Mario Buda e la nascita anarchica del terrorismo
Di Geraldine Meyer
Chi era Mario Buda? Un anonimo calzolaio partito dalla Romagna e arrivato a Ellis Island nel 1907 dopo aver attraversato l’oceano bordo della Regina Italia? Un anarchico disposto a tutto pur di veder vincere l’Idea? O forse, in fondo, come Matteo Cavezzali gli fa dire a conclusione di questo bellissimo Nero d’inferno: “L’unica cosa vera è che mi chiamo Mario Buda, sono nato a Savignano sul Rubicone il 13 ottobre 1884. Dal 14 ottobre 1884, tutto quello che hai sentito dire è stato inventato. Tutte menzogne, tutte storie di fantasmi.”
Mario Buda, arriva in America agli inizi del ‘900, come quell’altro milione di italiani che, per trovare una vita migliore, si imbarcano su piroscafi che attraversano l’oceano. Qui diventa Mike Boda e il suo nome si lega a quello dell’espressione Boda’s Bomb (sinonimo di autobomba) e a quello della prima legge antiterrorismo del mondo. Un anarchico passionale, furente, granitico che, sotto la guida dell’ideologo Luigi Galleani, inizia a percorrere la strada della lotta contro lo sfruttamento. Sono anni duri quelli per gli immigrati. Per gli italiani e per quella che viene chiamata dalla politica e dall’opinione pubblica americana “la feccia europea”. Feccia di cui gli italiani rappresentano il gradino più basso, “i negri dal colore della mozzarella”. Anni in cui il sogno americano si è presto mutato in un incubo di miseria e fame per quegli immigrati tra cui, la fame stessa, scatenerà una guerra tra poveri.
Buda di giorno lavora in fabbrica, provando sulla sua pelle l’orrore della catena di montaggio, di quel fordismo che subito si dimostra per quello che è: una nuova forma di schiavitù. Ma la sera diventa un commerciante illegale di whiskey dopo avere accarezzato il sogno di fare il calzolaio nella Grande Mela. Ma New York sarà solo, per lui, il regno nero del proibizionismo e della mafia italiana che di tutto prende il controllo. Anche della creazione dei pregiudizi sugli italiani.
E così, mentre gli Stati Uniti, accecati dalla paura, danno vita alle prime leggi anti immigrazione, la storia di Buda si intreccia a quella di Sacco e Vanzetti, accusati e condannati a morte per un reato mai commesso. Fino all’attentato, a lui attribuito, che sconvolgerà il paese. Un ordigno scoppia a Wall Street, emblema dell’oligarchia finanziaria che tutto governa, lasciando sulla strada 38 morti e 143 feriti. Di lui, a quel punto, si perderanno le tracce, tranne quelle labili, mai confermate, che lo vogliono prima in Messico, sulle orme di Villa e Zapata, poi a Parigi e poi in Italia a tentare di porre fine alla vita di Mussolini. Tornerà poi a Savignano, il paese natio, riprendendo a fare il calzolaio. Portando con sé la sua verità e i suoi segreti.
Già, ma quale verità? Cavezzali tenta di ricostruirla in un libro che va per accumulo. Riportando testimonianza, documenti e le parole di chi lo ha conosciuto. Ma che valore hanno quelle testimonianze. Che valore ha una testimonianza che si contraddice, che riporta, inevitabilmente, un punto di vista? Come si può costruire una verità storica, oltre che giudiziaria e politica? È lo stesso Cavezzali a ricordare l’importanza del dubbio quando scrive: “Quello che si racconta nei libri può anche accadere davvero, ma quello che è accaduto veramente non può essere scritto in nessun libro”.
Che cosa può, dunque, il racconto rispetto a ciò che davvero è stato? Può, e questo Nero d’inferno è qui a dircelo, provare a comprendere senza che questo diventi giustificare. Può tentare di raccontare cosa ci sia nella testa di un terrorista, quali siano i passi che, per accumulo, possono portarlo a lottare per un’idea, costi quel che costi. Fosse anche la vita degli altri oltre che la propria. E forse anche per questo, ad un certo del libro, quasi impercettibilmente, la storia di Mario Buda sembra sovrapporsi a quella di Anis Amri, il ragazzo tunisino che […] dopo aver rischiato la vita in mare, sbarca a Lampedusa, la porta d’Europa, nel 2009. Lavora per un periodo in una fabbrica tra Rimini e Ravenna, poi va a Berlino per compiere un attentato. Fa una strage al mercatino di Natale, alla guida di un camion bianco.” La bandiera nera dell’anarchia che “diventa” quella del fascismo e, in un salto ardito solo nelle apparenze, quella di Al Qaida. Che strade segue la violenza e da quali germi di ingiustizia reale e percepita mette radici?
Le pagine più forti del libro sono, e forse non a caso, quelle in cui Cavezzali ci racconta la situazione sociale e politica degli immigrati europei in un’America poco disposta ad accoglierli, tra odio e paura, tra razzismo e sfruttamento. In un claustrofobico e perverso gioco di azione e reazione. Le radici di quello che chiamiamo terrorismo sono dunque europee? E ad accendere la miccia è stata quella America che della lotta al terrorismo ha fatto la sua, spesso isterica, bandiera? Cavezzali è bravissimo nel lanciare domande, lasciando che sia il lettore a trovare, se non risposte, almeno dubbi. In molti punti sembra di leggere, quasi scopertamente, le stesse dinamiche attuali, le stesse chiusure nazionaliste e razziste di oggi. La feccia europea di allora è oggi quell’Europa che parla di feccia mussulmana e africana? Perché Nero d’inferno, tra le tante cose che ci dice, ci dice anche che la storia segue spesso un percorso circolare, illudendosi di progredire.
Romanzo, biografia, storia
Mondadori
2019
295 p., rilegato