Nel panorama ricco e glorioso delle riviste culturali e letterarie italiane trova posto, e certo tra i primi, Il Baretti. Fondata da Pietro Gobetti nel dicembre del 1924, concluse le sue pubblicazioni quattro anni dopo, nel dicembre del 1928. Quello che, nelle intenzioni, doveva essere il supplemento letterario di un’altra rivista gobettiana, La Rivoluzione liberale, si conquistò la dignità di rivista vera e propria. Anche per motivi di “forza maggiore”. Infatti Il Baretti rimase come supplemento fino al 1925 quando La Rivoluzione liberale fu costretta a interrompere le pubblicazioni su ordine del regime fascista. Rima se anche come “eredità” gobettiana proseguendo la pubblicazione fino a due anni dopo la morte del suo fondatore, avvenuta nel 1926.
Ciò che questa rivista voleva rappresentare nel mondo della cultura è espresso molto chiaramente in quelle righe che ne volevano raccontare genesi e programmi
Avrà nel mondo letterario il compito della Rivoluzione liberale nell’attività politica. Suscitare preoccupazioni di serietà ed esigenze di pensiero, di critica, di stile nelle nuove generazioni
Già nel nome appariva chiaro quanto questa rivista volesse operare una sorta di rottura rispetto all’ambiente letterario del regime. Chi era, infatti Baretti? Fu un critico letterario, poeta, linguista e traduttore del ‘700, divenuto famoso con lo pseudonimo di Aristarco Scannabue. Spirito ribelle, anticonformista ma non troppo fu a sua volta fondatore della rivista Frusta letteraria, vera fucina polemica rivolta, in particolare contro il bigottismo e la poesia bucolica. La scelta del nome, Il Baretti, appare dunque come un biglietto da visita di una visione non enfatica e non accademica della letteratura.
I nomi dei collaboratori della rivista, soprattutto nella seconda parte della vita della stessa, raccolgono alcune delle menti e delle penne più importanti e fervide del panorama culturale italiano. Basti citare, tra gli altri, Leone Ginzburg, Natalino Sapegno, Giacomo Debenedetti, Giuseppe Prezzolini e Luigi Einaudi.
Letteratura straniera
Il Beretti si distinse non solo per lo spazio lasciato ad autori allora sconosciuti ma, soprattutto, per la visione internazionale delle sue pagine che videro la collaborazione di molti autori stranieri. In questo è innegabile come la rivista abbia, in qualche modo, rappresentato una vera novità in tal senso. Un esempio, certo non l’unico, fu la pubblicazione del saggio di Debenedetti su Proust, quelli di Ginzburg dedicati alla letteratura russa e quello dello stesso Gobetti dal titolo Il paradosso dello spirito russo.
Ma fu in paticolare l’attenzione rivolta alla letteratura tedesca ciò che costituì molto del cuore editoriale de Il Baretti. Come ci ricorda Michele Sisto nel saggio La letteratura tedesca del Baretti. Piero Gobetti e la genesi di un nuovo habitus editoriale: “«Il Baretti» è la prima rivista in Italia a presentare Stefan George e tra le prime a occuparsi di Rainer Maria Rilke, con articoli e traduzioni. È anche la prima a interessarsi all’espressionismo, insistendo in particolare sul teatro di Fritz von Unruh e di Georg Kaiser. Accanto alle traduzioni e agli articoli usciti sulla rivista tra il dicembre 1924 e il febbraio 1926 – quando Gobetti muore, a Parigi, lasciando la direzione all’amico Santino Caramella – vanno inoltre considerati due importanti volumi pubblicati nelle Edizioni del Baretti: il primo studio organico sul Teatro tedesco del novecento, uscito nel 1925 a firma di Leonello Vincenti e la prima Antologia della lirica tedesca contemporanea, curata nel 1926 da Elio Gianturco.” [1]
Il Baretti ebbe una nascita non certo semplice. Fu infatti annunciata nel 1921 ma fu proprio la situazione politica contro cui Gobetti per altro già combatteva a rimandarne l’uscita tre anni dopo. Lo stesso Natalino Sapegno: “L’intenzione fu attuata solo nel dicembre del 1924 allorché l’attività del giornale politico si faceva sempre più difficile e irta di ostacoli e si rendeva evidente la necessità di affiancarla ed eventualmente sostituirla con un organo di idee e di informazioni operante su un terreno più sgombro.” ( Cultura militante, Il Contemporaneo, III, 1956, n.7).
