Ma bomba o non bomba, noi, arriveremo a Roma
Di Geraldine Meyer
Traffico di opere d’arte durante la guerra, anzi, sarebbe meglio dire veri e propri furti del patrimonio artistico. Partigiani, gente comune, fascisti allo sbando e per questo ancora più pericolosi, monaci, abbazie. Questo il contorno umano di Non esistono luoghi lontani, di Franco Faggiani, scrittore, giornalista e camminatore. Nel periodo più cruento della guerra, con l’Italia divisa in due, tra nazisti in ritirata e alleati che avanzano, Faggiani ci porta lungo la dorsale appenninica, in un viaggio da nord a sud, per riportare a Roma un carico di opere d’arte che i nazisti volevano far arrivare, da Bressanone a Berlino. Protagonisti due uomini, tanti diversi tra loro da non potere, a un certo punto, stabilire un rapporto di amicizia e reciproco rispetto. L’anziano professore Filippo Cavalcanti, valente archeologo, e il giovane Quintino, ragazzo ischitano si conoscono appunto a Bressanone, l’uno mandato dal Ministero per controllare che il “furto” venga portato a termine, l’altro a far lì il confino.
La situazione per il paese è non solo incerta ma drammatica e, per motivi diversi, rappresenta per entrambi quel necessario punto di svolta che arriva quando si decide da che parte stare. Così, in groppa a un camion, caricate le opere d’arte sottratte al controllo dei nazifascisti, I due uomini intraprendono una calata verso Roma per riportare quei tesori nella città eterna. Un viaggio che sarà geografico, storico ma, soprattutto, umano. Con, a far da cornice, quell’Appennino, teatro di vicende talmente importanti da sembrar quasi mitologiche.
Vallate, boschi, fiumi, piccoli paesi, sono il filo rosso che unisce vicende umane, drammatiche ed eroiche, narrate con un bel ritmo e un bel gioco dialettico tra Filippo e Quintino. La saggezza del primo è naturale complemento alla scapestrata pragmaticità del secondo. Due facce della stessa medaglia, separate solo, apparentemente, dalla differenza anagrafica e da un vissuto quasi agli antipodi.
Tra scene e dialoghi che sembrano quasi fatti apposta per diventare un film, il lettore viene portato in un momento davvero drammatico della storia del nostro paese. Un momento in cui, un viaggio del genere, diventa quasi inevitabilmente, la metafora politica e sociale dell’Italia di allora. Filippo e Quintino sono, in un certo senso, la rappresentazione di tutta quella parte del popolo italiano che non ha accettato di piegarsi a un regime criminale e ladro. E tutte le persone che incontrano durante il percorso appaiono come frammenti di una umanità in parte coraggiosa, in parte incline alla vigliaccheria.
Un romanzo on the road, se così possiamo chiamarlo, in cui il viaggio su un camion “truccato” da veicolo della Croce Rossa, diviene emblema di quelle decisioni che non possono non essere prese quando, tutto attorno, sembrerebbe suggerire di nascondersi e ubbidire.
Quando arriveranno a Roma, nel frattempo liberata, i due uomini si renderanno conto che i pericoli non sono finiti. E decideranno di proseguire ancora più a sud, verso Ischia, per trovare una sistemazione ancora più degna a quelle opere d’arte portate in viaggio come simbolo di una bellezza e di una cultura che dalla ignoranza del potere vanno difese a tutti i costi.
Un libro che si legge quasi come una favola ma il cui tono leggero ben restituisce uno dei moneti peggiori della storia del nostro paese. Costellato però da tanti esempi di umanità, coraggio e resistenza. Perché, come dice a un certo punto Quintino: “Non esistono posti lontani ma solo posti da raggiungere.”
Romanzo
Fazi Editore
2020
285 p., brossura