I segreti di Elvira
Di Nino Arrigo
Elvira Seminara ci conduce, tra le braccia e sullo sfondo di una Catania maliarda e voluttuosa, in un vortice di avventure e di segreti.
Tra erotici understatement mentre si condivide un camerino, durante lo shopping tra le vie del centro, surreali e improvvisate sedute psichiatriche in auto, durante una bomba d’acqua che scoperchia anche i tombini dell’inconscio, e avventure sentimentali per ingannare la noia.
Un mosaico di citazioni e riferimenti intertestuali e meta-testuali che, come le molliche di pane di Hansel e Gretel, segnano la via del ritorno a casa di Elvis, inquieta e a un tempo saggia protagonista del racconto.
Alle prese con un universo di segni da interpretare, antinomie che rimbalzano e capovolgono la realtà come un boomerang, plastica metafora di un racconto ibrido che, come la sua protagonista, vive sulla soglia: metà romanzo e metà saggio, si alimenta di mille variazioni surreali e metafisiche condite da dissacrante umorismo (alla Woody Allen). E il pensiero corre, per il tramite dell’Uomo senza qualità di Musil (il cui incipit è opportunamente citato in apertura), anche a La noia di Moravia. La noia, infatti, è una segreta protagonista del testo (anche nel senso etimologico di desiderio di conoscenza). “La noia è la noia”, come affermava la Cecilia di Moravia, con neghittosa tautologia. Eppure è Dino, il protagonista, a scavare come l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij tra l’ambivalenza dei sentimenti, un po’ come Elvis/Elvira.
E così la noia diventa una partita doppia: attraente mistero impenetrabile e assuefatta consuetudine a un tempo. Desiderio di conoscenza, horror vacui, nichilismo e ricerca di senso. Veleno e rimedio, come un pharmakos. Un vero e proprio boomerang come nella felice metafora di Elvira, i cui segreti sembrano nascondere un’inconscia vocazione al saggio, alla maniera del romanzo di Moravia.
I protagonisti di questo romanzo sono tutti sulla soglia dei sessanta, in preda a un “supplemento di vita”, tutti impegnati a misurare “lo spazio smisurato del possibile”, vittime di un desiderio “che è molto più di un’erezione” (Cesare), elemosinando “quote d’amore”:
chi invece non è stato amato, o amato male, avrà per sempre una specie di fame nervosa, un ammanco che non puoi colmare, e anche se costruirai un legame farai i conti con questo buco dentro, insaziabile, criminale, uno spasmo che brucia il fegato, la gola, e diventi pericoloso, se non stai in guardia ti riassorbe e ti fagocita nello stesso gorgo, senz’aria e senza luce, acrimoniosa, a reclamare risarcimenti, restituzioni dal mondo, pentimenti. (p. 45)
Le loro vite si perdono e si incrociano, mentre alla cromoterapia preferiscono la “cronoterapia” (cura del tempo), una sorta di carpe diem post-moderno in un pluriverso più liquido e instabile del cosmo einsteiniano, dove il tempo è relativo.
Olivia, vedova di un marito che stramazza al suolo nel giorno, galeotto, del divorzio, si muove tra shopping e avventure sentimentali e Pietro, che chiama “intollerabilmente scopamico”, è il preferito di Elvis. Mentre Cesare, in piena crisi con Sofia, non disdegna Elvira. E Luca, giovane amante di Miriam, seduce ragazze in un centro commerciale, spiato da Elvis e Olivia.
Al centro di questa narrazione centrifuga e a perdifiato sta Elvis, alter ego e nick name di Elvira, l’autrice nei panni, complicati, dell’autore nel testo, pronta ad accompagnare il lettore come un’animale guida, alla ricerca dei misteri e dei segreti, dei lapsus e dei significati inconsci del testo. Perché non c’è niente al di qua e al di là del testo, sembra suggerire Elvira sulla scorta di Derrida. Ed eccola, un po’ maga, un po’ sciamana, onnipresente e onnisciente, un po’ come se Manzoni fosse il protagonista de I promessi sposi, piuttosto che godersi soltanto lo spettacolo, con fare sornione. Che fatica essere autori!
È un libro gustoso I segreti del giovedì sera (Einaudi 2020), grazie a una scrittura sapida e ammaliante, quasi magica, fitta di “trappole e allusioni”. E così, quello che, a tutta prima, suona all’autrice come un lapsus in bocca a uno dei suoi personaggi: “cronoterapia”, tradisce, forse, uno dei significati segreti del libro.
E così il lettore, incantato, precipita nel gorgo, come risucchiato da un buco nero, nella trappola dell’eterno ritorno nietzscheano evocato, in filigrana, già in apertura, dal riferimento a L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera.
Pesantezza e leggerezza, in un infinito vagabondare a spasso per il cosmo o per le vie di una Catania vivace e labirintica, si alternano senza mai una meta nelle vite dei personaggi, che rimangono sempre sulla soglia, assorti ad ammirare e interpretare un indecifrabile orizzonte marino o un tramonto dove, ciò che appare, è soltanto una visione sfuocata e misteriosa. Impossibile da fotografare in un perfetto “dal vero”, come in un romanzo realista. E cosi, Elvira, un po’ come la Vera Nestorof pirandelliana, fa intravedere, attraverso i lampi della sua scrittura scoppiettante, un oltre nelle cose.
Ma l’enigma resta enigma. Ricoperto dal gran sudario di quel mare, mitico e indifferente, che bagna Catania “a squarci e incastri”. Come nel finale de I Malavoglia o, da un’altra parte del pluriverso letterario, di Moby Dick.
I Coralli
Narrativa
Einaudi
2020
200 p., brossura