DAL ROMANZO “PRATI NASCOSTI”
Di PAOLO TRAPANI
Capitolo 1
NEL PAESE DI ELKINS
Un cucciolo
A un tratto Lamarck cominciò a correre verso l’uscita. La porta semiaperta della cascina si chiuse con un tonfo tale che spaventò Zac al piano di sopra. La cornice che stava tenendo fra le mani, cadde sul pavimento e si frantumò. Il ragazzo, imbottito di ansia, si abbassò lentamente e, con una ragionevole espressione accigliata e confusa, recuperò genuflesso la sua
fotografia tra i pezzettini di vetro. Tolse preventivamente il grosso dei frammenti da terra e li sistemò momentaneamente sul comò vicino a una bajour. Accanto, un’altra cornice inquadrava una foto della sua famiglia sulle spiagge di Newport. Allora si sollevò su due piedi e guardò, dalla finestra abbagliata dal sole, quell’irrefrenabile bestiola. Scodinzolante, era
instancabile e pieno di gioia. Al pari di un cavallo sbrigliato, calpestava capricciosamente tutto ciò che incontrava sul prato antistante alla casa dei Wellington. Il Foxhound americano è una razza molto sveglia e vivace, in particolar modo nell’età giovanile. E Lamarck non aveva nemmeno spento la sua prima candelina. Il suo bianco candido e le chiazze marrone chiaro, molto leggere e riposanti, spiccavano sul verde acceso del prato, ma al contempo si confondevano con le margherite bianche e gialle allorquando il cucciolo vi si gettava su, arrotolandosi per una o due volte. Zac, intento a osservarlo accuratamente dalla sua finestra, cercava di studiarne le forme e i movimenti: i suoi occhi grandi, l’aspetto da segugio, la muscolatura tonica e l’espressione estremamente intelligente, un fare festoso e un desiderio di porsi sempre al centro dell’attenzione. Spessissimo energico e gioioso, alle volte, altrettanto sensibile e pacato. Ma sensibile a che cosa? Cosa gli era preso? Zac sapeva della sua insufficiente predisposizione alla vita domestica, ma non immaginava fino al punto da scombinare tutti i tappeti di casa e spingersi fuori in pochissimi secondi. Aveva una passione incontrollata per l’acqua del ruscello dentro il quale cercava di immergersi in qualsiasi occasione. Ma questa sua indole non giustificava il comportamento di oggi. Venne chiamato ripetutamente, prima da Zac e poi da Chloe. Ma il cucciolo non sentì ragioni. Avevano appena cominciato a educarlo al richiamo, con risultati ancora troppo scarsi, purtroppo! Spesso Zac lo portava sull’erba al guinzaglio. Lo teneva legato perfino quando aveva in cuore di farsi il bagno nel ruscello. Quando i suoi comportamenti diventavano imprevedibili ed emergeva la sua impulsività su tutto, nessuno, vicini delle cascine adiacenti compresi, poteva trattenerlo. Così occorreva assecondare in parte il suo istinto e seguirlo in tutte le sue mosse. Zac infilò la fotografia nella tasca posteriore dei suoi blue jeans. Poi aprì alcuni cassetti della scrivania, sbirciò nell’armadio, provò perfino sotto il letto. Scoraggiato, uscì dalla stanza e giù al primo piano vide Chloe con in mano quello che stava cercando. Scese prontamente le scale, le prese speditamente dalle mani quel benedetto guinzaglio come fosse il gioco del fazzoletto, e uscì nel tentativo di recuperare il cane. Ma non appena cercò di raggiungerlo Lamarck era già col muso nel ruscello… Il padrone arrestò tempestivamente la sua corsa per non spaventarlo, e proseguì verso di lui passeggiando, sempre più lentamente con fare da felino che attende i movimenti della sua preda. Improvvisamente lo vide alzare la testa verso di lui. Sebbene Lamarck non aveva ancora balzato oltre il ruscello, i suoi sguardi lo fecero e Zac li seguì per sincerarsi della direzione in cui portavano. Ed ecco dove portavano: una dolce cagnolina, di uguale razza ed età, ma del tutto bianca. Anche lei ansimante, aveva l’aria giocosa ma legata per bene da una cordicella alla sua padroncina.
