Modi indefiniti. La poesia di Federica Gallotta
Di Anita Mancia
Questo delicato e nitido volumetto ospita la raccolta di poesie Modi indefiniti di Federica Gallotta. Raccomando di leggere la bella e chiara prefazione che spiega il senso del titolo: «All’inizio c’era il verbo ma per lei, ad essere precisi, ci sono solo “i modi indefiniti” del verbo, che nella lingua italiana sono l’infinito, il participio e il gerundio. Modi che non hanno tempi né generi, e indicano più che una persona un movimento o un gesto, e lo stesso modo indefinito, spersonalizza la persona, mette un po’ da parte l’io, lo scansa, lo scardina. E sono “modi indefiniti” non a caso molto amati da poeti e prosatori latini che hanno in testa la chiarezza».
Quindi almeno quattro le caratteristiche dei modi indefiniti: scardinare l’io, scansarlo, metterlo da parte, e la sua presenza nella letteratura latina, amati dai poeti e prosatori latini cui caratteristica è la chiarezza. Gullotta ha molto frequentato la poesia latina, in particolare Orazio e Tibullo presenti già nel titolo della tesi di Gullotta che è programmatico: «I luoghi della tranquillità in Orazio e Tibullo». Importantissima la prefazione per inquadrare e comprendere il testo. L’opera dell’autrice è articolata in tre sezioni: Cotidie, Heroides, Ridicula.
Di Cotidie scelgo un breve testo a pagina 23, che dal quotidiano sviluppa una riflessione:
Come foglie le settimane
sfuggono dalle mani
di chi pensa di averne troppe.
persino il caffè viene su in fretta,
lo prendiamo e fugge la vita.
Resta soltanto la polvere
sugli oggetti silenziosi in casa mia”.
Questa è una scrittura semplice, senza orpelli che mette in evidenza come dell’esistenza giornaliera resti solo la polvere, mentre tutto viene su in fretta, compreso il caffè: lo prendiamo e fugge la vita.
E quest’altro testo:
In formazione. Essere veloci tempestivi
non aspettare la fine dell’estate, tagliare
tagliare, quei fiorellini: belli da guardare però
s’ha da fare: decidere, recidere. E poi dimenticare
tutto, tranne che giugno tornerà: aspettare”.
Qui davvero siamo in presenza di modi indefiniti: l’infinito che caratterizza ogni azione: togliere il fiore in formazione, essere veloci, non aspettare la fine dell’estate, tagliare, tagliare quei fiorellini (fiore/fiorellini), s’ha da fare (un impersonale): decidere recidere e poi dimenticare tutto, tranne che giugno tornerà, è la sola forma verbale al futuro indicativo, che in sé ha una necessità apodittica e che conclude con un altro infinito: aspettare. Si sente in questi versi un incalzare, un muoversi in fretta che è tensione verso un’azione indefinita ma necessaria: aspettare. E’ tutto giocato fra questi tre modi indefiniti: non aspettare la fine dell’estate/tagliare tagliare quei fiorellini/aspettare che giugno tornerà, una nuova fioritura (non aspettare/tagliare/aspettare).
Invece i modi finiti ritornano qui con gli infiniti:
“E’ un lento sollevare mattutino. Non so mai
dove – durante la notte – la moka s’è spostata
verso quale destino, di credenza o lavello
e con lei lo strofinaccio e il barattolo
del caffè. Mi dicesti che c’è: un rimedio, un metodo
per ritrovare le cose: cioè non usarle. Tutte
disporle insieme, come un sacrificio, e così
(mi avvisi ancora) ritroverei i biscotti, insonnoliti
e la mia pace all’apertura degli occhi, nell’attesa
calma dell’infusione del tè, quando ancora
intorno a me ogni cosa sonnecchia beata.“.
Si comincia con un indefinito lento sollevare al mattino, un personale non so mai dove – durante la notte – la caffettiera si è spostata e poi il metodo per ritrovare le cose, che appare bello, ed è l’apporto di questo testo: non usarle e disporle insieme come un sacrificio. Si noterà la personale punteggiatura del testo. Mi dicesti che c’è: un rimedio un metodo per ritrovare le cose: cioè non usarle.
E qui ancora la tensione del verso che approda a una conclusione:
“mentre mi taglio un’arancia per farla spremuta
rifletto sul cavolo viola sul tavolo e chiedo
con vero stupore se l’abbia oppure no comprato io”.
E qui ancora una volta il ritorno dei modi indefiniti, in una poesia che spiega bene il senso di quei modi applicandolo all’amore che tutti noi cerchiamo:
‘Alla fine di ogni gran discorsi
filosofia analisi e sproloqui
ciò che vogliamo ruota attorno
a quei verbali modi indefiniti
che non imparammo mai bene a scuola:
amando essere amati!
Ci avessero avvisati, prima
li avremmo preferiti a quella rima cuore
amore che imbarazza ancora tutti, senza mai
soddisfare il proprio autore”.
Ciò che vogliamo è amore, amando essere amati. Preferibile, questo alla rima cuore/amore che imbarazza ancora tutti, senza mai/soddisfare il proprio autore, dove c’è un gioco di rime interne e di assonanze.
Per concludere infine con una poesia ancora sull’amore che è opposto, nella conclusione, a quello che successe a Papay, nelle Orcadi al re Nechtan, ricordato da George Mackay Brown, il quale era impazzito per la bellezza degli occhi di una donna e questa restituì a lui quegli occhi infilzati su una lunga spina e si ritirò in contemplazione: la visione interiore. Qui invece la poetessa non dà i suoi occhi: “Ti do tutto fuorché gli occhi. /Lì dentro c’è il paguro senza casa/in una notte di marea da luna piena”. La poesia che apre la collezione bella, con una scrittura apparentemente semplice, in realtà nuda, nitida e chiara, ricorda negli oggetti la semplicità degli oggetti di Morandi, come i suoi esempi classici.
Poesia
Interno Poesia Editore
2020
85 p., Brossura