Di Francesco Tripaldi poesie tratte da L’individuo superfluo
Poesia + Iva
Se la mia mente fosse il vagone silenzio del Frecciarossa
potrei fare schhhhh ai miei pensieri
ed avere un confronto costruttivo
con la realtà che mi circonda.
A questa poesia va aggiunta l’Iva.
Pensi che sia facile per me
vivere sereno sapendo che
tra preso e perso
tutto dipende dalla posizione della “erre”?
Soprattutto se parliamo di treni!
Pensi che sia facile per me
riuscirei a tollerare
la sfrontatezza del piccione
che nella più tronfia inconsapevolezza
vive a petto in fuori in piazza Duomo?
Pensi che sia facile
hackerare la scatola nera di Dio
e sfidare la sua ira?!
A questa poesia va aggiunta l’Iva.
Pensi che sia facile per me
vivere sereno conoscendo
le difficoltà degli asiatici
nella pronuncia della “erre”?
Soprattutto se si parla di lutti, soprattutto se si parla di elezioni?
Pensi che sia facile per me
tollerare che la schiavitù
sia ancora il modello di business
più scalabile in assoluto?
A questa poesia va aggiunta l’Iva,
Pensi che sia facile per me
gettarmi tra le braccia di una musa
o di una venere qualunque
per scrivere due frasi,
che tanto non significano niente,
e star qui, davanti a voi
a cercare comprensione?
Pensate che mi piaccia?
La mia venere è Afrodite,
ma di Milo,
e non ha braccia.
Perciò, se non riconoscete
il mio precipitare,
il mio bisogno di dormire
senza l’ansia di sognare,
se non riuscite a vedere
il mio corpo crivellato dai fori
che mi hanno fatto le parole
non avete capito che la poesia
è una cosa viva
alla poesia va aggiunta l’IVA,
e voi siete tutti evasori.
Ho disertato emicranie celestiali,
sono vivo e non sono disperso in mare
sono il ragazzo voltante,
mi sento bruciare.
Quante parole hanno i ciechi
per definire il buio,
quante facce ci vogliono per disegnare un viso?
Se i moderni sistemi
di riconoscimento facciale
distinguessero
chi ha veramente bisogno di essere riconosciuto
forse avremmo
un sistema di diagnostica efficace
per i disturbi della personalità.
Sono vivo e non sono disperso in mare,
sciolgo le redini di narvali
lanciati come siluri su fondali glaciali,
sparvieri fluttuanti
in solitudini celestiali
sono il ragazzo volante
dirottato su sentieri d’altrove
ho bevuto quest’acqua di sale
ma non sono una vela rigonfia
né una piuma di un’ala
o un’ascia affilata che fende l’aria
che vince l’attrito
sono una promessa di lungo sigillo
forse,
posso essere ancora salvato.
Il volo raso, il volo plano
le ascensioni verticali,
le picchiate: il volo che più assomiglia all’estasi
per la sua contiguità con il terrore,
il volo che priva del respiro
che sfida il futuro
come un balzo nel vuoto
come il vero amore.
Sono vivo e non sono disperso in mare
che il vento mi assolva
sono il ragazzo volante
è tempo di saltare.
La genesi delle galassie
Si sveglia,
si gira,
ti vede,
e scoppia a ridere,
fragorosamente.
La tua emicrania ti consiglia
di ritrovare la camicia
e di andartene via
immediatamente.
Lei si alza,
fa un passo all’interno dell’hula – hop sul pavimento
lo tira su all’altezza delle anche
ed inizia a farlo girare;
è così che,
intorno ad un culo,
ho immaginato
la genesi
delle galassie.
L’immagine di copertina è Uomo-gallo sopra Vitebsk (1925), di Marc Chagal collezione privata