Le donne e la militanza neofascista: il caso del MIF e della principessa Pignatelli
Di Matteo Albanese
Questo articolo è apparso anche sul numero 22/2020 di Officina della Storia, magazine consultabile cliccando QUI
Introduzione[1]
Quando in storiografia si affronta il nodo del neofascismo una delle questioni aperte è quella della continuità con il regime mussoliniano. In cosa il neofascismo si è distinto dal suo “genitore” politico[2]? In cosa, invece, possiamo rintracciare delle similitudini? È chiaro che le realtà del neofascismo create immediatamente a ridosso della caduta del regime e della fine della guerra avevano dei punti di contatto, anche simbolici, molto più vicini semanticamente e politicamente al regime e soprattutto alla sua declinazione Repubblicana del periodo ’43-’45[3]. Tra i diversi gruppi, più o meno clandestini, si contano nell’Italia dell’immediato dopo guerra decine di organizzazioni a riprova, come scrive giustamente Bertagna nel lungo articolo[4] anch’esso dedicato alla principessa Pignatelli, che il consenso nei confronti del fascismo nei mesi e nei primi anni successivi alla fine delle ostilità belliche non sono meramente computabili con gli aderenti alle formazioni neofasciste e nemmeno sono sovrapponibili ai suoi votanti. Sarà, questa, una caratteristica costante della storia del neofascismo; la sua capacità di estendere alcune delle sue idee portanti ad aree politiche che non coincidevano con quelle della militanza o del voto[5]. Lo studio del neofascismo diventa, a volte, complesso, anche per via di questo fenomeno politico che si riassumeva in un mix di adesione a determinati valori ma nella ricerca del voto utile contro il comunismo che, spesso, sfociava nella scelta di sostenere la Democrazia Cristiana in quanto partito di maggioranza relativa[6]. La vicinanza di alcuni ex fascisti e neofascisti alla DC aveva, però, anche una radice più complessa, una radice che cresce e si rafforza durante i mesi della clandestinità di molti criminali di guerra fascisti che trovano rifugio tra le mura vaticane, di conventi di religiosi ed in istituzioni cattoliche che li ospitano e li nascondono. Saranno istituzioni religiose a garantire il soggiorno di Pavelic, di Mengele, di Eichmann e di molti altri in fuga verso la Spagna franchista e paesi dell’America latina dove in molti vivranno senza poter essere raggiunti dalla legge[7]. Furono, tra gli altri, il vescovo Hudal e padre Carlo Dragutin Petranovic ad assistere spiritualmente e materialmente gli ex criminali nazisti nella loro fuga verso lidi più sicuri. Le SS ed ODESSA, insomma, una storia ancora a metà tra verità scientifica e romanzo d’appendice tutto incentrata su ex SS scaltre ed inafferrabili e sinistre figure incappucciate, monaci controriformisti e alti prelati “bruni”, così veniva chiamato Hudal, che avrebbero creato una sorta di organizzazione dedita non solo alla fuga dei criminali di guerra ma alla ricostituzione di un fantomatico IV Reich[8]. È opportuna un piccolo inciso anche di natura analitica: io non credo che sia esistito nulla di simile e che alcune ricostruzioni giornalistiche valgano, appunto, per quello che sono: ricostruzioni di eventi accostati tra loro in modo da creare un certo sensazionalismo. I fascisti ed i nazisti si riorganizzarono su base transnazionale dopo la fine della guerra[9]? Assolutamente sì ma pensare ad un’oliata macchina gerarchicamente ordinata è molto lontano dalla realtà. I fini di questa organizzazione debole, di questo network, erano poi non sempre coerenti: sicuramente l’idea di portare in salvo ex militanti e dirigenti dei regimi i quali altrimenti avrebbero corso il rischio di finire davanti ad un giudice era prioritario. Allo stesso tempo molti di questi ex militanti erano persone giovani, con un’esperienza politica e bellica totalizzante e, soprattutto, non rassegnati a dismettere il proprio impegno politico ed ideologico.
