Jacopo e Porthos: liberi di essere (in due). Recensione a L’arte di cavalcare il vento di Francesco Tiberi
Di Carolina Montuori
Un andamento narrativo vibrante e leggero, come le vele incurvate e tese dal vento marino, caratterizza il romanzo L’arte di cavalcare il vento di Francesco Tiberi, pubblicato da 96 rue de-La-Fontaine Edizioni, nella collana Il lato inesplorato. Umanità arcaica che si esprime in un labirinto magico di volti, personaggi tratteggiati con la levità di un pittore impressionista. Un libro plasmato dall’evidente ricercatezza lessicale, tra esperimento e tradizione. Il come e il quando sommersi dalla realtà di dialoghi vivi, di parole collocate sulla pagina bianca come su un altare, elementi lessicali consacrati alla creatività pura, in caleidoscopio di registri linguistici piacevolmente armonizzati. Al centro di questo universo due antipersonaggi che ne evocano mille altri, in un flusso palpitante che si anima, al tempo giusto, alla luce della parlata maceratese, dal sangue rosso vivo, vera come la terra che l’ha messa al mondo.
Jacopo, l’Errante è accompagnato in ogni momento della storia dalla figura di Porthos, cane d’Oltralpe, pantagruelico nella stazza e, di conseguenza, nel rapporto con il cibo. Un Don Chisciotte e un Sancho Panza che, come in Cervantes, arrivano a fondersi in una diade, al punto che il lettore li individua di fatto come due personaggi in una sola sostanza.
Francesco Tiberi riesce a rappresentare un’architettura narrativa di rara efficacia, nella quale, capitolo per capitolo, i personaggi secondari interagiscono con i protagonisti rendendosi trasparenti, senza mediazioni o misteri. Jacopo, “purosangue destinato a sfracelli accademici” sembra aver rifiutato in piena consapevolezza le certezze di una strada predestinata, dedicandosi alla ricerca di se stesso. Apprende con disincanto “l’arte di cavalcare il vento”, lontano dal paese natìo.
Vi ritorna, ricco di umanità, alla ricerca di qualcosa che nel testo è lasciato all’immaginazione del lettore. Rivede le persone da cui si è separato come in un rewind, che apre per lui una seconda possibilità: “Entrando, trovò l’aria più leggera di quanto ricordasse”. Il cane che è con lui è l’allegoria dell’esperienza, acquisita in terra di Francia, ora fida consigliera per immergersi ancora nel labirinto di relazioni in una luce nuova, per Jacopo più rassicurante.
E’ un romanzo senza inizio e senza fine. E’ un eterno ritorno all’uguale, che definisce il nostro rapporto con la vita. Romanzo anche didascalico, dunque. L’autore ha la capacità di gestire la chiave del significato, i dialoghi, con estrema sapienza, attraverso un ritmo narrativo infallibile. La parola del protagonista si rispecchia nello sguardo del cane, depositario di un’antica saggezza, quella della strada. In definitiva vivono insieme la più grande avventura: quella della libertà. “Giunto in Italia, il suo pellame diventava ogni giorno più sano e lucente. Le cicatrici che gli segnavano la groppa svanivano sotto il mantello risorto. Jacopo cercò le nocciole scintillanti dei suoi occhi. Afferrato il guinzaglio, Porthos comprese immediatamente, dirigendosi all’uscita. Uno di fronte all’altro, sorridendo. Grati, fratelli.”
Romanzo
96 rue de La Fontaine Edizioni
2018
308 p., brossura