Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

Modi indefiniti. La poesia di Federica Gallotta

Di Anita Mancia

Questo delicato e nitido volumetto ospita la raccolta di poesie Modi indefiniti di Federica Gallotta. Raccomando di leggere la bella e chiara prefazione che spiega il senso del titolo: «All’inizio c’era il verbo ma per lei, ad essere precisi, ci sono solo “i modi indefiniti” del verbo, che nella lingua italiana sono l’infinito, il participio e il gerundio. Modi che non hanno tempi né generi, e indicano più che una persona un movimento o un gesto, e lo stesso modo indefinito, spersonalizza la persona, mette un po’ da parte l’io, lo scansa, lo scardina. E sono “modi indefiniti” non a caso molto amati da poeti e prosatori latini che hanno in testa la chiarezza».

Quindi almeno quattro le caratteristiche dei modi indefiniti: scardinare l’io, scansarlo, metterlo da parte, e la sua presenza nella letteratura latina, amati dai poeti e prosatori latini cui caratteristica è la chiarezza. Gullotta ha molto frequentato la poesia latina, in particolare Orazio e Tibullo presenti già nel titolo della tesi di Gullotta che è programmatico: «I luoghi della tranquillità in Orazio e Tibullo». Importantissima la prefazione per inquadrare e comprendere il testo. L’opera dell’autrice è articolata in tre sezioni: Cotidie, Heroides, Ridicula.

Di Cotidie scelgo un breve testo a pagina 23, che dal quotidiano sviluppa una riflessione:

Come foglie le settimane

sfuggono dalle mani

di chi pensa di averne troppe.

persino il caffè viene su in fretta,

lo prendiamo e fugge la vita.

Resta soltanto la polvere

sugli oggetti silenziosi in casa mia”.

Questa è una scrittura semplice, senza orpelli che mette in evidenza come dell’esistenza giornaliera resti solo la polvere, mentre tutto viene su in fretta, compreso il caffè: lo prendiamo e fugge la vita.

E quest’altro testo:

In formazione. Essere veloci tempestivi

non aspettare la fine dell’estate, tagliare

tagliare, quei fiorellini: belli da guardare però

s’ha da fare: decidere, recidere. E poi dimenticare

tutto, tranne che giugno tornerà: aspettare”.

Qui davvero siamo in presenza di modi indefiniti: l’infinito che caratterizza ogni azione: togliere il fiore in formazione, essere veloci, non aspettare la fine dell’estate, tagliare, tagliare quei fiorellini (fiore/fiorellini), s’ha da fare (un impersonale): decidere recidere e poi dimenticare tutto, tranne che giugno tornerà, è la sola forma verbale al futuro indicativo, che in sé ha una necessità apodittica e che conclude con un altro infinito: aspettare. Si sente in questi versi un incalzare, un muoversi in fretta che è tensione verso un’azione indefinita ma necessaria: aspettare. E’ tutto giocato fra questi tre modi indefiniti: non aspettare la fine dell’estate/tagliare tagliare quei fiorellini/aspettare che giugno tornerà, una nuova fioritura (non aspettare/tagliare/aspettare).

Invece i modi finiti ritornano qui con gli infiniti:

E’ un lento sollevare mattutino. Non so mai

dove – durante la notte – la moka s’è spostata

verso quale destino, di credenza o lavello

e con lei lo strofinaccio e il barattolo

del caffè. Mi dicesti che c’è: un rimedio, un metodo

per ritrovare le cose: cioè non usarle. Tutte

disporle insieme, come un sacrificio, e così

(mi avvisi ancora) ritroverei i biscotti, insonnoliti

e la mia pace all’apertura degli occhi, nell’attesa

calma dell’infusione del tè, quando ancora

intorno a me ogni cosa sonnecchia beata.“.

Si comincia con un indefinito lento sollevare al mattino, un personale non so mai dove – durante la notte – la caffettiera si è spostata e poi il metodo per ritrovare le cose, che appare bello, ed è l’apporto di questo testo: non usarle e disporle insieme come un sacrificio. Si noterà la personale punteggiatura del testo. Mi dicesti che c’è: un rimedio un metodo per ritrovare le cose: cioè non usarle.

E qui ancora la tensione del verso che approda a una conclusione:

“mentre mi taglio un’arancia per farla spremuta

rifletto sul cavolo viola sul tavolo e chiedo

con vero stupore se l’abbia oppure no comprato io”.

E qui ancora una volta il ritorno dei modi indefiniti, in una poesia che spiega bene il senso di quei modi applicandolo all’amore che tutti noi cerchiamo:

Alla fine di ogni gran discorsi

filosofia analisi e sproloqui

ciò che vogliamo ruota attorno

a quei verbali modi indefiniti

che non imparammo mai bene a scuola:

amando essere amati!

Ci avessero avvisati, prima

li avremmo preferiti a quella rima cuore

amore che imbarazza ancora tutti, senza mai

soddisfare il proprio autore”.

Ciò che vogliamo è amore, amando essere amati. Preferibile, questo alla rima cuore/amore che imbarazza ancora tutti, senza mai/soddisfare il proprio autore, dove c’è un gioco di rime interne e di assonanze.

Per concludere infine con una poesia ancora sull’amore che è opposto, nella conclusione, a quello che successe a Papay, nelle Orcadi al re Nechtan, ricordato da George Mackay Brown,  il quale era impazzito per la bellezza degli occhi di una donna e questa restituì a lui quegli occhi infilzati su una lunga spina e si ritirò in contemplazione: la visione interiore. Qui invece la poetessa non dà i suoi occhi: “Ti do tutto fuorché gli occhi. /Lì dentro c’è il paguro senza casa/in una notte di marea da luna piena”. La poesia che apre la collezione bella, con una scrittura apparentemente semplice, in realtà nuda, nitida e chiara, ricorda negli oggetti la semplicità degli oggetti di Morandi, come i suoi esempi classici.

Modi indefiniti Book Cover Modi indefiniti
Federica Gallotta. Prefazione di Gabriella Sica
Poesia
Interno Poesia Editore
2020
85 p., Brossura