C’erano, poi, organizzazioni legali che alla luce del sole avevano come obiettivo primario quello di aiutare i nostri militari detenuti nei campi a sopravvivere alla “persecuzione” Questo è il caso del MIF, il Movimento Italiano Fede e Famiglia creato dalla principessa Pignatelli e che, ufficialmente, era un’organizzazione caritatevole femminile, relegando le donne al loro “naturale” ruolo di cura, per dare conforto ai “nostri militari ingiustamente perseguitati”. Se il legame tra pezzi di chiesa cattolica ed ex criminali nazifascisti è acclarato in storiografia, è, invece, interessante, e sarà l’argomento centrale di questo articolo, comprendere come questo binomio che caratterizzò il neofascismo in generale sia stato importante per il posizionamento dentro il sistema politico delle forze neofasciste e come il ruolo delle militanti donne sia mutato, almeno in apparenza, per sposare questo nuovo corso. Da questo punto di vista il MIF e la principessa Pignatelli rappresentano alla perfezione il paradigma di questo cambiamento.
Militante o angelo del focolare? Costruzione pubblica di un personaggio
Durante gli anni della contesa bellica la principessa Pignatelli svolse un ruolo attivo tra le file del fascismo meridionale ed in particolar modo svolse mansioni di collegamento tra le fazioni del fascismo clandestino del Sud Italia post 8 settembre ed il Duce stesso a Salò. Non una mera staffetta porta messaggi ma una figura centrale che dibatteva di tattiche e di strategie politiche ai massimi livelli. Il marito, messo a capo della rete clandestina dei fascisti del Sud, ha sempre beneficiato sia dell’influenza, ed in alcuni casi pare anche dell’avvenenza, della moglie. Si pensa, infatti, che sia stato Mussolini in persona ad affidare alla principessa il compito di organizzare una vera e propria resistenza armata al Sud coordinata da Valerio Pignatelli. Soffermiamoci per un momento su questo particolare; il capo indiscusso del fascismo nella sua ora più buia, siamo nella primavera del 1944, affida messaggi di natura militare ad una donna. Non sarà Valerio Pignatelli, che aveva combattuto in Libia ed in Russia al fianco dei bianchi prima di divenire fascista, ad eludere le linee alleate per recarsi al Nord a prendere ordini dalle mani del suo Duce ma la moglie. Emerge in questo come in altri casi la figura di una donna fascista piuttosto lontana dagli stereotipi borghesi e cattolici, non una comprimaria ma chiave di un’operazione che, in quel momento, era strategica. È bene, infatti, chiarire che l’operazione era realmente importante. Riuscire a costituire in un Sud controllato dagli alleati una rete clandestina di guerriglieri fascisti dediti al terrorismo era un modo per il regime di Salò non soltanto di rallentare l’avanzata alleata ma di accreditarsi come un regime che godeva di un qualche consenso e non come la mera espressione della potenza bellica nazista[10]. L’organizzazione fu effettivamente messa in piedi e smantellata nella primavera del 1945; dal lavoro di Francesca Fatica[11] basato su solide fonti dei Regi Carabinieri scopriamo che i giudici ebbero non pochi problemi nel decidere le condanne per gli 88 imputati tra cui, appunto, Valerio Pignatelli. I reati più gravi furono derubricati. È questo un altro esempio di quella resilienza di cui molti autori, tra cui Pavone, hanno parlato dell’ideologia fascista dentro le istituzioni che stavano per divenire repubblicane. Anche la principessa Pignatelli venne arrestata ma mentre il marito uscirà di galera solo grazie all’amnistia del 1946 lei fugge da un campo inglese di prigionia di Rimini e trova rifugio a Roma nella casa della famiglia Gattoni dove alla fine la coppia si riunirà[12].
Istruita, poliglotta e inserita nel mondo dell’aristocrazia italiana del tempo, non dobbiamo pensare che il suo ruolo attivo in politica non discendesse, in qualche maniera, anche da un capitale culturale di cui la stragrande maggioranza della popolazione, non solo femminile, era sprovvista. Sappiamo dei suoi contatti con Guttuso, Marinetti e D’Annunzio, sono noti lo spirito organizzativo e pubblico nell’organizzare rassegne artistiche e culturali in genere. Sia chiaro non erano questi tratti esclusivi della Pignatelli, come ha ricordato Victoria de Grazia, il ruolo pubblico e politico delle donne non era forzosamente relegato al focolare domestico, soprattutto delle donne dell’alta borghesia e dell’aristocrazia vicine al regime.
