Poesie inedite
Di Andrea Abruzzese
Nessuno è il mio nome
Il mio nome era Aisha,
curavo chi la vita avrebbe lasciato.
Vennero degli uomini, una notte,
tra le mani una croce, dissero che Dio
è uno solo e non si chiama Allah.
Cercarono la mia fede donandola alla morte.
Ora nessuno è il mio nome!
Non capirono chi sulla croce
morì per amore e pace.
Libero era il mio nome,
ero un giovane valoroso nella mia Africa.
I miei piedi veloci, la mia mano forte
e ferma nel difendere i miei cari.
Ma l’uomo bianco aveva
lance che sputavano fuoco.
Ora nessuno è il mio nome!
Il mio corpo imprigionato dalle catene,
le mie membra straziate dalla frusta…
La mia morte essere schiavo.
Io ero La pipa che ospita,
un capo tribù, nella terra che chiamate America.
Vivevo ringraziandola dei suoi doni.
Ora nessuno è il mio nome!
Vennero un giorno da lontano, la pelle chiara.
Gli offrii la mia pipa, il mio dono di pace,
mi avvolsero nelle fiamme,
tra le tende e la mia gente.
Mi chiamavo Almast,
un diamante per i miei genitori,
ero una ragazza che da poco
aveva imparato l’amore,
quando vennero i turchi…
Lasciarono i miei sedici anni alla notte ed al vento,
dopo aver strappato il mio giovane fiore,
perché credevo in chi insegnò ad amare.
Ora nessuno è il mio nome!
E di armeni ancora non si può parlare.
Mi chiamavo Ester,
nata nella città eterna,
orgogliosa di essere italiana.
Per qualcuno ero solo un’ebrea,
un’offesa per la razza ariana.
Mi cucirono una stella sul petto
e mi deportarono lontano,
facendo di me un fantasma.
Un giorno, al campo, nevicò…
Strano che cada la neve d’estate!
Ma non era bianca e di mio figlio aveva l’odore.
Mi hanno tatuato un numero e ora
nessuno è il mio nome!
Ma con le altre Stelle ho imparato a brillare.
Dimitri mi chiamavo,
nato nella grande unione sovietica.
Ero un figlio della Luna
visto da tutti come un mostro infetto da evitare,
perché i miei occhi vissero in quelli di Boris
e il mio cuore con il suo voleva giacere.
Ora nessuno è il mio nome!
Lasciato morire nella fredda Siberia,
ma la fiamma del mio amore
non sono riusciti a ghiacciare.
Mi chiamavo Aurora,
ero stata baciata dagli Angeli.
Tutti ridevano di me chiamandomi matta.
Ora nessuno è il mio nome!
Passarono la corrente nella mia testa,
non piaceva loro come vedevo il mondo,
perché dicevo che è di tutti, per tutti uguale.
Il mio nome era Karim e
non avevo, ancora, l’età per leggere e scrivere
quando l’ho lasciato tra le braccia del mare,
scappando dalla guerra,
alla quale i grandi amano giocare.
Ora nessuno è il mio nome!
E giaccio come tanti, nel fondo del mare.
Il mio nome è nessuno!
Forse di un nome non sono degno,
perché schiacciato dall’impotenza resto a guardare,
dalla vergogna, dalla consapevolezza
di non saper cosa fare.
Vorrei gridare le mie scuse,
ma le scuse non possono bastare
22/10/2009 ( a Stefano Cucchi)
Diedero la notizia
della tua vita persa, tra uomini in divisa,
tra i fogli volanti, di una distratta giustizia,
un’anima dopo anni ancora derisa.
E nessuno si curò dei segni sul tuo viso,
mancò il coraggio di guardare nei tuoi occhi
il sorriso reciso, da quei pesanti tocchi.
Dicevano ucciso dagli errori di una vita
smarrita in oscure vie, ma la verità era urlata
dal silenzio e dalle bugie,
che lasciarono la tua famiglia sola
a piangere un corpo sporco di viola.
Si leggeva sui giornali, dello Stato che abbandona gli ultimi,
coprendo atti amorali, fingendo che fossero legittimi.
Dieci anni passati tra le offese, tra morti fantasiose…
Dissero caduto dalle scale, ti vollero vittima di crisi epilettica,
una morte accidentale,
a coprire una realtà più drammatica.
Ma ora io ti immagino sorridere fiero
di una sorella valchiria, che non molla,
che combatte perché sia detto il vero,
che porta le anime dei nessuno nel Valhalla.