E’ evidente dunque come Il Baretti non sia mai stato, in realtà, un semplice supplemento, assurgendo da subito a strumento di lotta culturale, e quindi politica, anche attraverso il tentativo di sprovincializzare il panorama culturale proprio grazie alla collaborazione di scrittori stranieri e allo spazio assicurato alle letterature estere.
Su Circe, Catalogo Informatico delle Riviste Culturali Europee, dell’Università degli Studi di Trento, leggiamo: “In «Rivoluzione Liberale» Gobetti annuncia che il «Baretti» avrà nel mondo letterario il compito che ha «Rivoluzione liberale» nell’attività politica: «Suscitare preoccupazioni di serietà ed esigenze di pensiero, di critica, di stile nelle nuove generazioni»; ma sarà attraverso un comunicato stampa (pubblicato da Gian Paolo Marchi in Il viaggio di Lorenzo Montano e altri saggi novecenteschi, Padova, 1976) che presenterà più esaurientemente il periodico: «Il tono della nuova rivista sarà dato da un gruppo di giovani scrittori, i primi della generazione nuova che si siano affermati con vera originalità e con costanza di lavoro. Ma al “Baretti” collaboreranno contemporaneamente i migliori scrittori italiani […] Sin d’ora si può ritenere che il Baretti riuscirà il centro di raccolta della nuova letteratura e darà un bell’esempio di rivista indipendente aperta agli spiriti più nuovi e più audaci, europea nei risultati e nell’aspirazione. La cultura italiana ha avuto troppi movimenti d’improvvisazione che credevano con una formula e con facili teorie di rinnovare il mondo e il risultato è ormai un vero e proprio oscuramento di valori, un distacco dalla serietà e dal buon gusto. È tempo di lasciare da parte i programmi troppo facili e definitivi e di lavorare per creare un interesse, senza secondi fini, per la letteratura, per determinare un’atmosfera di maggior comprensione e di maggiore intimità morale. Il “Baretti” di fronte al provincialismo e alla retorica dilaganti intraprenderà una vera battaglia di illuminismo e di stile europeo». [2]
Il primo numero della rivista
Il carattere fortemente volto a un profondo impegno civile, fu chiaro fin dal primo numero della rivista. E lo fu proprio attraverso le parole di un saggio dello stesso Gobetti, intitolato Illuminismo: “Le confuse aspettazioni e i messianismi di questa generazione dei programmi, che per aver messo tutto in forse si trovava a dar valore di scoperte anche alle più umili faccende quotidiane, preparavano
dunque l’atmosfera di una nuova invasione di barbari, a consacrare la decadenza. Anzi, i letterati stessi, usi agli estri del futurismo e del medievalismo dannunziano, trasportarono la letteratura agli uffizi di reggitrice di Stati e per vendicare le proprie avventurose inquietudini ci diedero una barbarie priva anche di innocenza. Con la stessa audacia spavalda con cui erano stati guerrieri in
tempo di pace, vestirono abiti di corte, felici di plaudire al successo e di cantare le arti di chi regna.
E’ ovvio che con questi cenni non si fa un processo a persone ma si descrive un’atmosfera spirituale
di cui son pure restati immuni spiriti rari e individui originali con cui noi abbiamo un certo obbligo
di mettere in comune il lavoro. Insomma sotto il nostro linguaggio di condanna c’è una volontà di
conservare, di riabilitare, di trovare degli alleati”. [3]
Note
[1] https://books.openedition.org/ledizioni/2870?lang=it
[2] https://r.unitn.it/it/lett/circe/il-baretti
[3] Il Baretti di Gobetti, di Bruno Romani, in http://circe.lett.unitn.it/le_riviste/riviste/bibliografia_spe/biblio/Baretti-Romani.pdf