Nel fascismo e nella sua natura complessa convivevano la propaganda, maggioritaria, verso una figura femminile relegata ai lavori domestici e di cura, tendenza questa che derivava dal tradizionalismo cattolico e che ritroveremo nel secondo dopoguerra, insieme ad una visione, minoritaria ed elitaria ma non per questo non degna di nota, della donna combattente, attivista politica e persino anticonformista e ribelle nei confronti delle convenzioni sociali borghesi. Non è questa la sede per stabilire se questo secondo modo di concepire la figura femminile, che potrebbe addirittura avvicinarsi ad un sentire più paritario, fosse una conseguenza di quei tratti socialisteggianti che, ad ogni modo, rimangono e permangono all’interno della camaleontica e quasi “liquida” ideologia fascista. Un’ideologia è un fattore storico, si adatta e muta al mutare del contesto; così la principessa Pignatelli comincia a pensare ad una nuova struttura che possa far ripartire il fascismo dagli elementi vivi di quel regime: gli uomini in custodia degli alleati e quelli nelle carceri. Proprio durante le settimane spese nella residenza romana della famiglia Gattoni attiva contatti, tesse relazioni mai sopite non solo con l’aristocrazia del Sud e romana ma con pezzi di Vaticano che nelle stesse settimane si attiva per la più grande operazione di salvataggio di ex criminali di guerra mai portata a termine. È un’operazione intricata di cui diversi autori hanno scritto e che investe non soltanto singoli preti ma pezzi di gerarchia vaticana. Della gerarchia vaticana, infatti, faceva parte Monsignor Silverio Mattei della Sacra Congregazione dei Riti che fu il braccio destro della principessa. C’è da dire che verso la fine del 1946 la Curia vaticana chiese ai coniugi Pignatelli di lasciare le case dove risiedevano visto l’andirivieni di personaggi che, alla luce del solo, entravano in quei luoghi di proprietà della Santa Sede. In una lettera, la principessa mentre si lagna di questa disposizione ribadisce che è Montini stesso ad indirizzare verso di loro tutti “i disgraziati che a lui si rivolgono” ossia criminali fascisti da far fuggire. Il Movimento Italiano Femminile Fede e Famiglia fu, quindi, lo strumento per lanciare il neofascismo in Italia come soggetto politico come realtà che aveva contatti transnazionali e che partiva dalla base materiale dei suoi militanti e dirigenti. Il MIF fu fondato nell’ottobre del 1946 e, di conseguenza, fu la prima organizzazione neofascista a base nazionale dato che il MSI vide formalmente la nascita solo 2 mesi più tardi. Il MIIF fu un’organizzazione di salvataggio ed aiuto che si rivolgeva ai soli fascisti non collaboranti, non c’è traccia nelle lettere dei detenuti, in Italia fino all’amnistia e per quanto riguarda gli internati nei campi fino almeno al 1950, di alcun pentimento nei riguardi del regime[13]. E il MIF neofascista lo fuin senso pieno, non solamente per il richiamo diretto ai tempi della RSI ma anche, e forse soprattutto, per la sua capacità mimetica che immediatamente la principessa Pignatelli e le sue più strette collaboratrici seppero dare al Movimento. Un Movimento composto da donne ma con una branca maschile all’interno della quale figuravano figure di spicco del nascente MSI come Ezio Maria Gray che del partito della Fiamma sarà vicesegretario nazionale. Allo stesso tempo, però, il MIF intesseva relazioni più ampie con pezzi importanti della Democrazia Cristiana: importanti esponenti appoggiarono le iniziative di “pacificazione” del MIF come Egidio Tosato, Mario Zotta e Gennaro Cassiani che fu sottosegretario e ministro in diversi gabinetti a guida democristiana. Il MIF connette persone che avendo aderito al regime di Salò si erano, poi, posizionati in schieramenti diversi e che, a titolo differente, esercitano un’influenza: è il caso del Senatore Vittorio