Gli ermellini neri. Negli abissi del male
Di Geraldine Meyer
Leggere Gli ermellini neri, di Michele Prisco, è un’esperienza che, per usare un ‘espressione del critico letterario Simone Gambacorta, procura una sorta di disallineamento. Non certo dalla storia e dalla consueta maestria di Prisco nell’uso della lingua, quanto semmai dalla coscienza e dall’adesione, tutta interiore, del processo di lettura. Una storia di cui si avverte subito, di pagina in pagina, la tensione che ogni passo anticipa sul passo successivo. Ma anche una storia che sconquassa, è il caso di dirlo, l’apparente solidità dell’acquisito, l’illusoria certezza del saper collocare il male e il bene. Epperò, nonostante questo, l’assenza di giudizio ma anche dello schieramento di campo.
E forse sono proprio queste inquietudine, lacerazione e violenza a costituire la vertigine di tutto questo bellissimo Gli ermellini neri. Una storia sì metafisica venata di noir ma, ancor più, una serie di interrogativi letteralmente sbattuti in faccia al lettore, con tutta la loro forza di concretezza, quotidianità, inaccettabile eppure ineludibile umanità. Il male, la consapevolezza di esso, la sua definizione, i suoi confini. Ma anche plagio, incesto, manipolazione, libera scelta o ferita traumatica non rimarginabile.
C’è tutto ciò in questo Gli ermellini neri. Un libro che, già nel titolo, pare voler mettere insieme qualcosa di lieve e qualcosa di cupo. Perché il male, o quello che la società ritiene tale, è qualcosa che ci appartiene, che si annida in quei luoghi dell’umano tanto presenti quanto inaspettati. E allora, forse, il male ha una genesi che non è solo la sua attuazione ma anche il godere, senza compierlo, del male perpetrato dagli altri, o dall’Altro.
In una immaginario eppure plausibilissimo paesino del sud comincia la storia proseguita poi in una città altrettanto innominata, raccontataci da due voci, da due memoriali. Quello di Alvaro Surace, il luciferino protagonista, e quello, quasi a controcanto, di colui che pare quasi agire da coscienza, da morale e da moralizzatore. In un continuo “gioco” che provoca, che ci provoca e ci costringe a chiederci, con lealtà, dove si annidi il male anche in noi. In ciascuno.
E siamo così portati in una storia di esorcismi che macchieranno la vita di Alvaro, costretto al sacerdozio come voto, come sorta di sacrificio, dai genitori, vittime di quello che fu ritenuto un caso di possessione. E qui il primo stigma, il demoniaco che da padre e madre tracima sul figlio come peso di una colpa impossibile e, proprio per questo, quasi come alibi. Predestinazione? Libero arbitrio. Da qui, da questa prima domanda, da questo primo abisso tutto comincia.
In seminario Alvaro conoscerà Sebastiano, forse una sorta di suo alter ego, uno specchio, colui che si dimostra capace di passare all’atto e di compiere quel male che Alvaro si ostina a desiderare ma a non avere il coraggio, fino a quel momento, di compiere. Sebastiano sarà, per lui, un lasciapassare, un varco verso le maglie di un gioco pericoloso, che a cascata porterà a dipendenze psicologiche, a manipolazioni e vere e proprie violenze e abusi. A farne le spese, certo, la povera Stella, che di Alvaro diverrà l’amante e il di lei figlio Simone. In un gioco in cui la sessualità abbandona (e questa è la grandezza di Prisco) la genitalità per divenire ciò che è: la potenza della parola. Che, di per sé non è né buona né cattiva. A seconda del delirio superomista che vi si annida e del suo tracimare che ne è causa ed effetto al contempo.
Ma i confini non sono mai così netti, la sottile corda su cui si cammina, in bilico sull’abisso, è perennemente scossa dal vento e, in un istante, può passare da un campo all’altro. Per questo motivo anche la voce dell’anonimo testimone il cui diario fa da controcanto, in alcuni momenti appare per nulla esente da godimento, da sottile piacere del male fatto. Piacere da cui pensa di tenersi al riparo con il giudizio e con la sua rappresentazione e cioè la denuncia per plagio che travolgerà Alvaro.
Gli ermellini neri è un libro che andrebbe riscoperto perché possiede una potenza devastatrice che è quella dell’inattualità. Inattualità propria di ciò che riguarda l’umano, sempre e per sempre. Chi commette il male, chi sembra non poterlo non commettere, ma anche chi è sicuro di esserne immune, cammina sullo stesso crinale dell’umano abisso nero. E, sembra dirci questo libro, anche la vittima oscilla pericolosamente tra l’essere succube e l’essere autodeterminata.
BUR
Letteratura
Rizzoli
In questa edizione 1993
279 p., brossura