L’Armonia musicale può raccontare il dolore
Di Adriana Sabato
Da diversi mesi ormai il coronavirus controlla e condiziona le nostre vite, persino i nostri pensieri.
In musica invece la parola corona è esattamente l’opposto: simboleggia la libertà, l’improvvisazione, l’attesa.
La corona è un segno grafico che prolunga la durata della nota o della pausa sulla quale è scritta, per un tempo indeterminato. L’interprete decide quanto deve durare questa nota o questa pausa e, così facendo, interviene sul parametro del tempo che in musica è un aspetto fondamentale.
Il compositore Olivier Messiaen, vissuto nel secolo scorso, ha esplorato la sospensione del tempo. Di origini francesi, nato ad Avignone, fu un grande testimone della sua epoca.
Venne assoldato, nel 1939, nel corso della seconda guerra mondiale, come ausiliario medico dell’esercito, ma ben presto divenne prigioniero dei tedeschi e fu internato nel campo di sterminio di Görlitz, nella Slesia polacca.
Così il compositore ricorda il suo arrivo al campo:
Come tutti gli altri prigionieri, dovetti spogliarmi. Nudo com’ero, continuavo a stringere, con uno sguardo spaventato, un sacchetto che conteneva tutti i miei tesori. E cioè una piccola libreria di partiture d’orchestra in formato tascabile che sarebbero state la mia consolazione quando, come gli stessi tedeschi, avrei sofferto la fame e il freddo. Questa eclettica, piccola libreria, andava dai Concerti Brandeburghesi di Bach alla Suite lirica di Alban Berg.
Qui incontrò altri tre prigionieri musicisti. Grazie a questa fortuita coincidenza non solo non smise di esercitare la propria passione per la musica, ma riuscì anche a scrivere il Quartetto per la fine dei tempi (Quatuor pour la fin du temps).
…il violinista Jean Le Boulaire, il violoncellista Etienne Pasquier, e il clarinettista Henry Akoka. Fu per questo organico, a cui Messiaen stesso si sarebbe aggiunto come pianista, che il compositore francese ideò e scrisse il suo quartetto; tuttavia ciò non sarebbe stato possibile senza la volontà di Karl-Albert Brüll, ufficiale nazista particolarmente colto e illuminato che riconobbe il compositore e che lo rifornì di tutto il necessario per scrivere.
La composizione è organizzata in otto movimenti, scelta che lo stesso Messiaen giustifica in tal modo:Sette è il numero perfetto, la creazione dei sei giorni santificata dal sabbat divino; il sette di questo riposo si prolunga nell’eternità e diviene l’otto della luce indefettibile, della pace inalterabile.
Quando ero prigioniero, l’assenza di cibo mi dava sogni colorati: vedevo l’arcobaleno dell’angelo e strani turbini di colori. Ma la scelta dell’angelo che annuncia la fine del Tempo ha motivazioni molto più profonde. Da musicista, ho lavorato con il ritmo. Il ritmo è, per sua essenza, mutamento e divisione. Studiare il mutamento e la divisione significa studiare il tempo. Il tempo – misurato, relativo, fisiologico, psicologico – si può dividere in mille modi tra i quali il più immediato per noi è la perpetua conversione dell’avvenire nel passato. Nell’eternità queste cose non esisteranno più. […]
La composizione non vuole solamente descrivere un passo tratto dall’Apocalisse di Giovanni, ma rappresentare in musica quel momento descritto nella Bibbia in cui termina lo scorrere del tempo (l’orrore della guerra) e ha inizio l’eternità.
La metrica nel Quartetto per la fine dei tempi non esiste. Esiste invece la manipolazione e la sospensione del tempo. Così la musica intende convivere con il dolore, raccontandolo attraverso mezzi come la corona e i ritmi imprevedibili della natura, ricreati attraverso diversi artifici suoi propri.
La prima esecuzione del Quatuor avvenne il 15 gennaio 1941. Cinquemila prigionieri costituirono l’uditorio di quell’evento e, di loro, Messiaen serberà un tenero ricordo: Mai ho avuto ascoltatori più attenti e comprensivi.
Gli storici esecutori riuscirono tutti e quattro a uscire indenni dalla guerra e dal campo di prigionia. Ebbero poi la fortuna di vivere fino a tarda età: a parte Henri Akoka, morto nel 1975, gli altri storici esecutori perirono durante gli anni Novanta.
Eppure mai più i quattro musicisti si trovarono tutti insieme e mai più il quartetto fu risuonato dagli stessi interpreti, facendo ancora riecheggiare nella leggenda quella serata e questo brano.
ASCOLTA QUI:
https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/musica/il-quartetto-per-la-fine-dei-tempi/
Riferimenti bibliografici:
Armando Gentilucci, Olivier Messiaen, in Guida all’ascolto della musica contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1992.
https://www.consaq.it/files_repos/pubblicazioni/riviste/musica/962/Music@_n9_lug-ago2008.pdf