Nel nome di un’instancabile tenacia. Naviga le tue stelle di Jesmyn Ward.
Di Alessandro Vergari
“Sono cresciuta in Mississippi, in una comunità povera, rurale, e prevalentemente nera”. Inizia con queste parole Naviga le tue stelle di Jesmyn Ward, pubblicato in Italia da NN Editore, con la traduzione di Alessio Forgione. Navigate Your Stars è, in origine, un discorso. L’autrice lo pronuncia nel 2018 in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi alla Tulane University, presso cui la Ward insegna.
Jesmyn Ward è una dei principali talenti letterari americani del nostro secolo. Sempre NNE, casa editrice meritevolmente in sintonia con le voci di una certa America contemporanea lontana dalle traiettorie note, ha permesso al lettore italiano la scoperta della splendida ‘Trilogia di Bois Savage’ (Salvare le ossa – Canta, spirito, canta – La linea del sangue). La scrittrice ha vinto due volte il National Book Award, prima donna a riuscire nell’impresa.
I libri di Jesmyn Ward raccontano l’America dei neri, dei dimenticati, degli emarginati. Nella storia degli Stati Uniti c’è uno spartiacque di nome Katrina, un evento catastrofico che segna un prima e un dopo. Il movimento Black Lives Matter si abbevera a questa pozza originaria che attinge a molteplici affluenti di indignazione, lo sdegno per l’inerzia del Presidente Bush Jr, lo sdegno per l’inefficienza palesata dalle forze dell’ordine (nel 2005, anno del disastro, i poliziotti di New Orleans erano in larga parte bianchi, nonostante la città sia da sempre a maggioranza nera), lo sdegno per le persone dimenticate sui tetti delle case, lo sdegno per la notizia data in pasto ai mass media di stupri, ovviamente commessi da afroamericani, poi rivelatasi totalmente infondata, lo sdegno per quanto accadde all’interno del SuperDome, dove migliaia di persone sfollate furono ammassate come bestie.
Naviga le tue stelle racconta lo svolgersi accidentato di un percorso di vita sedimentato nelle generazioni. Alle radici dell’albero familiare c’è Dorothy, la nonna materna di Jesmyn. A tredici anni Dorothy lasciò la scuola. O meglio, dovette lasciarla. Non esistevano programmi scolastici superiori per i neri, nel Mississippi dell’odio razziale e della segregazione. “Studiò per diventare sarta, aiuto-infermiera, parrucchiera, così da mantenere se stessa e i suoi figli”. Il successo per lei arrivò a quasi cinquant’anni, scrive Jesmyn Ward, “quando ottenne un impiego in una ditta di imballaggio farmaceutico, un’assicurazione sanitaria, uno stipendio decoroso”.
Jesmyn ritorna al suo sguardo giovanile posato su uomini falliti, gente che trascinava la propria ombra andando alla deriva da un lavoro all’altro, senza requie, senza fortuna. “Ero certa che la durezza della loro condizione fosse conseguenza di un unico errore colossale: nella mia testa, lasciare la scuola li aveva condotti alla rovina”. Jesmyn presto comprende che il retaggio storico può determinare le scelte individuali e sovvertirne gli esiti. Jesmyn si iscrive all’università. “A differenza dei miei genitori, io non ho dovuto scegliere tra mangiare e studiare”.
La giovane, promettente studentessa, figlia di operai, addette alle pulizie e contrabbandieri, non ama le discipline tecniche. Jesmyn predilige la scrittura creativa, la poesia, la letteratura. Gli imprevisti la attendono. Jesmyn, a differenza delle superiori, non primeggia più, sbatte contro gli scogli, si fa sommergere dalla marea. “Il legame tra studio e successo si allentò”. La laurea arriva e se ne va, come un’onda, con naturale indifferenza.
Domande di lavoro respinte. Tentativi letterari inconcludenti. Immaginazione sterile. Jesmyn rammenta le magnifiche sorti e progressive dei suoi giovani amici laureati in Economia e Scienze Politiche. “Frastornata dall’euforia e irrigidita dalla paura”, disoccupata, volenterosa e sola, la giovane Jesmyn torna a casa. Qui, nelle natie terre del Sud. accetta un impiego stagionale presso un negozio di abbigliamento. Intanto, un lutto la travolge. La morte del fratello è la sua Katrina personale. “Mi muovevo in una nebbia di dolore”.