Ti penso ad immaginarla, forte tra uomini zitti,
dipinta come in un quadro di Delacroix,
schiacciare chi ha voluto negare i tuoi diritti,
issando il tuo nome come una bandiera di verità.
Una Donna, una Madre
Nacqui con il sogno di danzare
e divenni prima ballerina in televisione,
dove conobbi un uomo, scoprii vertigini d’amore,
mi sognavo sposa fino all’estrema unzione.
Ma mi ruppi un ginocchio in un incidente
e finii per legare la mia vita ad un palo,
la mia voglia di danzare ancora ardente,
divenni etoile nei locali della notte.
Un giorno il mio amore prese il volo,
mi lasciò con un sogno di ossa rotte,
con dei figli da accudire,
e il ricordo di essere stata sposa.
Fu cosi che decisi di provare piacere,
nel donare agli altri, quello di cogliere una rosa.
E imparai a vivere in bilico tra offese e carezze,
tra il calore degli abbracci, e il tremare coperta di sangue,
a lavarmi via le maldicenze, a non sentire le malelingue.
E a quelle che mi guardavano disgustate e fiere,
dicevo che tutti ci vendiamo per un mestiere.
E così passai la vita,
a passeggiare tra l’alba e il tramonto,
a far danzare il mio corpo tra sconosciute dita,
vorticando di letto in letto, come in un girotondo,
sperando di aver pagato, alla sfortuna, il mio conto.
Ma una notte mi servì la sua mela avvelenata,
fui ritrovata in un fosso, come Biancaneve addormentata.
E se chiedeste di me ai miei figli, arrossiranno di sicuro,
ma voi dite che è stato per il loro futuro,
che ho fatto tutto per crescerli belli come gigli…
E le lacrime brilleranno sui loro visi,
ricordando di quando si svegliavano
nei miei sorrisi.
Senza respiro
Una bambina china il capo alla Luna,
e piange lacrime di sogni senza futuro,
incatenati dall’odio di empi cuori bianchi.
Il suo è un colore senza fortuna,
è nei ghetti in fiamme, è in periferie senza respiro,
la sua è pelle che arde nei campi.
Senza riparo sotto un sole che non abbronza,
perché la sua vita è invisibile, è meno di un’ombra,
e quei raggi sono frustate a tutta forza,
che piegano l’animo, che lacerano le membra.
Un bambino china il capo e piange,
perché insultato, minacciato, odiato,
e i suoi sogni sono onda che s’infrange,
contro sei mesi per respirare libertà,
in cambio di una soffocata eternità.
E il sudore è un marchio sulla fronte…Sfruttato!
Due bambini chinano il capo e piangono,
perché il loro futuro è sogni senza fiato,
la loro pelle è bersaglio per colpi di pistola,
i loro aiuto sono per orecchie che non odono,
per occhi che non vedono,
e la loro vita è un ginocchio premuto sulla gola.
Anime innocenti chinano il capo e piangono,
perché il loro futuro è morire,
prima che qualcuno si accorga
che è vietato loro di respirare.
Resilienza
Nata tra la prima e la seconda guerra,
ho visto morte e distruzione cadere dall’alto.
Sotto i piedi ho visto, spaccarsi la terra,
alluvioni e frane divorare l’asfalto,
e anime prese dalla malattia delle paludi.
Ma ho visto anche…
gli alberi rivestirsi di verde, dopo essere stati nudi,
e la gente riabbracciarsi in un unico ballo,
colorarsi di vita, brillare come il cristallo.
Però oggi rivedo il terrore sbiancare le facce,
nelle strade deserte, la signora con la falce.
Ma anche se mi avvicino ai cento,
ancora non mi sento pronta,
e saluto la mietitrice con un bacio,
perché l’età non è un giusto sacrificio.
E so che tornerà la felicità, e sarà tanta,
perché i fiori faranno breccia nel cemento.
So che, di giorno, il sole ci illuminerà d’incanto,
di notte, le stelle saranno sorrisi di infanti,
la luna bacerà, tra i sogni, i nostri occhi stanchi,
e la gioia sarà la carezza del nostro pianto.
Vi chiedo di essere forti, di essere speranza,
di ringraziare e celebrare gli eroi,
perché sarete luce di una grande danza,
e io sarò lì… a ballare con voi.
Poiché ho ancora lacrime per imparare,
ho ancora sorrisi per insegnare.
In copertina un’opera di Johann Sebastian Bach, nipote del più celebre e omonimo compositore