Non è un posto sicuro
Di Flavio Prestifilippo
L’alba era il momento più bello per lei.
In qualunque stagione scostava la tendina per ammirare lo spicchio di cielo e apriva una fessura per far entrare l’aria fresca del mattino.
Dopo un po’ era già pronta per un’altra giornata.
Prima d’inforcare lo scooter, scivolava nel chiosco bar. Nino la salutava con un bacio, mettendole davanti un caffè e una brioche calda.
Ogni mattina lo stesso rituale, poi la sera una storia da raccontare al suo diario. Il capo l’esortava sempre invano ad andare in pensione.
Qualche collega a volte l’invitava alle festicciole familiari.
Lei rassegnata accettava: sapevano tutti che era sola da quando il marito se n’era andato.
Lucia procedeva veloce nello scarso traffico. Giunta alla Centrale caricava di lettere lo zaino, sbirciando come sempre la lista.
E, puntualmente, tutto ricominciava.
Portoni grandi, piccoli, qualche portiere sorridente. Lucia correva accanto al grande parco. Speriamo tutto bene, pensava.
Un giorno s’era addentrata a piedi vista la bella giornata.
Un ammasso di cartoni sulla solita panchina. Conosceva da tempo il vecchio Aldo. Provò a chiamarlo: non le avrebbe risposto mai più.
Oggi, vecchia mia, sarà una bella giornata, pensò per incoraggiarsi.
All’ora di pranzo si concedeva un piatto di pasta, ogni giorno diverso. Di solito ascoltava le ultime notizie senza levare lo sguardo dal piatto, ma stavolta il chiacchiericcio tra banconista e clienti era troppo vivace. Non parlavano di sport. Rinchiusa in sé stessa, Lucia preferì non sapere nulla.
Si concentrò sugli spaghetti e sul bicchiere di vino rosso.
Quindi scappò via.
Il pomeriggio è lungo, si disse.
La pausa del thè con l’amica portinaia era uno dei momenti belli della giornata. La cara vecchia Marietta era una chiacchierona e le riempiva la testa di fandonie. Questa volta la vide seria, concentrata.
“Lucia” fece la portinaia, “s’è liberato un appartamento. Il signor Taschetta ha rinunciato a respirare l’aria della nostra città. Se conosci qualcuno che lo vuole in affitto, fammelo sapere. Per te ci sarà un piccolo regalo”.
Quel giorno il cestino dei biscotti era particolarmente abbondante.
“Sai, Marietta,“ disse Lucia, prima di andarsene, “mi trovavo a pranzo, sempre al solito posto, e sentivo che discutevano animatamente. Ma non ho capito bene…”.
La portiera sgranò gli occhi e le sorrise.
Avevano questo tacito patto: Marietta le preparava quasi ogni giorno il thè, l’altra in cambio le passava le notizie che inevitabilmente raccoglieva col suo girovagare.
A fine giornata Lucia faceva un giro in centro per i negozi. Ammirava le vetrine, sognava sempre di comprare qualcosa. Poi come appagata, rientrava in casa per la cena. Alle 20.30 I soliti ignoti era il suo programma preferito.
Ma quella sera era giunta in anticipo per ascoltare la cronaca nera.
Un vecchio fotografo in pensione era stato ucciso da un’auto pirata mentre attraversava il viale in compagnia di un amico.
Il conducente aveva confessato che s’era distratto per l’arrivo di un messaggio sul telefonino. Lucia conosceva quel fotografo. Sentendo la notizia, emise un lungo sospiro. Sembrò quasi un epitaffio.
Cadenzato e preciso il vecchio orologio a cucù batteva le ore facendole così compagnia. A ogni finto cinguettio lei si fermava sorridente.
D’estate, per alleviare il caldo, accendeva un ventilatore per non soffocare nel piccolo appartamento a piano terra. Prima di spegnere la luce amava leggere qualche pagina di un romanzo sentimentale, il suo genere preferito. Poi, sbirciava ancora una volta il cellulare, prima di posarlo sul comodino e prender sonno.
Speriamo non chiami nessuno, fantasticava, oggi sono particolarmente stanca.
Tutti quegli attentati in Francia e Germania e i cadaveri mostrati alla tv mi hanno disturbata. Lo ripeteva a se stessa con un ultimo sospiro.
I suoi giorni trascorrevano più o meno uguali.
La pausa pomeridiana con Marietta era il solo momento di svago.
“Hai sentito cosa è successo?“ si dicevano reciprocamente.
Ma dopo un po’ di tempo Marietta cominciò ad avanzare ogni genere di scuse per non riceverla più.
Un giorno, spazientita, Lucia affrontò l’amica.
“Scusami cara” confessò la portinaia, “te l’avrei detto al momento giusto. Ho conosciuto un uomo, un vedovo. Capirai che devo dedicarmi completamente a lui. Certo che ci vedremo lo stesso, ogni tanto, siamo amiche, no?”
Quella sera Lucia non accese il televisore e lasciò spento il cellulare. Le lettere multicolori degli altri divennero la sua vera vita.
