Luca Morettini Paracucchi, nato il 24 febbraio 1988. Lucchese da tutta la vita, Viterbese da qualche tempo. Ho una passione molto forte per ciò che riguarda il cinema, la letteratura, la musica, il mondo dei fumetti e dell'arte in generale. Tra le mie passioni hanno un posto di rilievo il mondo del punk e certi aspetti della cultura cosidetta nerd. Scrivo da quando avevo otto anni, recentemente ho ripreso dopo un periodo di stop. Spero sia la volta buona

Niente operazione tuono nel 2065

Di Luca Morettini

L.V, queste erano le sue iniziali, non lasciò niente di scritto il giorno in cui decise di farla finita. Nessun biglietto, nessuna lettera straziante, nessuna parola per descrivere il perché di quel suo gesto improvviso.

I parenti, gli amici che lo conoscevano da anni, erano tutti al corrente della sua natura malinconica, tendente al bicchiere mezzo vuoto con punte di tristezza emotiva tendenti al bicchiere totalmente in frantumi. Un carattere fragile ed estremamente sensibile lo accompagnava fin da quando aveva acquisito coscienza del mondo.

Non ci avrebbe mai scommesso nessuno in realtà che L.V potesse arrivare alla decisione finale di porre fine all’inquietudine interna che lo caratterizzava, per due semplici motivi: nessuno sapeva quanto fosse grande la sua inquietudine interna ma in compenso tutti sapevano della sua grande paura di morire. Non tanto della morte in sé, quanto dell’idea che tutto potesse concludersi in un eterno nulla nero, un sonno senza sogni, l’azzeramento totale dell’esistenza.

Per quanto questo sarebbe stato un problema di cui non si sarebbe mai accorto, il pensiero di non esistere l’atterriva completamente. Gli capitava a volte di non riuscire a dormire la notte e la mente iniziava a vagare per affari suoi attraversando gli argomenti più disparati. Se per sbaglio con i suoi ragionamenti fosse andato a finire proprio lì, avrebbe avvertito subito tutti i sintomi di un attacco d’ansia imminente.

Uno come lui non avrebbe mai potuto farla finita.

Invece accadde.

La notte del 15 luglio 2020 salì sul tetto del suo condominio e si schiantò sull’asfalto dopo un volo di poco più di 50 metri. Un macabro spettacolo di cui il suo vicinato si sarebbe difficilmente dimenticato.

Piansero lacrime abbondanti e sincere tutte le persone che gli volevano bene, completamente in balia della più totale assenza di motivazioni in quanto, come già accennato, L.V. non aveva lasciato niente per comprendere il perché del suo gesto. Si fecero supposizioni, s’indagarono le ultime persone che l’avevano frequentato, si spulciò tra i suoi appunti personali e nel pc nel tentativo di venirne a capo, ma non ci fu risultato che portasse a una qualche conclusione.

E alla fine tutti si convinsero che, semplicemente, L.V. era stato sopraffatto dai suoi demoni interiori un’ultima volta di troppo. Talmente convincenti da spingerlo a compiere il più impensabile degli atti.

Ne presero atto e si misero il cuore in pace.

D’altronde, diversamente non si poteva fare.

Ma la verità, come nella maggior parte dei casi, sta nel mezzo.

Non era del tutto esatto affermare che L.V. si era suicidato perché la fragilità della sua esistenza aveva avuto il predominio. Era vero solo in parte.

I germi che avrebbero fatto nascere in lui quel determinato pensiero nacquero durante una conversazione sostenuta, qualche mese prima della fine, con alcuni suoi amici durante una cena in pizzeria. Una conversazione iniziata come domanda stupida per giocare, ma che col passare dei giorni gli aveva lasciato addosso un vortice tale di sgomento, incertezza e turbamento implacabile.

Nuovi demoni si erano accoppiati con quelli vecchi ed erano diventati talmente tanti da risultare impossibile per un’anima sensibile portarseli dietro per sempre.

Mancava lo spazio.

E il motivo per cui non aveva lasciato spiegazioni risiedeva nel fatto che non avrebbe saputo come spiegare quello che avvertiva e provava senza lasciare ai posteri il ricordo di un uomo completamente folle.

