Paolo Trapani, archeologo e naturalista preistorico, è nato ad Agrigento nel 1979. Dopo aver iniziato gli studi di Archeologia nella sua città natale, si è trasferito a Ferrara, conseguendo una seconda e una terza laurea, entrambe in campo preistorico, alla Facoltà di Scienze Naturali. Attualmente è docente di Scienze nelle scuole secondarie di I grado della provincia di Monza e della Brianza. Con il romanzo “Prati nascosti”, l’autore è alla sua terza pubblicazione. Ha già regalato al pubblico italiano il romanzo “I segreti in fondo al lago” (2010),

Ariel e l’amore veloce

Di Paolo Trapani, tratto dal libro I segreti in fondo al lago, Edizioni Il Filo

«Pam, Paaam…» un grido che sembra più un terrore. Ma gridare non serve, Ariel. Pam viaggia a suon di
musica, di corsa incontro al vento perspazzare via i suoi pensieri, tra il rumore profondo e l’impatto dell’alta
velocità. Da come varca il ponticello sul lago ad appena pochi metri da casa, sembra dirigersi in città per
continuarela sua corsa sulla spiaggia, in un mare disperato come lei.
Ariel allora cambia strategia. Si dirige verso casa, mentre Mike, fratello di Pam, la segue con lo sguardo.
Prende la sua bici, poiché adesso il sole non è più fioco come nella freddura del mattino presto. La monta
per raggiungere Pam, prima che essa raggiunga la sabbia ostile per le ruote di qualunque bicicletta.
Insieme alla sua bici, Ariel prende la sua borsa a tracolla e il suo cappello.
Ma dopo dure pedalate verso la spiaggia, attraversata che fu la città, nessuna traccia di Pam.
Arielsipreoccupò.Nonsapevadovelasuaamicapotesseesserearrivatadopo circa una mezz’ora che l’ha
vista uscire di casa.
Sarà stata così veloce? Era più plausibile fosse diretta in un luogo più vicino. Ma Ariel quel giorno doveva
ritornare a Los Angeles: le lezioni l’aspettavano. Le sarebbe davvero piaciuto avventurarsi in questa
specie di caccia al tesoro, ma doveva proprio andare.
Così attraversò nuovamente la città. Il traffico era terribile poiché cisi avvicinava a mezzogiorno. Camion
carichi di merce percorrevano le strade a velocità esasperante, fermandosi poi davanti ai negozi a
scaricare.
Vedendo questo trambusto di veicoli pesanti, Ariel ebbe un’idea: e se Pam fosse andata al minimarket
di suo padre?
Non ci pensò due volte, si fermò di colpo, pochi metri prima dell’uscita dalla città sul mare, su una strada
a doppio senso.
Dalla fretta guardò soltanto a destra, e non a sinistra com’era più logico fare per prima. E infine, il sole
che accecava la vettura proveniente da sinistra, fece tutto il resto.
Fu grazie a un angelo sceso dal cielo o a non si sa che cosa, ma Ariel scansò quell’auto rossa
decappottabile senza toccare più il manubrio della sua bici.
Le ruote presero subito la traiettoria da dove era sbucata Ariel, riportandola ai margini della strada. Un
miracolo!
Nonostante tutto la ragazza cadde strusciando il gomito destro sull’asfalto arroventato.
Mike, che aveva pedinato Ariel convinto che stesse rintracciando sua sorella Pam, adesso, dopo
l’incidente, se ne stava nascosto all’ombra degli alberi di una piazzola di sosta. Aveva visto tutta la
dinamica…
Il ragazzo che guidava la macchina rossa si fermò immediatamente, preoccupato per la ragazza che aveva
evitato, Dio solo sa come.
Nel frattempo poteva acquietarsi anch’egli dallo spavento.
Un tipo bruno con gli occhi nocciola, di origini messicane, scese dall’auto e Ariel lo scambiò per il suo
angelo: un angelo molto scuro!
Era carino da morire. Ariel non sentì più il gomito.
«Tutto bene? Piacere Diego»le disse porgendogli la mano per farla rialzare.
«Adesso sì» rispose sorridente Ariel con pensieri maliziosi.
«Dovresti stare più attenta alla strada. Qui le macchine sfrecciano…».
