Argomentazione di Linés-Fellow. Tutto il fascino della manipolazione
Di Geraldine Meyer
La casa editrice Prehistorica Editore prosegue nella sua navigazione nella letteratura francese. Mantenendo la barra dritta per quanto riguarda scelte per nulla banali, per nulla scontate e, ancor più, per nulla facili. E lo conferma portando, per la prima volta in Italia, questo Argomentazione di Linés-Fellow, del nizzardo Jean-Marc Aubert, classe 1951, pressochè sconosciuto nel nostro paese. Ma finalista, in patria, al premio Goncourt e vincitore di uno dei più prestigiosi riconoscimenti, il Prix De La Renaissance.
Un romanzo che, da subito, disorienta e confonde con le parole dell’autore che, sapendo di mentire, ci dice: “Non cercate qui alcuna forma di letteratura: non è questa la mia intenzione. Io vorrei, secondo l’esempio dei saggi scientifici che sono solito leggere, stilare un resoconto oggettivo, se possibile, della performance di Mell Fellops.”
Chi è Mell Fellops? Un giovane un po’ bizzarro, colmo di strane e ossessive manie, che correrà una maratona. Tutto normale. Se non fosse che Mell Fellops è su una sedia a rotelle. E Linés-Fellow, medico, è colui che, cinicamente e in modo “politicamente scorretto” lo convincerà a intraprendere questa scommessa. Folle, eroica, disumana.
Con una scrittura a volte ostica e sincopata Jean-Marc Aubert costringe, proprio attraverso essa, il lettore a incontrare le stesse difficoltà del povero Mell Fellops. Cosa vuol dire correre una maratona sulla sedia a rotelle? A senso parlare di una corsa? E continua ad essere tale anche quando, le mani spellate per l’attrito sulle ruote, Mell Fellops si metterà a strisciare?
Quale è la natura del rapporto tra i due? Un novello Pigmalione che disegnerà il corpo dell’altro quasi facendogli perdere pezzi poco a poco? E un uomo vittima di una influenza a cui gli è impossibile sottrarsi? In realtà, proprio per l’invincibile e irrisolvibile continua contraddizione che è la vita stessa è difficile stabilire chi stia manipolando l’altro. E Jean-Marc Aubert sembra proprio volerci mettere in guardia dal giudizio affrettato. Facendo quasi una paradossale, surreale e un po’ macabra elegia della manipolazione stessa.
Considerato un erede di Samuel Beckett, in questo libro, effettivamente, Aubert mette in scena il più cristallino teatro dell’assurdo che nulla risparmia né al lettore né all’insensatezza della vita stessa. Linés-Fellow sembra agire, tra queste pagine, come alter ego dello scrittore facendosi carico, per interposta, persona, di una chirurgica “autosservazione” che, alla fine, diventa autoassoluzione. Perché, in fondo, è quello che spesso accade nella vita. E che ancor più accade nella letteratura che il diritto di autoassolversi se lo prende a forza. Quando è bella letteratura.
E allora diventano quasi lenitive le stesse sgradevoli parole non lesinate in questo libro, i crudeli giudizi che Linés-Fellow getta addosso a Mell Fellops. Le ferite nella carne di Mell sono le stesse ferite che si provoca il lettore leggendo questo libro. E forse sono le stesse che si procura, scrivendolo e mentre lo scrive, lo stesso Aubert. Come dice, del resto il grande Eric Chevillard nella prefazione: “Ma, ad ogni modo, un romanzo è innanzitutto ed essenzialmente la storia di un libro in corso di scrittura. I fatti e le gesta dei protagonisti non sono mai altro che la trascrizione nell’ordine dell’aneddoto dei movimenti profondi di una coscienza provata.”
E da questo libro si esce provati e molto. Senza sconti.
%image% %title% %rating% %prime% %price% %description% %disclaimer%
Romanzo
Prehistorica Editore
2020
127 p., brossura