Nessuno avrebbe capito perché la singola vita personale di ognuno è una questione privata.

Preferì quindi tenersi tutto dentro.

In fondo, ci aveva sempre tenuto al giudizio degli altri.

Quella sera in pizzeria erano in quattro, tutti amici e ognuno con il suo soprannome appiccicato addosso da anni che neanche quello che Dante chiamava “il mezzo del cammin di nostra vita” era riuscito a staccare: L.V, Discom, Brandi e Vikk.

Era l’inizio di febbraio, gli ultimi giorni sereni prima che una pandemia a livello mondiale andasse ad intaccare la quotidianità delle loro esistenze e di quelle di gran parte della popolazione della Terra.

Avevano parlato un po’ di tutto e si erano aggiornati sulle rispettive vite, consuetudine di un’amicizia radicata da anni che non trova più occasioni di frequentazione ravvicinate. Discom si lamentava della scadenza ravvicinata del suo contratto a tempo determinato. Lavorava da quasi un anno come scaffalista in un supermercato, si era fatto la sua bella e dura gavetta scandita da turni spesso conditi da qualche straordinario e nonostante tutta la buona volontà e la dedizione con cui aveva affrontato il lavoro, ancora il suo destino era sempre molto offuscato.

Gli altri più o meno erano sistemati meglio, ma l’incertezza era peer tutti una sorta di palude melmosa e fetida da cui non traspirava nessuna possibilità di salvezza e dalla quale non si aveva assolutamente idea su come uscirne.

Ad un certo punto della conversazione, Brandi fece una battuta dicendo che forse intorno al 2065 avrebbero potuto iniziare a tirare un sospiro di sollievo e smettere di faticare col lavoro.

 <<Voglio dire, magari da ultrasettantenni, forse, un po’ di riposo ce lo concederanno!>> fece e tutti ridacchiarono di gusto.

Ma non passò neanche un minuto che lo stesso Brandi li guardò con aria divertita e disse <<Voi come ve l’immaginate il 2065?>>

<<Il 2065? Cioè?>> chiese Discom che non aveva ben compreso il senso della domanda.

<<Si, nel senso…secondo voi questo Paese come sarà ridotto? Le cose saranno migliorate oppure no?>>

<<E c’è bisogno di spingersi proprio verso il 2065? Capace che abbiamo tutti tirato le cuoia molto prima…il clima impazzito, le crisi dei governi e dell’economia, senza dimenticarci di questa specie d’influenza che viene dalla Cina e alcuni dicono che potrebbe diventare virale in tutto il mondo…dicono…>> puntualizzò Vikk buttando la conversazione su toni molto più ordinari e meno fantasiosi.

<<Va bene, ma mica c’è bisogno di prendere tutto alla lettera eh!>> lo rimbeccò Brandi divertito <<era giusto una domanda che ho fatto tanto per.>>

<<Ah beh, allora è differente: cellulari grandi quanto una figura umana in modo tale da poterci entrare dentro, tipo cabine armadio per intenderci…e poi spero abbiano realizzato quello che “Ritorno al futuro 2” ha sbagliato a prevedere per il 2015…i monopattini che volano!>> disse Discom.

Scoppiarono a ridere tutti.

L.V sostenne che gli era completamente difficile pensare all’Italia nel 2065. Benché fantasioso e con velleità da scrittore e sceneggiatore, nella mente non gli si prospettò neppure il più inverosimile degli scenari.

Era come se la sua fantasia fosse schermata da una gigantesca muraglia che gli impediva di vedere oltre.

Riuscì solamente a dare alcuni suggerimenti alle bizzarre idee che Vikk, Brandi e Discom partorivano a ruota libera: una nazione composta soltanto da cittadini la cui età media sarebbe stata di 85 anni, macchine volanti, quarantacinque legislature all’orizzonte, soltanto due mondiali di calcio vinti dalla Nazionale, case controllate da un cervellone elettronico. Tutto un insieme di flash che traevano le loro origini da stereotipi o storie lette su qualche fumetto.

Qualche risata, un paio di bottiglie di birra a testa, diversi brindisi e la conversazione si spostò da lì a poco verso altre destinazioni, così come la serata che si concluse verso le undici e mezza.