«…menomale che non sono stata attenta…»rispose Ariel con un tono un po’ forse elevato.
«Cosa dici?» le rispose il ragazzo, quasi non capendo se la ragazza volesse nascondere qualcosa.
«Ehm, nulla… Mi chiamo Ariel» gli rispose ignara di aver usato un tono eccessivamente alto e magari
dell’ironia non celata a sufficienza.
Non tutto quello che si pensa si dice. Ariel adesso ringrazia quel piccolo incidente che era avvenuto, mentre
il ragazzo si appresta a rientrare in macchina.
Ma Ariel nuovamente:
«No!» a voce alta.
«No cosa?» rispose il tipo bruno.
Ariel cercava di giustificare ogni parola che non riusciva a pensare solamente. Così faceva delle figuracce
incredibili quando non rispondeva delle sue azioni per mancanza di spontaneità.
Momenti come questi non si vivono sempre e Ariel desiderava in tutti i modi trattenere a sé quel bel
ragazzo:
«Neppure un caffè?» allora gli propose.
Il ragazzo si trattenne un po’ in macchina. Poi decise di accettare l’invito di
Ariel e i due raggiunsero il bar più vicino sulla spiaggia parallela alla strada.
Stormi di gabbiani popolavano il cielo in quel giorno restio ad abbandonare la sfumature dell’estate.
I locali sulla spiaggia si apprestavano agli ultimi lunghi week end di attività. Alcuni cani rovistavano tra le
immondizie lasciate dai proprietari. Sedie e seggiole occupano adesso sempre più frequenti i ripostigli in
affitto ai bagnanti.
Ariel assaporava nel “dettaglio” ogni particolare attorno a sé. Un’ispezione tuttavia comune in una fine
stagione come tante. Senza cuore, né ragione, visse l’esperienza di un caffè con ilsolo vento fresco che le
rievocava la tristezza di un’estate ormai andata.
Non appena i pensieri di Ariel cominciarono ad aggirarsi sempre più attorno all’immagine fascinosa di quel
ragazzo, ella rimase incurante dell’ambiente circostante, di una stagione sempre più distante dalle splendide
tintarelle e le sere sulle biciclette a fare tardi.
Un battito che non può ancora definirsi amore, ma che fa sordo ogni rumore fuori.
Che cosa importa se l’estate è finita? Quasi Ariel non ricordava più l’esperienza al balcone dai suoi amici
nelle case in campagna. Tanto più che il ragazzo messicano ancora non aveva abbandonato i pantaloncini
blu a fiori bianchi, dei sandali marroni, una maglietta stile tropicale e un’abbronzatura che ricorda le
creme solari per non scottarsi troppo.
Diego prese con lei un caffè macchiato, Ariel una spremuta di ananas. Il caffè, diceva, viziava troppo la
gente.
Ma intanto, assorta in questi casti pensieri, ella non si accorgeva della scelta riferita al cameriere, scelta di
un succo di frutta che agliocchi del ragazzo poteva sembrare folle, dopo che fu proprio Ariel a proporgli un
caffè.
Uno sguardo reciproco di incomprensione fu seguito da un sorriso che voleva passare sopra a
quell’assurda preferenza.
Diego infatti non ne tenne più conto, e Ariel fu sollevata dal peso dell’imbarazzante gesto.
“Meno male” pensò “per poco e non rovinavo tutto!”.
Insieme restarono per una mezz’ora a parlare del più e del meno seduti a un tavolo di quel bar all’aperto,
sormontato da un telo di canne in legno.
C’era da aspettarselo che di nascosto il ragazzo guardava sotto il tavolo la gonna di Ariel, aiutato dal
vento che, sebbene leggero, favoriva l’occhio nel penetrare.
Ariel faceva finta di nulla. I ragazzi credono che le ragazze non si accorgano di queste cose. La verità è
invece che esse fanno finta, poiché a loro dispiacerebbe che il ragazzo le smettesse di guardare.
Cerca di pensare ad altro Ariel quando vede che sta per arrossire di nuovo, per non mettere in imbarazzo il
neo conosciuto interlocutore.
Quando i discorsi si esaurivano, ognuno poggiava gli sguardi negli occhi
dell’altro, e negli incroci li abbassavano contemporaneamente per timidezza.
