L’ultimo libro di Michele Marziani, Lo sciamano delle Alpi, edito da Bottega Errante Edizioni si apre con una riunione di famiglia. Tre fratelli si ritrovano a casa della madre per discutere di un affare vantaggioso. La decisione, su richiesta della madre, potrà essere presa solo dopo aver avuto il parere del quarto fratello, di cui nessuno sa più nulla da anni. Come spesso succede, i soldi fanno gola e i tre fratelli, ormai degli sconosciuti tanto la vita li ha tenuti lontani – si vedono, da che il padre è morto, giusto per il pranzo di Natale –, decidono di unire le loro forze in questa ricerca. La storia, narrata con gli occhi di Anfio Beltrami, «titolare della cattedra di oncologia medica in una delle università più prestigiose della Lombardia», scorre via veloce, con dialoghi realistici e ben ritmati, riflessioni non scontate e spesso volutamente contraddittorie – chi non pensa tutto e il contrario di tutto – e spiazzanti. Bravo davvero Marziani nel mantenere alta la concentrazione, a sorprendere costantemente il lettore con piccoli spaccati della vita dei tre, con battute di spirito, frecciatine e veri e propri litigi che spesso durano, come ben sa chi ha fratelli o sorelle, il tempo di una parola ed è sufficiente un sorriso per farli cessare.
La parte migliore, almeno per il sottoscritto, arriva quando la ricerca porta i fratelli a doversi scontrare con il passato e i luoghi della loro infanzia-gioventù. In questo pezzo, «(…) Entriamo nel parcheggio della trattoria. Scendiamo. Guardiamo la saracinesca del piccolo negozio di alimentari di fianco al bar. Abbassata, sarà che è domenica. Arrugginita. Sarà il tempo. Lo sguardo si sposta verso il campo da bocce. Erbacce. Giro il collo verso la casetta delle trote: il tetto è sfondato. Alzo gli occhi: le finestre sono sbarrate. La porta è chiusa. La cuccia è vuota. Silenzio assoluto. Non c’è più niente. Il cuore pulsante delle nostre estati non emette alcun suono. Non batte più. Ma che razza di posto è diventato questa valle?
Mi guardo intorno e sento le risate, i pianti, le grida, i giochi, gli sfottò di tante domeniche in cui qui c’erano decine, centinaia di persone sedute tra il bar, il pergolato, il campo da gioco e il prato» e nella domanda (ma ce razza di posto è diventata questa valle?) che lo stesso Anfio si pone, trovo la dolorosa affermazione del tempo sull’uomo, del vorticoso cambiamento intercorso negli ultimi decenni, tanto forte e prorompente da aver letteralmente spazzato via un intero modo di vivere. Provo le stesse sensazioni descritte ogni volta che torno al paese dei miei nonni, abbandonato dai più, assediato dal bosco e dalla noncuranza, dimenticato da chi tra quelle case ha vissuto gli anni migliori. Ogni volta mi chiedo come sia potuto accadere…divago, come fa spesso Anfio nel raccontare la storia, perdendosi in lunghe e piacevoli ragionamenti che rendono, se possibile, ancor più credibile il racconto.
C’è un altro passaggio particolarmente interessante, è questo «(…) Mi alzo, conto sull’effetto del freddo. Vado a prendere una boccata d’aria alla piccola finestra. La apro. Tanto gli altri dormono. E vedo l’oscurità. Nera che sembra pece. Profonda come il buio. Poi piano piano si fa strada il luccichio di una piccola stella, un’altra, un’altra ancora, una costellazione, poi costellazioni intere e migliaia e migliaia di stelle che, a prima vista, stanno nascoste nel cielo. Questo posto è magico» dove ritrovo non solo la meraviglia per uno spettacolo naturale, quasi scontata verrebbe da dire, se non fossero molti, e oserei dire i più, a non ricordare di quanto il mondo fuori dalle nostre case e dai mondi virtuali che ci siamo creati, sia capace di regalarci. Sembra crederci Anfio, colto alla sprovvista, toccato nell’animo, ma dura poco. La quotidianità, la strada percorsa, le scelte fatte, tornano prepotentemente a guidare le idee dell’uomo e dei fratelli, ognuno attirato dal proprio centro di gravità. È un peccato, mi dico, eppure è giusto cosi, equilibra la storia, le da spessore, e ancora una volta, consistenza.
Rimangono le riflessioni, tirate fuori, proprio così, il verbo è quello giusto, grazie alla sapienza di Marziani, bravo a parlarne ma, con la giusta dose di leggerezza, senza cadere nella retorica, quella l’ha usata, appena sopra, il sottoscritto.
Non avevo letto altro dell’autore, sono felice di aver iniziato da un libro interessante, che mi ha saputo conquistare. Raccomandato, per quanto vale, e consigliato a chi, oltre a una bella storia cerca un testo su cui approfondire alcuni temi della vita senza doverlo fare annoiandosi dietro parole pesanti.
Narrativa
Bottega Errante Edizioni
2020
208 p., brossura