Tutti coloro che hanno interrotto gli studi, o che ad un certo punto, atterrati da una sofferenza sorda, da un male oscuro, hanno avvertito l’affanno e accarezzato il desiderio di gettare la spugna, e poi, con un colpo di reni, si sono rialzati, sanno cos’è l’amor proprio che consola, sanno di una rivelazione. È un cambiamento di prospettiva, un giro di chiave nella serratura. “Completare gli studi non era stata una fine, ma piuttosto l’inizio del mio viaggio verso qualcosa di significativo”. Jesmyn apprende che, per la maggior parte di noi, “non ci sono ascese facili ed eccezionali”. A New York intraprende un lavoro di redattrice, insidiata dalla depressione lo fa male, eppure persevera sulla strada della letteratura. Tiene i racconti nel cassetto, scrive brutte poesie, tuttavia vuole essere una scrittrice. E insiste, cercando vie alternative.
Legge molto, moltissimo. Autori fuori dai sentieri battuti, contemporanei, sconosciuti. “Feci quello che mia nonna e le persone che amo avevano fatto per sopravvivere: mi adattai”.
Jesmyn non si piega sotto il peso del rifiuto. Frequenta master, studia costantemente, si specializza nella scrittura creativa. E poi, appunto, l’uragano che sconquassa il Sud degli Stati Uniti si infrange sulle sue ossa. “Molti dei superstiti fuggirono dopo il disastro, invece io ritornai a casa per imparare la lezione più dura”. Come affrontare in letteratura l’annichilimento del paesaggio, come mettere in riga le parole per descrivere la distruzione di una intera comunità? “Perché avrei dovuto ricostruire?” Per Jesmyn è di nuovo il tempo di risalire la china, è ancora il momento di affidarsi alla voce insolente della speranza. “Non arrenderti”, diceva la voce. “Prova ancora una volta”. Prova a scrivere, a essere presente, a testimoniare, a dire l’indicibile, a dare forma al tuo romanzo, Jesmyn.
Un editore si accorge di lei. La pubblicazione del libro è una tappa importante. Molti lettori apprezzano, altri lettori no. “Qualunque fosse la reazione, io continuai a leggere, scrivere e revisionare”. Minuziosa, Jesmyn. Testarda, volenterosa, caparbia, instancabile. Il talento è un muscolo che necessita allenamento. “Se siete disorientati, ma convinti del percorso che avete intrapreso, siate pazienti. Lavorate sodo. Tenetevi stretto il vostro sogno, e fate tutto quel che è ragionevolmente possibile per esaudirlo”. Vi sono guardiani che sbarrano porte e guardiani che le aprono.
“Impugnate i remi, issate le vele al vento, leggete i disegni nelle stelle, guardate oltre l’orizzonte quello che non potete vedere ma intuite nel vostro futuro: la baia curva, la spiaggia sabbiosa”. La barca rischia di affondare, il miraggio della terraferma inganna le gambe ancora molli. La dolcezza del naufragio è un canto di sirena da evitare. “Perseverate. Siate pazienti”.
L’autrice mette a nudo l’inevitabilità della ferita, denuncia l’impossibilità di nascondersi una volta gettati-nel-mondo. Jesmyn Ward naviga tra le metafore e le immagini, sfida e demolisce ogni retorica, dialoga con il sentimento esponendosi liberamente ai flutti del ricordo. La scrittrice parla a studenti che si approssimano al vasto mare aperto e a noi tutti, con sobria, lucida, meditata ispirazione. Nelle parole di Jesmyn Ward affiorano i demoni del razzismo, soffia la paura della sconfitta, emerge la determinazione insita nelle buone cause, si impone la bellezza che solo gli oppressi sono in grado di vedere.
Naviga le tue stelle è un libro agile, potente, vivo, magnificamente illustrato dalle tavole di Gina Triplett, artista americana padrona dei colori e del segno grafico. Ogni pagina è un quadretto dai toni caldi, un intarsio di immagini che spinge la cresta dell’onda alla tavola successiva. Naviga le tue stelle, testo intimamente esistenziale dal sottotesto politico, è un inno alla resistenza individuale e collettiva, un invito a combattere l’ignavia, un’esortazione a non credere al giogo del destino.
(Jesmyn Ward, Naviga le tue stelle, NN Editore, 2020, traduzione di Alessio Forgione, € 16,50)
Letteratura americana
NN Editore
2020
64 p., Ill Rilegato