Sono nato in provincia di Arezzo e vivo a Roma da sei anni. Mi sono laureato in Arti e scienze dello spettacolo alla Sapienza e sto conseguendo la magistrale in Editoria e scrittura nello stesso ateneo. Per le edizioni SuiGeneris ho pubblicato il mio primo libro dal titolo "Si innamoravano tutti di me e io del loro amore". Recentemente ho vinto il premio Ossi di Seppia e sono finalista del premio Alda Merini.

Di Fabrizio Sani

Un fiume

Sdraiato: profilo fetale in quest’ansa stagnate.

Bagnato dal fluire putrido di questo fiume

m’incurvo, come un sopracciglio, in un riso

maligno e nervoso. Ferito da un colpo alle spalle.

Mangiare le unghie, le dita e una volta terminate

rosicchiare l’osso, a fatica, come avessi denti di legno.

Con lo stesso accento, la stessa inflessione nel pronome

e le stesse pause dici: “tocca il mio ventre”,

dici: “dispongo il mio bagaglio e vado fuori”.

Fosse nel nero di una buonanotte, saprei come orientarmi,

fosse in un capriccio d’estate, saprei come orientarmi,

ma tuttora è primavera e il sole si lascia ancora guardare negli occhi.

Nel comune vuoto planano gli aerei di carta

e si ammassano scheletri in questa insenatura.

Ci sono anche i detriti, i miei organi,

e un punto d’inchiostro che si è essiccato.

Darò una pulita a tutto, sì, e proverò a contare fino a dieci.

Uno strato di polvere si è ormai formato sull’ultima cosa detta.

I miei spiriti mi stuprano come si stupra un bambino;

quel bambino di quattro, cinque anni,

non di più. Mi racconta cos’è un mattatoio.

È come enorme tritacarne, dice,

Serve a mangiare, dice.

Però a me non piace pensarci quando sono a tavola, dice.

Sento il freddo in ogni nervo del corpo,

nella vena in bassorilievo che ho sul collo,

un freddo che si mischia col sangue e

mi lascia la sensazione che non mi scalderò più.

Mi avvolgo in una carcassa

come fosse un lenzuolo su cui hai giaciuto.

Si va verso la sera e la brezza diventa blu scuro,

alle porte di un altro anniversario

e nessuno che si arrischia a farmi un regalo,

di regali devo rifornirmi da solo e non ho più manco una moneta.

Indugerò. Cullerò il vuoto dei natali disabitati

che mia madre ha scandalosamente partorito.


Una canzone triste

Mia nonna è il dipinto di mia nonna.

Mia nonna è l’inquilina di mia nonna.

Per me era il volto della domenica mattina

e qualche nascita e qualche morte e qualche eternità

che rotolavano dentro le rughe di un paese

senza spingersi mai oltre la vecchia chiesa.

Mia nonna si avvicina lentamente,

molto più lentamente di ogni altra volta.

Mia nonna è il male minore di mia nonna.

Mia nonna mi mette una mano sulla spalla

e i capelli smorzano la carezza che dona.

Mia nonna è quel gesto obliquo con cui le tengo la testa

e ci insegna che niente dà più intimità della sofferenza.

Si ricorda quella canzone triste,

dice che fa: na na-na-na-na na na.

Per la prima volta in una vita intera

le sorrido per davvero.


In copertina Fabrizio Sani (Foto da facebook)