La fattoria del coup de vague. Rancori e segreti
Di Geraldine Meyer
Scrive Davide Brullo su Pangea: “Che sia repellente, che si avverta il sibilo della repulsione è parte del genio di Georges Simenon. Anatomizzava l’anima dell’uomo fino a svelarne la natura di polvere, la statura di sabbia – anzi, di m**da. E proprio da lì – dall’odore nauseabondo che evoca l’uomo – ti stordiva con una pietà abbacinante. Come se – strategia mistica pericolosa, perlaceo gnosticismo – sia necessario non solo rivolgersi ma rivoltarsi nel male, nella melma del mondo, per amarlo. Solo sfibrandosi nel sottosuolo è possibile una falange d’innocenza.”
La fattoria del Coup de vague, da poco mandato in libreria da Adelphi, può essere letto considerando quelle parole come cifra, come chiave interpretativa. Questo, come gli altri libri di Simenon, è un lucidissimo e chirurgico dipinto nella melma del mondo, pregno però di amore per lo stesso. La provincia francese, qui come altrove, è il teatro immobile eppure vivo, familiare eppure straniante, di una storia di rancori, segreti, bugie, omissioni. Cornice di rapporti umani la cui dinamica appare, sempre, causa ed effetto di una cattiveria quasi primigenia e, per questo, assai vicina all’innocenza. Con Simenon che cuce sottraendo ma, proprio per questo, imbastendo una tela ricca di dettagli, pennellate nette, messe a fuoco di gesti e espressioni.
Non vi sono frasi memorabili in questo libro, non vi è una costruzione linguistica che incanta e imbriglia la scrittura in una qualche griglia formale. Eppure è esattamente nella sobrietà che questo La fattoria del Coup de vague trova, come sempre in Simenon, quello sguardo che accoglie e restituisce l’esistenza. Con quella tensione che fa assomigliare Simenon al suo Maigret, alter ego paziente e empatico. Doti fondamentali per raccontare e indagare senza giudicare.
Apparso per la prima volta, a puntate, sul settimanale Marianne, La fattoria del Coup de vague è, letteralmente, la storia di un colpo d’onda. Quello che la vita riserva a Jean ma anche a tutta la comunità che lo circonda, in quel lembo di terra disegnato dal sali e scendi della marea, e da rapporti umani fatti di segreti, controllo e sopore. Come quello ordito dalle zie di Jean che costruiscono attorno a lui una commedia, una vera e propria commedia umana alla Balzac, con venature di disilluso cinismo dostoevskiano. La vita del ragazzo, il più corteggiato del paese, si srotola così, fino a quando l’acqua dello stagno verrà agitata in cerchi che, allargandosi, coinvolgeranno via via altre persone. Legate tra loro più da ciò che è stato nascosto che da ciò che si è palesato.
Simenon mette al centro figure femminili specchio di quella che, ormai in modo quasi unanime, è stata definito una radicata misoginia che disegna la donna come “croce e delizia”. Epperò non si può non notare come anche tra queste pagine il gioco della preda e del cacciatore, della vittima e del carnefice, tra uomo e donna, sia un sottile e permeabile confine di complicità. Non sfugge, anche in queste pagine, la straordinaria capacità di Simenon di costruire una storia in cui la crudeltà non appare come un accidente ma, semmai, come qualcosa di tanto inevitabile quanto umanamente comprensibile. Una commedia umana, dicevamo, in cui tutti hanno un motivo e, per questo, nessuno può dirsi né innocente né colpevole.
La fattoria del Coup de vague è un affresco feroce di quella patina piccolo-borghese che ha bisogno di una menzogna condivisa, retta sul ricatto che quasi non ha necessità di palesarsi come tale per tenere tutto legato. È questa la cifra vera, la potenza più eversiva di questo libro. Che resta tale, e ancor più si conferma, nella figura di Jean, apparentemente il più inconsapevole se non fosse che, proprio la sua inconsapevolezza, sembra un alibi per non ascoltare ciò che, da qualche parte, anche lui sapeva.
Letteratura
Adelphi
2021
142 p., brossura