Gli “inaccadimenti” delle vite che nessuno vede
Di Geraldine Meyer
In origine erano articoli apparsi su alcune riviste. Adesso, grazie a Sellerio, possiamo leggerli in Vite che nessuno vede il libro di Eliane Brum. Giornalista freelance e autrice di reportage incentrati in particolare su Amazzonia e periferie urbane, Brum è esponente di quella sempre più rara specie di giornalisti che scrivono come se stessero componendo una partitura musicale in cui, come si conviene, è l’ascolto a prevalere. La voce degli altri a cui si presta attenzione e a cui si rivolge uno sguardo non omologato. Che nasce dal desiderio di vedere ciò che sfugge a chi guarda già sapendo cosa vuole trovare.
Sono, quelle di Le vite che nessuno vede, vere e proprie narrazioni, cronache letterarie delle esistenze di persone comuni. Uniche e preziose ma destinate all’oblio. A meno che qualcuno non comprenda come esse siano la trama di cui si compone l’esistenza del mondo stesso. Con lucidità intellettuale e umiltà Brum dipinge affreschi di vita e di vite che si muovono tra le pieghe della realtà ma nascoste dal rumore di fondo che cancella il loro suono. Sono le storie delle levatrici indie che “nelle ore morte della notte vengono chiamate per ripopolare il mondo”. Sono le storie delle madri delle favelas che mettono da parte i soldi del loro lavoro per pagare le bare ai loro figli che, lo sanno da sempre, moriranno giovani vittime del narcotraffico. Sono le storie di folli sognatori, cercatori d’oro, uomini e donne cacciati dalle loro terre dalle compagnie idroelettriche, o facchini abusivi che sognano di poter volare e superare quelle frontiere, reali e immaginarie, da cui provengono i passeggeri che loro possono solo guardare.
Reportage che diventano quasi un romanzo polifonico del polifonico Brasile che, non a caso, Brum definisce Brasili, al plurare. Perché sono tanti quante sono le storie e i linguaggi con cui queste storie vengono raccontate. E’ una sorta di arte di scomparire quella che Brum mette in campo nel suo lavoro. Sparisce chi scrive perché resta ciò che viene scritto. E ciò che viene scritto diventa quasi una ribellione alla dimenticanza, alla cancellazione.
Scrive infatti la stessa Brum nella bellissima introduzione che appare come un vero e proprio saggio: “Essere giornalista, o giornalista come sono io, vuol dire vestire la pelle dell’altro. La pelle dell’altro è il linguaggio.” Ed è proprio questo rispetto per il linguaggio dell’altro che rende i reportage della Brum un sovvertimento dei luoghi comuni, delle trappole mentali e culturali in cui restano impigliati gli sguardi di chi non presta attenzione alle parole. Ma vuole sovrapporre ad esse il frastuono dei proprio pregiudizi. Infatti, scrivere, come dice la Brum: “Comporta la necessità di disabitare se stessi per abitare l’altro, il mondo che costituisce l’altro. Siamo in grado di completare questo processo solo mediante l’ascolto, quello che si fa con tutti i sensi, che esplora il detto e il non detto, tanto ciò che suona e risuona quanto il silenzio. Tanto la fattura dei mobili quanto la scelta dei quadri alle pareti.”
Questo è giornalismo, questo è reportage. Svestirsi di sè e vestirsi dell’altro. Per raccogliere quelle che Brum chiama “inaccadimenti” perché accadono ma talmente trascurati da non lasciare tracce. Tranne che per chi li vive. Ed ecco perché le vite che nessuno vede sono una meravigliosa, tragica e durissima elegia dell’imperfezione, della crepa, del dimenticato. Dell’ultimo degli ultimi. Di quei margini che sono tali solo per chi ha la presunzione di essere al centro.
Lo sa molto bene la Brum. Tanto da scrivere: “[…]ognuno dei pezzi che compongono questo volume ha parole, ritmi e arrangiamenti propri. Se così non fosse, sarei stata vittima di una drammatica fatalità. Avrei percorso i vari Brasili, e i Brasili in ogni Brasile, ma di fatto non mi sarei dalla mia casa e dalla mia stessa lingua.” Ed è per questo che riesce a raccontare la vecchiaia in una casa di riposo o la vita già morta di una malata di cancro. E in questo ultimo anno in cui in Italia il giornalismo è pressoché morto questo libro costituisce una messa in discussione sia per chi scrive sia per chi legge.
Reportage
Sellerio
2020
242 p., brossura