Una brutta mattina, appena uscita dalla Centrale con lo zaino già pieno, tre uomini incappucciati fecero irruzione negli uffici gridando e sparando.
Sbigottita, Lucia si fermò a osservare la scena a bocca aperta.
Quando arrivarono i poliziotti, Lucia diede le generalità, affermando di non avere riconosciuto nessuno. S’informò poi sullo stato di salute del dirigente colpito al capo dai delinquenti, e iniziò il solito giro.
Sono in forte ritardo, si ripeteva, ma stasera devo riuscire a vedere Montalbano. Sembra che si tratti di due episodi inediti.
Dopo un paio di settimane dal ministero inviarono un nuovo dirigente, in quanto il precedente restava in coma profondo.
A Lucia piacque subito la novità.
Ci voleva qualcuno decisamente più giovane. Speriamo sia anche bello. Era quello che andava ripetendo ai colleghi. Quelli l’ascoltavano appena.
Mi evitano, capì in seguito.
Il nuovo arrivato fece una riunione plenaria, offrendo di tasca propria un rinfresco. Per Lucia fu un bellissimo pomeriggio.
Manlio – questo il nome del nuovo capo – ricordò brevemente il predecessore, poi chiamò uno a uno tutti quanti i dipendenti.
Quando Lucia udì il suo nome temette di svenire Si sentì avvampare in tutto il corpo, cosa che non le accadeva da anni. Lui le strinse calorosamente la mano, sorridendole varie volte. Che stretta vigorosa, si vede che è giovane!, si disse correndo in bagno per ricomporsi.
Il momento del cocktail fu salutato con gioia inusitata.
Solo una collega, Marta, non toccò cibo. Era messa in disparte e leggeva attentamente un giornale.
“Perché non vieni con noi, mangia qualcosa. Ci stiamo divertendo” l’esortò Lucia.
“Non hai saputo? “sbottò l’altra, “in pieno centro dei giovinastri hanno malmenato due gay che si baciavano!”
“Poverini,” commentò Lucia, ”ma anche loro… baciarsi in pubblico… ma tu mangia qualcosa, sei impallidita. Sei sicura di star bene?”
Marta non poteva più ascoltarla.
Era andata via correndo.
Per la colazione del mattino aveva cambiato bar. Quello di Nino da qualche tempo era ormai pieno di emigranti.
Un’invasione, commentava con chiunque le capitasse a tiro.
Nel quartiere c’era tutto un mormorio per le tante facce di colore che si arrangiavano facendo i lavori più umili e disparati.
Molti servivano nei ristoranti.
Alcuni facevano addirittura i pizzaioli: se n’era accorta quando una sera si era concessa un pizza con Marietta e il nuovo compagno.
Su un punto s’erano trovati d’accordo: la città stava cambiando colore!
A quella battuta avevano riso tutti di cuore. Poi Lucia era tornata a casa borbottando.
Aveva sempre avuto idee politiche chiare. Addirittura in gioventù era stata iscritta al partito comunista.
Ma tutta quella confusione di razze, con inevitabili delinquenti importati dall’Africa, le avevano fatto radicalmente mutare opinione.
Era quello che affermava con convinzione, aggiungendo subito dopo: “la città non è più un posto sicuro!”
Basta, gridò quasi un giorno. Voterò quel politico nuovo che promette ordine, lavoro e tranquillità. Si era pure consultata con le tante persone che incontrava: parevano tutti solidali con lei.
Un sabato, mentre tornava dalla solita passeggiata, decise di sedersi su una panchina per gustarsi il gelato appena comprato.
Lungo la strada s’era fermata in un negozio di fiori gestito da una amica con cui amava fare lunghe discussioni.
Era sempre stata attratta dai fiori finti Lucia. Quel giorno ne aveva trovato di nuovi e aveva deciso di acquistarne qualcuno.
Il gelato era finito, e si stava chiedendo cosa fare. Andare al cinema da sola? L’aveva fatto già parecchie volte.
Le urla le aveva sentite subito, ma come in altre occasioni aveva scelto di ignorarle. La confusione aumentò ancora di più.
Impaurita, Lucia non osò avvicinarsi.
Stavolta la sua attenzione era desta, il trambusto stava durando a lungo.
Intravedeva qualcuno gemere per terra, mentre altri, su di lui, lo riempivano di botte. Dopo un tempo interminabile, il silenzio calò improvviso nella strada.
Cautamente, Lucia si avvicinò, trascurando i fiori sulla panchina. Altri avevano già raggiunto la scena.
Un uomo di colore era a terra, esanime, pieno di ferite e lividi.
Lucia l’osservò per qualche minuto, poi dovette appoggiarsi a un muro. Non riusciva più a muoversi.
Con le mani s’asciugò poi a fatica gli occhi umidi.
Uno sconosciuto la spiava. “Signora, lo conosceva vero?” le chiese, con una strana luce negli occhi.
Intanto un’ambulanza accorreva inutilmente a sirene spiegate.