“Ciao Helen” gridò Zac sollevando un braccio.
“Hey Zac” rispose Helen oltre il ruscello simulando lo stesso movimento. Poi proseguì con un lieve sorriso: “Il tuo cucciolo è proprio diventato incontenibile, eh?”.
Zac si lisciò la nuca con una mano e gettò un sorriso imbarazzato. Poi sdrammatizzò con dell’ironia: “Ormai ha quasi
un anno e comincia ad essere pretenzioso”.
Dopo queste parole, cercò il punto dove gli argini del ruscello si restringevano, ma non incoraggiò la propria euforia: poiché farlo, sarebbe stato come incoraggiare quella del cane. Non auspicò pertanto a nessun salto, ma prosegui lungo un argine lambito da profili d’acqua fresca. V’era anche l’ombra di un salice che vibrava sopra la corrente. Zac non balzò ma
da lì stava in ogni modo appressato a Helen: quel tratto perfetto tra l’odioso distacco e l’abietta pressione. Chinò il capo in segno di riverenza alla fanciulla: i suoi modi erano gentili. Poi si abbassò del tutto carezzando il capo di Lamarck con inaspettati gesti fatti di vigore e rigore al pari di colui che cerca di controllare una situazione o domare qualcuno. Helen fece
in principio lo stesso cercando di emulare scherzosamente i comportamenti mascolini del ragazzo. Poi prese la sua cagnolina in braccio e la strinse dolcemente al petto col consueto senso di protezione materno: “Noi donne del West Virginia, sebbene contadine, abbiamo un cuore nobile. Non ci concediamo così facilmente, non siamo dedite a tali costumi. Il tuo cucciolo dovrà attendere che la mia Susie gli dia il suo regale assenso prima di mettere il muso nel ruscello”.
Helen Josephine Stood, fisico magro, capelli ricci e corti, occhi cinerini, era sempre stata una donna di buon costume, attenta alle trasgressioni. E ansiosa, quasi incontenibile, in situazioni allarmanti. Ma una donna anche molto pacata, se le circostanze erano quiete. Persino molto spiritosa, anche se ci teneva, nello scherzo, a porre dei paletti, dei confini abbastanza marcati, sebbene non proprio invalicabili. La femminilità da un lato, con la sua coscienziosità e ponderazione; la mascolinità dall’altro, con l’istinto e la leggerezza. E nel mezzo un ruscello, insufficientemente largo, ma che, man mano ci si allontanava da casa Stood, in direzione della Undicesima strada, arrivava a misurare la grandezza di un piccolo fiume. Pertanto, i sassi contenuti entro i margini di un ruscello, che graziosamente sostituivano una sorta di pavimento frammentato, venivano a mancare più in la tra il letto di ciò che cominciava a prendere l’aspetto di un fiume. Laggiù,
dunque, era quasi impossibile attraversarlo. Tuttavia, pur rimanendo un semplice ruscello di fronte casa di Helen, la sua corrente risultava minacciosa perfino per un cucciolo di quella taglia e di quella età. Ma che, con pazienza e maturità, impegno e determinazione, non sarebbe stato un dì così preoccupante da attraversare. I limiti del sesso si possono
tranquillamente varcare una volta giunta una buona conoscenza.
Era dunque questo lo scenario che si era creato in un ritaglio dell’immensa prateria di Elkins, paese di sette mila abitanti della Contea di Randolph, nel West Virginia. A Randolph appartenevano anche Huttonsville, Beverly, Mill Creek; ma Elkins era la città più grande della contea. Essa segnava il confine tra la parte pianeggiante del West Virginia e quella montuosa interessata dalla catena degli Appalachi, lungo il confine orientale con la Virginia vera e propria. Circa i tre quarti dello Stato sono dunque disegnati da delicate praterie, interrotte da qualche dolce e poco invadente rilievo.
Come Zac e come Helen, come Lamarck e come Susie, come tutti gli uomini e le donne e gli animali, anche questi luoghi sono ricchi nella loro diversità e bellezza scenografica. E la varietà di immagini, esprime sempre un sentimento profondo e ricco.