Rolando Ricci che oltre ad essere stato eletto nelle file dei liberali, lui ex monarchico poi mussoliniano, era un collaboratore del Corriere della Sera. Anche gli avvocati e le avvocatesse del MIF sono sia ex esponenti di Salò che democristiani[14] a riprova della politica estremamente pragmatica e camaleontica dell’organizzazione, politica tipica dei movimenti neofascisti. Non è un caso, dunque, se troviamo lettere della principessa Pignatelli indirizzate ad Aldo Moro, allora Guardasigilli, in cui si ribadiva non solo l’appello accorato ai valori cristiani ma il sacrificio per la patria compiuto da alcuni fascisti ancora in prigione proprio poco prima della seconda amnistia del 1953. Anche senza mai menzionarlo in maniera diretta si può facilmente percepire in quelle righe un richiamo al cambiamento di scenario avvenuto con l’inizio della Guerra Fredda ed un sottile riferimento a quanto questi uomini fossero, in fondo, viscerai anticomunisti che in questa fase avrebbero potuto essere utili attivisti. Sarà, poi, una lettera firmata da Lucrezia Pollio avvocato del MIF ad indicare persino gli elementi burocratici che potessero agevolare e velocizzare la liberazione dei criminali fascisti dalle prigioni una volta emanata la seconda legge di amnistia. Finora mi sono focalizzato sulla figura della principessa Pignatelli ma il MIF ebbe una ramificazione nazionale e furono molte le militanti che aiutarono la loro leader in questa impresa: è importante ricordare, tra le altre Lina Barracu e Mina Magri Fanti. La prima era la moglie del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri della RSI mentre la seconda, nobildonna romana legata al regime fascista, mise a disposizione la sua casa ed i suoi contatti nell’aristocrazia e nella curia vaticana. Risulta chiaro da questi brevi cenni come si strutturò un movimento nazionale neofascista che al di là del mero aiuto materiale ai detenuti, ed i fascicoli erano circa 3300 mentre i casi dibattuti più di 1300[15], il MIF era un soggetto politico attivo che stringeva alleanze ampliava l’area di consenso del MSI e cominciava unna lunga ma incessante opera di riscrittura della storia e di popolarizzazione di un messaggio antidemocratico e anti-resistenziale giunto fino ad oggi. Dalla corrispondenza emerge in maniera assolutamente chiara come la Resistenza venisse accusata di qualsiasi efferatezza mentre anche di fronte ad episodi come quelli riguardati efferati delitti commessi da fascisti il tutto venisse derubricato ad atto dovuto dalle condizioni della guerra civile scatenata dai comunisti. La principessa Pignatelli non è, dunque, una figura secondaria ma, insieme alle sue sodali, rappresenta un punto nevralgico per comprendere non soltanto il ruolo e la rappresentazione della donna nell’immaginario fascista ma lo sviluppo della cultura politica neofascista ai suoi albori e come alcune delle sue architravi ideologiche non siano, in fondo, sostanzialmente cambiate.
Quello che mi preme sottolineare in questa sede è il ruolo attivo della principessa Pignatelli non solo come elemento dell’organizzazione clandestina dei fascisti rimasti al Sud dopo l’8 settembre ma come figura centrale nel tessere legami nazionali ed internazionali che serviranno non solo ad aiutare molti ex fascisti a fuggire ma a dare al movimento neofascista un respiro internazionale. Mi riferisco alle relazioni intrattenute con le comunità italiane in Sud America, alla capacità, grazie all’appoggio dell’armatore Lauro di far giungere oltre oceano e da oltre oceano, informazioni, denari e uomini. Ben oltre questo incarico, di cui le capacità logistiche non erano che la punta di un iceberg molto più profondo, ci sono gli scambi epistolari con Per Engdahl a dimostrazione della caratura politica della Pignatelli. Per Engdahl era, infatti, il capo del fascismo svedese ed