Che bella l’esperienza di un primo incontro. La si assapora primariamente negli sguardi. E quando c’è
interesse, si vede da come quello ti guarda.
E siccome l’occhio è lo specchio dell’anima, Ariel sapeva di piacergli fino in fondo. Non era stata mai
così presa da qualcuno, bensì solo da qualcosa: lo studio.
Non era neppure una grande esperta di incontri, specie i primi.
“Ci si conosce però, e poi passa anche la timidezza” pensava tra sé mentre Diego le parlava delle sue
origini messicane.
Ma la si vedeva che era distratta dal fatto di dondolare ancora in avanti la testa per acconsentire ai
discorsi, quando il ragazzo però aveva finito da trenta secondi.
Anche loro, i ragazzi, le capiscono certe cose!
Arielrischiavaperòdirisultareambigua,inquantoilsuosorvolareneipensieri,rimanendo fissa nelle labbra
di Diego senza capirne le parole, poteva essere frainteso come disinteresse nei confronti del ragazzo.
Diego però non se ne curò e protrasse la lunga discussione, intervallandola a brevi sorsi di caffè.
Di tanto in tanto guardava l’orologio e questo infastidiva Ariel.
Lui allora cercava di farlo apparire meno evidente, nascondendo il polso tra il braccio della sedia e la sua
gamba.
Ariel, imperdonabile, continuava nonostante tutto a pensare ad altro. Sognava già un futuro con lui.
Pensavachedopoglisguardidolcieinteressati,sarebberosubentrateleprime coccole.
Poi l’affetto sincero rischia di tramutarsi in curiosità.
«Così è sempre» disse.
Si va alla ricerca continua di qualcosa che non si è ancora toccato.
A ogni appuntamento, inizialmente preso con delicatezza e apparentemente senza pretese alcune, si ha
sempre più gusto nell’accarezzare parti ancora sconosciute per le nostre mani. E si passa sempre a cose
nuove o il piacere rischia di farsi monotono e paradossalmente mutare in noia per le cose eccessivamente
toccate.
Come quando si massaggia la schiena. Inizialmente una goduria travolge i nostri sensi,ma poi abbiamo
bisogno che la nostra massaggiatrice passi ad altre parti, poiché il massaggio alla schiena non rilassa più.
Dopo un breve intervallo in cui la nostra schiena non è sfiorata da mani alcune, si avverte nuovamente la
necessità di ritornare ad accarezzarla.
Allora si prova un piacere poco migliore di quello di prima, anche se meno intenso della prima volta.
“Per questo i primi tempi in amore sono sempre i più emozionanti” pensò decisamente Ariel.
“A ogni incontro all’inizio ci si accorge di piacersi sempre più”.
Ma è un’illusione… Poiché lo scopo è vedere oggi qual è il turno delle cose da
vedere e da sfiorare e da massaggiare con passione: un gradiente di sensazioni sempre più forti che
culminano nel piacere del sesso.
Poi tutto diviene monotono. Quasi quasi Ariel avrebbe voluto scappare da quell’incontro, lungimirante
come erano le sue riflessioni in merito.
Ma era così seducente l’aspetto latino di quel ragazzo! Isuoi occhi color nocciola sembravano grosse palline
di gelato che Ariel amava immaginare scioglier- si alla vista di lei.
“Chissà se gli piaccio” pensò entusiasta.
Da come rimaneva seduto interessato a discutere e a sapere della vita di lei, Ariel credette di piacergli.
Il suo amico Ubert le diceva sempre che l’amore è una cosa talmente strana che non si sa quando c’è e
quando non c’è…
E se c’è, non si sa quando inizia e quando finisce… E chissà se è misto a
qualche altro sentimento…
E se lo è, in che percentuale ha rapito il nostro cuore, eccetera, eccetera… Quanti problemi in testa fa
sorgere l’amore…
E le sagge parole di un amico, nel brio di quell’atmosfera, passano davvero inosservate. Non è così,
carissima Ariel?