TRAMA di “PRATI NASCOSTI” in breve
Zacharias Sami Wellington, ebreo americano di Hidden Meadows, California, da cinque anni si è trasferito a Charlottesville, Virginia, per immatricolarsi al corso di laurea in “Valutazione e Controllo Ambientale”. Kimberly Barlet, sua amica d’infanzia e compagna di scuola fino alle superiori, è invece rimasta in California, San Francisco, iscritta al corso
di “Ingegneria Civile”, ramo “Trasporti”.
Conseguito il titolo, Zac ottiene un posto come tirocinante al Dipartimento per la Protezione Ambientale di New York. Dopo un anno di lavoro nella Grande Mela e la tragica fine della storia d’amore con Shona Dashi, il primo giorno di primavera dell’anno 2010, Zac decide di rifugiarsi nella tranquilla Elkins, West Virginia, dove la sorella Chloe ha fatto della sua cascina e delle sue prospere terre, il luogo per un bell’agriturismo. Nella sua scrivania, Zac ha riservato un cassetto con dentro un insieme di lettere ad amici e amori, scritte negli anni passati fuori dalla sua terra d’origine e con lo scopo di ricucire parte dei suoi rapporti perduti con la distanza, per rimanere,
così, legato ai suoi cari. Ma c’è un paradosso in tutto questo: le lettere, Zac, non le ha mai spedite!
Frattanto Kimberly ha anch’essa conseguito la sua laurea, ma rimane delusa da un progetto ingegneristico non approvato dal suo relatore Prof. Louis Thomas Stevenson. A un certo punto, qualcosa d’inatteso accade in California e ciò costringe Zac e Kim, informati attraverso i mass media, di ritornarvi. Kim, nonostante qualche disavventura, vi si precipita
in poco tempo. Zac, dalla lontana Elkins, è costretto a un viaggio più lungo, sopra un treno che percorrerà l’intero territorio statunitense in senso est-ovest. Ad accompagnarlo saranno, inizialmente, la sorella Chloe e l’amico Professor Benjamin J. Powell. Poi, durante il tragitto, compagni di viaggio che salgono e scendono, come accade nel corso della vita; alcuni di essi decideranno di condurlo fino a destinazione, come accade, appunto, nella vita; gente differente, al pari di come si configurano gli svariati paesaggi che il convoglio attraversa e che sono rappresentazioni dell’animo di chi li osserva, da quei finestrini bagnati di pioggia (pianti) o illuminati dal sole (gioie). I ragazzi vedranno come il treno abbia, dunque, molto in comune con la vita e con tutto ciò che essa contiene. Col treno in corsa, per Zac in particolare, sarà anche l’occasione di fermarsi e riflettere. Egli ha portato con sé, dentro uno zaino, quelle lettere scritte ma mai inviate… ad amici, amori, conoscenti che laggiù sogna di ritrovare. Li ritroverà?
Cos’era esattamente accaduto nella lontana California? Dove si trovava l’amica Kimberly in quel momento? Riuscirà Zac a scoprirlo? E troverà la strada per il ritorno? E quelle lettere mai spedite, rimarranno per davvero parole mai dette? Per rispondere a questi pungenti interrogativi, Zac deve attendere che i suoi paesaggi scorrano davanti a sé, mentre, tra una
lettura e l’altra, scorre il suo passato tra le dita. Deve vivere ma anche subire i suoi paesaggi; subire, tra un sonno e una visione dentro un sogno, che i paesaggi scorrano anche “clippati”, come scene di un film che taglia delle sequenze. E così, dalle coltivazioni miste della Virginia alle industrie casearie del nord est, dalla cintura di mais del Missouri ai campi di grano
del Kansas, dai pascoli del New Mexico ai deserti dell’Arizona, dai dolci Appalachi alle aspre vette delle Montagne Rocciose, verso gli abissi e le altitudini, nella penombra e nella luce… verso la California. Senza accorgersi che il futuro è già un passato sepolto.
Narrativa
Kimerik
2015
480 p.,