un punto di riferimento per tutte le organizzazioni dell’estrema destra scandinava. Alcuni potranno aver sentito parlare di Engdahl in relazione alla giovanile adesione al suo partito filonazista di Feodor Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea. I contatti della principessa erano, poi, a 360 gradi e soprattutto politicamente molto chiari; vi sono lettere scambiate con Karl-Heinz Heubaum che era l’editore di una rivista tedesca occidentale chiamata Der Widerhall. La rivista nel 1954 fu sottoposta a sanzioni pecuniarie per aver ristampato i “protocolli dei savi di Sion” e per essere una costante fonte di letteratura antisemita. In una di queste lettere, tutte in tedesco e come dicevamo la Pignatelli era poliglotta, Heubaum chiede informazioni in un post-scriptum sull’organizzazione Centro Studi Europei, presente anche in Italia, gruppo di stampo neonazista.[16] Seguono molte pagine a stampa della rivista sul problema sionista e comunista. Anche Valerio Pignatelli intratteneva con il medico Ottmar Koheler, che era affiliato all’associazione di ex combattenti a Stalingrado, una corrispondenza epistolare; in questo caso dobbiamo specificare come Koheler non fosse un’attivista neonazista ma in generale faceva parte di un’associazione che mirava ad una rivisitazione molto importante degli episodi bellici, ricostruzione dalla quale veniva espunta quasi sistematicamente la responsabilità tedesca nell’aver scatenato la guerra. Un altro esponente importante della destra neonazista europea e tedesca con il quale la principessa ebbe un rapporto epistolare stretto fu Karl Heinz Priester. Ex militante delle Hitler Jugen e poi esponente di spicco della destra neonazista fu tra i fondatori del MSE insieme a esponenti del neofascismo europeo; la principessa Pignatelli ha uno scambio epistolare che dura circa quattro anni, dal 1952 al ’56, e che si incentra sulle tematiche della ricostruzione di un unico fronte europeo del neofascismo. Come più volte ribadito non si tratta esclusivamente di un’operazione, quella del MIF, di aiuto e solidarietà a prigionieri di guerra ma di una vera e propria strategia politica di lungo respiro della quale, Maria Pignatelli di Cerchiara è una delle pietre angolari. Un altro capitolo importante per comprendere quanta importanza questa figura abbia ricoperto nella riorganizzazione del movimento neofascista transnazionale è quello legato all’espatrio verso i paesi del Sud America[17] di molti ex fascisti italiani che in patria sarebbero, altrimenti, stati processati. C’è una lettera indirizzata a Calle Florida di Buenos Aires a Francesco Giunta ex segretario nazionale del PNF in cui la principessa “striglia” con veemenza l’ex gerarca per la mancata solerzia nell’occuparsi della famiglia del Duce. Mentre Vittorio, infatti, espatriava nel paese sudamericano Romano, rimaneva in Italia ospite proprio della Pignatelli insieme a donna Rachele ed a Edda; la Pignatelli fa presente le difficoltà economiche della famiglia e rimprovera Giunta per non aver fatto abbastanza e non essersi comportato in maniera consona al suo ruolo. Non solo un richiamo umanitario, dunque, ma politico e militare. La principessa Pignatelli fu un centro vivente di riorganizzazione politica ed economica delle forze del neofascismo italiano e transnazionale; non si fece mai conchiudere in un ruolo che la relegasse alla pura opera di carità ma si scagliò anche con forza contro lo stesso Almirante quando questi voleva de fatto sussumere il MIF all’interno del MSI. Il MIF entrerà, poi, all’interno del MSI ma questo passaggio avverrà dopo lunga e conflittuale schermaglia politica condotta in prima persona dalla principessa. Un lungo sfogo sulle mire di Almirante sul MIF, ed in particolare sulle sue casse, lo troviamo sempre nella corrispondenza conservata nell’archivio di Stato di Cosenza.
