gli enciclopedisti s’affrettano ad illustrare e spiegare i differenti mestieri e le arti al fine di procedere alla loro definitiva archiviazione : quel mondo sta per scomparire, anzi è già chiuso, finito.
Una serie di incomprensioni, di deviazioni, di fraintendimenti caratterizzano la visione dell’arte in Occidente. Vi è, certo, un’ambiguità e un’incertezza presente fin dai tempi di Platone e Aristotele che intendevano l’arte rispettivamente come imitazione e come rappresentazione. Ma non è solo questo a rendere problematico e incerto il destino dell’arte nella nostra cultura. Vi è il fatto che la civiltà cristiana è essenzialmente una civiltà ibrida, formatasi dall’innesto di una piccola setta esoterica del Giudaismo sul tipo della religione di Stato propria dell’Impero romano.
Sul finire del Medioevo la civiltà cristiana è già in crisi e si assiste ad un tentativo di « rianimazione » ad opera di Dante in letteratura e di Giotto in pittura, mentre si elabora una metafisica della Luce e in architettura il massiccio stile romanico fa posto al gotico caratterizzato da una maggiore ampiezza delle superfici vetrate destinate, appunto, ad esaltare la Luce.
Tale tentativo ha permesso un momento di respiro ma ha fallito, sostanzialmente, nel tentativo di instaurare o restaurare una dinamica « fisiologica » all’interno della civiltà cristiana, che ha conosciuto invece « sviluppi » inattesi in concomitanza con la caduta dell’Impero d’Oriente (la cui arte era eminentemente simbolica, è bene ricordarlo). La dinamica fisiologica simbolismo/naturalismo non soltanto non è stata restaurata, ma è stata definitivamente spezzata ed è divenuta incomprensibile e di conseguenza, impraticabile.
Con l’Umanesimo e il Rinascimento si prepara l’apogeo della nostra civiltà, costituito dal Seicento che è l’omologo dell’Ellenismo per la civiltà greca. Ma è un apogeo costituito da un naturalismo che, sebbene compiuto e sviluppato, è ormai dimentico della sua matrice simbolica. Il Vasari definisce « fantocci » le figure dei mosaici ravennati, esprimendo chiaramante che il naturalismo viene ormai concepito come la sola modalità possibile per l’arte. Ma un naturalismo così concepito degrada rapidamente verso una mera imitazione e riproduzione del dato sensibile, cosa che infatti non mancherà di verificarsi nei secoli successivi. E a quel punto basterà meccanizzare completamente il processo per ottenere la fotografia.
Invece di segnare un punto catartico che cede il passo ad un’altra civiltà, il nostro apogeo diviene punto critico, punto, secondo la sua definizione, nel quale non vi sono più parti e tutto collassa e il concetto stesso di civiltà, insieme a quello di arte, diviene problematico e perde il suo senso. La dinamica fisiologica si arresta e il solo sviluppo possibile diviene allora la direzione di quello che io chiamo il « raggio rifratto » : lo sviluppo avviene secondo una direzione che sebbene provvista di una sua realtà intrinseca, fattuale, cronologica, è tuttavia deviata rispetto alla legittimità dello sviluppo e all’essenza dell’arte.
L’arte si è snaturata divenendo qualcosa che porta ancora nominalmente il nome di arte ma la cui sostanza è svanita o è divenuta estremamente problematica e ambigua ; il suo sviluppo è ormai meramente cronologico, e come nel modello cronologico ogni istante si basa sul precedente e dà luogo ad un istante seguente, ma quello che va perduto è il contatto con la verità e col valore, in altri termini un’omologia o analogia. Il naturalismo si meccanicizza e diviene pura “copia” del dato sensibile (pensiamo all’iperrealismo che imita la fotografia: qui veramente Platone avrebbe avuto ragione di dire “copia della copia”). La dinamica della nascita, morte e “trapasso” (nel senso di passaggio ad un’altra civiltà) dell’arte all’interno di una civiltà data non è più operante; in luogo di ciò vi è solo una pseudo-cultura che si autoalimenta, si autopropaganda e si autolegittima.
Come via ancora possibile vi è solo un lavoro di studio, di memoria e di ricerca, le sole dimensioni che possano contrastare l’oblìo in un estremo tentativo di ristabilire un rapporto con la verità.