L.V. invitò gli amici ad un bar poco distante dal centro per farsi un ultimo shot conclusivo, ma chi per un impegno di lavoro chi per altro rinunciarono tutti e finì per ritrovarsi a fare una passeggiata solitaria verso il parcheggio in cui aveva lasciato la macchina.

Era stata una serata piacevole e si era divertito molto.

E il dibattito sul 2065 morì lì dentro quella pizzeria, proprio come era nato.

Apparentemente.

Perché giorno dopo giorno, a poco a poco, quella semplice gag tornava sempre più spesso al centro dei suoi pensieri.

S’infiltrava dentro l’anima come l’acqua dentro un secchiello di sabbia e lentamente si formava questo pappone fangoso dentro di sé.

S’innervosì: come fa uno che desidera scrivere e vorrebbe vivere di questo mestiere a non lasciarsi andare con l’immaginazione? Cos’aveva che non andava il 2065?

In realtà non era l’anno il vero problema, solo che per quanto ci riflettesse non riusciva proprio a comprendere il nocciolo della questione.

Poi arrivò la pandemia, i contagiati, le disposizioni che obbligavano a non uscire di casa, le uscite in caso di estrema necessità, le mascherine. E tutto fu diverso.

Una sera d’aprile, quando la quarantena costrinse le persone ad avere a che fare con sé stessi in maniera meno più superficiale, si costrinse a dare una smossa alla sua fantasia: seduto davanti al pc si sforzò a pensare a dei possibili scenari e scriverli. Un ottimo esercizio che poteva dare vita ad un racconto o una storia, sempre più rare negli ultimi mesi.

Iniziò a riflettere.

Poco.

Molto.

Troppo.

Alla fine di due ore passate ad ascoltare musica punk rock e a bere birra, s’accorse di essere addirittura alticcio. Il pensiero di prendersi una sbornia da solo, a casa, non gli era mai passato per la testa sebbene il modus operandi alla Charles Bukowski lo avesse sempre affascinato.

Due ore di pensieri indefessi e aveva ottenuto solo due riflessioni cacciate fuori a fatica, una per ogni ora sebbene ci avesse impiegato solo i primi quindici minuti ad elaborare il tutto.

Tali riflessioni erano le seguenti:

1_ “nell’Italia del 2065 non esisteranno più monumenti storici di qualunque epoca e stile. Verranno tutti distrutti negli anni da cause naturali quali frane, alluvioni, terremoti, incendi, oppure lasciati totalmente andare all’incuria del tempo, completamente abbandonati, rimpiazzati da ecomostri ed altre costruzioni di varia natura realizzate grazie ad una massiccia speculazione edilizia senza freni. Tuttavia il Paese risulterà ancora una metà turistica d’altissimo livello invidiata dal resto del mondo e, finalmente, il dato fasullo che lo vedeva possedere il 50% del patrimonio artistico mondiale diventerà reale. Ciò sarà possibile in quanto gli stessi ecomostri, i grattacieli di plastica e cemento, le villette a schiera e gli alberghi con piscine finiranno in rovina e il livello di degrado sarà così disastroso che, alla vista, sembreranno del tutto identici ai perduti monumenti del nostro glorioso passato e nessuno si accorgerà della differenza.”

2_ “la popolazione dell’Italia nel 2065 sarà assolutamente identica a quella dell’Italia del 2015, del 1943, del 1809 e via dicendo in quanto l’essere umano non cambia e non cambierà la sua natura complessa, contraddittoria ed imperfetta. Le decisioni di oggi sono gli sbagli di domani e gli stessi sbagli vengono sempre ripetuti di generazione in generazione, seppure con tempi e modalità diverse.”

Non riuscì a formulare nient’altro poiché una volta finito di scrivere il secondo punto e resosi conto che l’aveva buttata molto sul filosofico e non sul fantasioso aveva lasciato perdere. C’era sempre questa vena di pessimismo che usciva fuori nei momenti meno opportuni e lui non riusciva mai a ricacciarla dentro.

Spense il computer senza neanche salvare quello che aveva scritto, motivo per cui non venne trovato niente che spiegasse il perché del suo gesto futuro.