Conclusioni
Maria Pignatelli era una dirigente fascista e neofascista. Non una moglie di un dirigente o la madre di qualche “martire” di Salò. Era entrambe queste cose sia chiaro; il figlio, che lei aveva fatto liberare grazie ad i suoi contatti ed uffici con l’intelligence inglese, era tornato al fronte e lì trovò la morte; il marito, come abbiamo detto, era stato figura di spicco del fascismo meridionale. Nonostante queste circostanze e non grazie ad esse, Maria Pignatelli era una dirigente fascista riconosciuta sia in patria che all’estero. Questo ruolo la principessa Pignatelli può giocarselo fino in fondo grazie, soprattutto, ad una determinante di classe che non va dimenticata. Era una donna che proveniva da una famiglia agiata che le permette di studiare, le lingue che la principessa parla e scrive con grande facilità, e di viaggiare molto in ambienti contigui a quello da cui proveniva. Già dalla giovinezza grazie anche all’aiuto del padre, ammiraglio di marina, Maria Pignatelli è considerata la vera animatrice della cultura calabrese. Come abbiamo detto le sue capacità di quelle che oggi chiameremmo pubbliche relazioni la fa diventare un’animatrice sociale ed anche una donna dalla conversazione vivace ed acuta. Insieme a Ghitta Carell ed Emilia Zinzi promosse attività di scavo archeologico e di promozione del territorio calabrese. La scena culturale di una regione del Sud Italia negli anni del fascismo era, insomma, piuttosto vivace. A dispetto degli stereotipi sulla cultura fascista e neofascista, completamente conchiusa in un maschilismo non scalfibile, durante il periodo fascista alcune donne, di una certa estrazione sociale e con una scolarità più alta della media, avevano accesso non solo alla sfera culturale e delle relazioni pubbliche ma anche della politica. Paradossalmente questa attitudine cambiò piuttosto radicalmente con la fine della guerra e con il progressivo avvicinamento del MSI alle aree più reazionarie del mondo cattolico e vaticano. È sufficiente una veloce occhiata ai dati conservati presso il sito del Senato della Repubblica per scoprire che il MSI manda la prima donna, Maria Moltisanti, in Senato durante la IX legislatura (1983!); un poco meglio va alla Camera dei deputati dove la prima donna è eletta nel 1963, Jole Giugni Lattari anch’essa calabrese. Rimase, però, quello un caso isolato; nemmeno alle elezioni del 1972 quando il MSI riuscì a mandare in parlamento ben 55 deputati erano presenti donne nel gruppo parlamentare. Negli anni ’80 la situazione cambiò, molto lentamente ma credo che il confronto tra l’attività politica svolta dalla principessa Pignatelli e circa quarant’anni di completo isolamento della parte femminile del neofascismo, per lo meno dalla sua struttura parlamentare, sai evidente. È altresì importante ricordare che non necessariamente la presenza parlamentare debba essere presa ad unico indicatore della presenza femminile all’interno di un determinato gruppo politico o della sua classe dirigente; va da sé, però, che indica un certo trend. Giusto per essere estremamente chiari il PCI fu tra i partiti che annoverava più donne tra le sue elette ma che questo divenisse poi passaggio verso carriere dirigenziali all’interno di quel partito, è facilmente deducibile.
Non è facile, ad oggi, dire quale tipo di immagine, di iconografia, la principessa Pignatelli e le dirigenti politiche fasciste e neofasciste abbiano lasciato nella cultura politica della destra radicale odierna. Di certo non sono molti coloro i quali ricordano che la flottiglia XMAS aveva circa 300 ausiliarie anche combattenti; ci si ricorda, certo, di Brunilde Tanzi che fu uccisa a Milano a guerra finita, era il 1947 e le fu sparato in pieno petto. Per quell’omicidio i sospetti ricaddero sulla Volante Rossa ma gli autori materiali non furono mai trovati. È, quello della Tanzi, però un caso singolare. Non che sia stato il solo ma in generale il ricordo di un “martire” e la costruzione iconografica e la narrazione che si costruisce su un caduto è molto incentrato sulla fine di quel o di quella militante piuttosto che sulla sua azione politica. La simbologia è, chiaramente, differente, così com’è differente la costruzione di quella narrazione nel caso in cui si tratti di una donna. Allo stesso modo viene ricordata, negli ambienti sopracitati, Eva Maciacchini anche lei uccisa nel 1947 ed ex appartenente alle Squadre d’Azione Mussolini, una delle tante sigle del neofascismo clandestino dell’immediato dopo guerra. Eppure, Maria Pignatelli non gode della stessa fama. Forse, il non essere morta se non nel 1968 per via di un’incidente stradale non l’ha resa figura sufficientemente tragica e non ne ha agevolato una costruzione mitologica. Sicuramente gli scontri con la dirigenza missina che abbiamo riportato, la voglia di non confinare il MIF a pura realtà assistenziale, la capacità di intessere rapporti con molti dei leader del neofascismo europeo e con potenti e ricche famiglie di origine italiane in sud America, facevano pensare alla principessa di dover giocare un ruolo di primo piano anche nella politica nazionale. Probabilmente una vita privata che l’aveva sempre vista esibire costumi non in linea con i dettami del rigido cattolicesimo conservatore a cui il MSI si stava avvicinando resero molto difficile per un personaggio come lei, conquistare posizioni dirigenti che, di fatto, erano generalmente precluse alle donne missine. Ecco, dunque, che l’attività e le posizioni politiche della Pignatelli, diventano un prisma attraverso il quale riusciamo, oggi, ad interpretare non soltanto un aspetto del fascismo storico, il rapporto del regime con le donne, ma di comprendere due elementi centrali del neofascismo: il suo essere transnazionale, e guardando a testi come quello di Cuzzi potremo dire che le ideologie totalitarie difficilmente si accontentano di essere incatenate dentro gli orizzonti nazionali e nazionalistici, ed il suo essere una realtà variegata ed a tratti corpuscolare. Questa sua pulviscolarità, questa unione tra diverse anime che dette vita al MSI si può leggere attraverso la ricerca dell’allargamento del suo campo politico. Un campo politico che aveva come vicini più prossimi non tanto i liberali ed a ben vedere nemmeno i monarchici, con i quali un’intesa sarebbe poi stata trovata, ma con le ali più reazionarie della DC all’interno della quale si erano “riciclati” molti ex fascisti. In nome di questa ricerca di allargamento dello spazio politico la dimensione del protagonismo militante femminile venne quasi completamente sacrificata.
