Mascarò. La fantasia contro la dittatura
Di Geraldine Meyer
Scriveva Kerouak nel libro Sulla strada: “Perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbafigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali coloro giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno oooohhh”.
Chissà se Haroldo Conti avrebbe trovato questa frase così vicina alla descrizione, a una possibile descrizione del suo Mascarò. Uscito per la prima volta in Italia nel 1983 da Bompiani con la traduzione di Francesco Saba Sardi, torna ora in libreria grazie a Exorma, con la nuova traduzione di Marini Magliani, questo libro in cui la pazzia c’è, ed è vita, ed è cultura. Siamo in una Argentina polverosa, ad Arenales, in una piccola locanda in cui l’orchestra suona, trascinandosi tra sopore e guizzi, fino alle prime luci dell’alba. Attesa. Di cosa? Del Mañana, un improbabile e mal messo vascello dal nome evocativo, Domani, che condurrà Oreste da qualche parte. Dove? Non si sa, perché forse il porto d’attracco nemmeno esiste. E anche per questo saranno straordinari i passeggeri che si imbarcheranno. Tra cui il bizzarro Principe Patagòn, che principe non è ma forse lo è ancor più di quanto l’araldica non vorrebbe. E poi il misterioso Mascarò, giocolieri, cuochi cantanti, artisti fantasiosi e senza parte ma tanta arte.
Prende così forma un folle circo, una compagnia di artisti girovaghi, di sgualciti saltimbanchi e pugili che, ad ogni tappa, si aggiungono al circo che più che un tendone è un sogno. Un sogno fatto di abbandono della vita di prima e di nuove identità, un sogno fatto di strade da cercare e da inventarsi. Un sogno di follia che, proprio per questo, sarà contagioso. Nei paesini stanchi e tristi in cui la carovana passa e si ferma, le persone cambiano. Si ribellano, cercano un riscatto, sulle note di una milonga, di un tango, di uno spettacolo, con i ruggiti sbiaditi di Budinetto, un leone vecchio e stanco ma, nel profondo, indomito. Alla ricerca, anche lui, di un luogo in cui la sua maestà sia riconosciuta di nuovo. Che poi è quello che, ciascuno a suo modo stanno cercando anche quei girovaghi, vagabondi artisti. Pazzi di vita come i pazzi di Kerouak, anche loro nomadi on the road.
Ma, si sa, la fantasia, la parola, la cultura, non sono ben viste dalle autorità. Che siano politiche o religiose temono la sovversione all’ordine costituito che vive di quello che, per loro, è l’ordine naturale delle cose. Quella banda di pazzi fa cultura, quindi fa politica. In un paese che si sta avvicinando a quello che resta il capitolo più buio e vergognoso della sua storia tutto ciò è inaccettabile. Arriveranno gli arresti, arriveranno le torture. Ma qualcosa resterà intoccabile, quella parola che indicala strada, a ciascuno la sua. Quella parola che trasforma gli uomini in uccelli che si librano in volo, liberi e imprendibili.
Vietato, si spera, parlare di realismo magico solo perché si ha a che fare con quello che, a tutti gli effetti, è diventato ormai un classico della letteratura argentina. Haroldo Conti, scrittore desaparecido, sequestrato nel 1976 e solo molti anni dopo, per ammissione dello stesso criminale Generale Videla, finito nelle vittime ufficiali, mette in scena in questo Mascarò (alias Joselito Bembè, pistolero misterioso e combattente politico) in modo commovente e quasi visionario, la sua stessa storia. La storia del suo paese e quella di chi, con la cultura e con l’immaginazione rappresenta il pericolo maggiore per ogni dittatura, per ogni forma di controllo, per ogni criminale e sanguinaria tortura che, se piega i corpi, nulla può contro la pazzia, affamata di vita.
Uno stile pirotecnico e ruvido insieme, personaggi eccentrici e di forte concretezza proprio nella loro imprevedibilità e nella loro musicale sarabanda vagabonda. Pur nella drammaticità di alcune scene finali, Mascarò fa ciò che, appunto, la cultura deve fare: mettere in ridicolo l’autorità cieca che, per vivere, ha bisogno del silenzio dell’ignoranza.
Letteratura sudamericana
Exorma Editore
2020
356 p., brossura