Passarono i giorni, passarono le settimane e L.V si domandava quale diavolo fosse il suo problema, cos’è che gli impediva d’immaginare.

E un giorno, dal nulla, come un’illuminazione non prevista e non ricercata, capì.

Il continuare a ragionarci incessantemente, talvolta come se il pensiero fosse un ronzio che gli attraversava la pelle, aveva dato i suoi frutti.

Quando se ne rese conto, per certi versi, si sentì quasi felice. Adesso era tutto molto chiaro. Gli venne addirittura da tirare un sospiro di sollievo.

Era chiaro che non riuscisse ad immaginarlo il futuro.

Non poteva.

Non voleva arrivarci.

Altro che 2065, già un salto temporale di una decade era troppo.

Nonostante poco più di trent’anni, lui si sentiva già vecchio. Era come se l’entusiasmo e gli stimoli esterni non esistessero più. Il tempo si trascinava lento e stanco. Non percepiva novità, non percepiva cambiamenti. Avvertiva solo la staticità delle cose. Gli anni ’10 erano uguali agli anni ’20, ma prima non era così, c’era sempre qualcosa che distingueva un lasso di tempo da un altro.

Lui non vedeva nessuna distinzione e non capiva se il problema era soltanto suo o della collettività.

Un poeta, il suo poeta preferito, l’avrebbe chiamata “una sconfitta pari al venire corroso” che non aveva scelto, ma era dei suoi tempi, dell’epoca in cui viveva.

Era così legato alla cultura pop degli anni ’80 e ’90, un grande calderone da dove aveva attinto passioni, interessi, gusti e preferenze, che non sopportava di vederla invecchiare.

Non voleva andare avanti e vivere in un mondo dove “Blue” degli Eiffel 65 e “Let It Be The Night” di Kim Lucas avrebbero compiuto quaranta, cinquanta, sessant’anni. Dove “L’Armata Delle Tenebre” sarebbe stato considerato un film vecchio e la saga di 007 si sarebbe interrotta.

Perché a lui di tutto questo importava più di quanto volesse ammettere.

Era gran parte del suo mondo.

Si rese conto di non riuscire a concepire l’idea di staccarsi da tutto questo. Non si vedeva come un signore di mezz’età che si girava indietro e osservava con piacere le cose della sua infanzia e dell’adolescenza, ricordandole con affetto.

Qualcuno o qualcosa gli aveva impedito di provare una simile sensazione nel futuro: le multinazionali? la crisi? la natura umana? il reggaeton? i cattivi governi? la Siberia in fiamme?

Tutto quanto?

Era l’unica cosa che non riusciva a spiegarsi. E forse non era nemmeno il solo a non saperlo.

Tre mesi dopo e poco più, L.V si suicidò. E questo è quanto.

Una paura del genere, un pensiero tanto triste non si poteva spiegare in nessuna maniera. Non che gli mancassero amici fidati e persone che lo amassero, ma capire è una cosa, sentirsi dentro gli stessi tumulti è un’altra.

Non pensò neanche, una volta allentata la morsa della quarantena, d’affidarsi all’ascolto e ai consigli di una psicologa o qualche altro rappresentante di una categoria affine. Lo trovava estremamente inutile, solo un placebo per tirare avanti qualche tempo e poi ritrovarsi punto e a capo.

Preferì eliminare il problema alla radice e nel farlo sperò ardentemente di sbagliarsi riguardo a tutta quella faccenda del sonno senza sogni e che da qualche parte, dopo, lo aspettasse qualcosa.

Quella notte di aprile mentre cadeva a tutta velocità lungo l’asfalto duro e nero ebbe anche il tempo di formulare un ultimo pensiero.

Non lo rivolse a nessuno dei familiari o degli amici perché fino all’ultimo cercò di non pensare al dolore che avrebbe loro procurato.

L’ultimo pensiero che sfiorò molto repentinamente il cervello di L.V riguardò “Thundeball”, il suo film preferito della saga di James Bond.

Avrebbe saltato il centenario della sua realizzazione nel 2065.

Pazienza.

In copertina l’autore, Luca Morettini