Note
[1] La gran parte di questo studio è basato sulle carte dell’Archivio Provinciale di Cosenza dove è conservata la documentazione relativa al Movimento Italiano Fede e Famiglia (d’ora in poi MIF).
[2] Parlato, G., Fascisti Senza Mussolini: Le Origini del Neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna: Il Mulino, 2006
[3] Carioti, A., Gli orfani di Salò, Milan: Mursia, 2008; Cento Bull, A., Italian Neofascism: the strategy of tension and the politics of nonreconciliation. Oxford: Berghahn Books, 2007.
[4] Bertagna, F., Un’organizzazione neofascista nell’Italia postbellica:il Movimento italiano femminile «Fede e famiglia»
di Maria Pignatelli di Cerchiara, Rivista Calabrese di Storia del ‘900 – 1, 2013, pp. 5-32
[5] Costa Pinto, A., and L. Morlino, (edited by), Dealing with the Legacy of Authoritarianism: The “Politics of the Past” in Southern European Democracies, London: Routledge, 2013
[6] Tarchi, M., Esuli in patria. I fascisti nell’Italia repubblicana, Milan: Guanda, 1995.
[7] Finchelstein, F., Transatlantic Fascism. Ideology, Violence and the Sacred in Argentina and Italy, 1919-1945, Durham: Duke University Press, 2010; Sanfilippo, M., Gli italiani in Brasile, Editore Sette Città, Viterbo, 2010
[8] Albanese, M., Del Hierro, P., Transnational Fascism in the Twentieth Century Spain, Italy and the Global Neo-Fascist Network, Bloomsbury, London, 2016
[9] Mammone, A. Godin, E. and Jenkins, B. (eds.), Mapping the extreme right in contemporary Europe: from local to transnational, Oxford, Routledge, 2012. Mammone, A., Transnational Neofascism in France and Italy, Cambridge University Press, Cambridge, 2015.
[10] Guarasci, R., La lampada e il fascio: archivio e storia di un movimento neofascista, il “Movimento italiano femminile”, Reggio Calabria, editore Laruffa, 1986.
[11] Francesca Fatica, Mezzogiorno e fascismo clandestino. 1943-1945. I.S.S.E.S. (Istituto di Studi Storici Economici e Sociali) edizioni, Napoli, 1998
[12] Asc, Mif, b. 13 fasc. 79.
[13] Asc, Mif, b. 41, fasc. 9; Asc, Mif, b. 1, fasc. 4, sf. 1; sono davvero molte le lettere dei rifugiati che, oltre a chiedere aiuto materiale per sé e per le proprie famiglie, non nascondono i propri sentimenti per le istituzioni repubblicane e per la sorte a loro toccata.
[14] Cecilia Nubola, Fasciste di Salò. Una storia giudiziaria, Roma, Laterza, 2016.
[15] Asc, Mif, b. 1, fasc. 4, sf. 1
[16] ACS Cosenza, Fondo MIF, Busta38, fascicolo 15, corrispondenza tra Karl-Heinz Heubaum e Maria Pignatelli.
[17] F. Bertagna, Fascisti e collaborazionisti verso l’America (1945-1948), in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, Donzelli, Roma, 2001, p. 353.
In copertina Maria Pignatelli in una foto presa dal sito isses.it ed è una scelta della redazione de L’Ottavo