Pensieri e parole trascurate come quello scenario circostante, con la spiaggia vuota di sdraio, il mare
schiumoso, neanche un cane, quattro gatti… Eccetera, eccetera … Di contro, una folla di stupide
emozioni nella mente …
MapossibileArielchedegliocchinocciolatiabbianocosìtantodistoltodalle cose eterne e sincere?
È così seducente l’amore, ma allo stesso modo evanescente.
Ti seduce con l’inganno facendoti innamorare delle cose più vane e passeggere.
E perdendo i tuoi occhi nella carne mortale di chi guardi, li distrai dal penetra- re nell’immensità e nei
sentimenti più veri e immortali.
Chiacchieri tanto Ariel, che neppure ascuola facevi. Tranne quando eri interrogata!
Il tuo nervoso dito indice picchia sul tavolo sempre più forte, quando non vuoi che quel Diego osservi
l’orologio.
E così i tuoi ticchettii confondono il ragazzo dal rumore delle lancette.
Magari ha premura, possiede i suoi impegni. Magari ha già una donna. Glielo hai chiesto?
Lascialo andare Ariel. Anche tu avevi qualcosa da fare. Non eri in pena per un’amica? Ti acceca la bellezza
così tanto che non hai più rispetto delle sue come delle tue cose.
“L’amore va così” ti dici in mente.
E sei pure consapevole di ciò che ti sta succedendo, segno questo che la ragione non smette mai di lasciarti,
Ariel.
Proprio perché sai quello che ti sta succedendo e non te ne prendi cura, rendi tutti più nervosi!
Ma questo idillio tropicale, pieno di dolci nuove parole, smorzato dal vento, reso vispo dalla caffeina e
intenerito dai suoi dolci occhi, come macchie sul caffè, sta per finire; è la natura stessa dove tu stai
giacendo che ti dà l’allarme.
Non appena infatti le onde minacciose del mare laggiù segnalarono la fine della loro serena
conversazione, Ariel sentì un turbamento, classico dico lui che amato, sta appena “lasciandoti”… in qualche
modo!
La fine di tutto, per Ariel, la si poteva al massimo applicare in una scenografia come quella, non essendo
la ragazza mai stata con qualcuno fino in fondo per poi essere lasciata.
L’ansia le bruciò lo stomaco. E l’ansia, mista alle macchie del caffè che poco prima avevi provato ad
assaggiare dalla sua tazzina, dona un effetto davvero terribile e mortificante in un momento simile.
Aspetta un minuto, poi due, cinque, dieci… Ma dopo il quarto d’ora sentì di non farcela, Ariel, e dovette
scusarsi per andare in bagno.
Nella propria privacy ognuno è se stesso. Lo è sempre…
Così Ariel si specchiò dentro la toilette, sistemandosi come meglio poteva.
Si lavò veloce le mani. Poi asciutte, le utilizzò per tirare all’indietro le bionde trame dalla fronte. Un
pollice intinto nella lingua per passarlo ai margini della bocca sporca di caffè era quello che civoleva.
Poi uno sguardo panoramico e paranoico all’abbigliamento e un sorriso ipocrita per guardarsi i denti:
decisamente stonava col malessere allo stomaco.
Infine, pronta per uscire, strinse in basso i pugni come scaricare lo stress e nel contempo manifestare
l’impazienza che investe sempre un primiero amore.
Poi, calata quella maniglia, l’imprevisto.
Diego stava salutando molto affettuosamente un amico che non aveva l’aria di essere suo fratello, da
come gli accarezzava la nuca.
Le cadde il mondo addosso. Lo stupore di una bocca spalancata al pari della porta del bagno dietro di sé,
contrastava con degli occhi rivolti in basso come di chi non può non essere stupita. Ma che al tempo stesso
deve fare finta di nulla e dedicarsi alle proprie applicazioni. Portò velocemente alla spalla la borsa e si scusò
con quel Diego per il ritardo:
«Ma devo andare a vedere… ecco… per un’amica… e dunque…».
Tra balbuzie e mani tremule, l’imbarazzo doveva rompersi con la celerità.
Così succede sempre. E così Ariel prese in fretta la sua bicicletta parcheggiata nel muro di fronte ai tavoli
e corse via…
Adesso pensi Ariel, tra qualche lacrimuccia asciugata sulla tua bici in corsa, alle parole di Ubert:
«L’amore è una cosa così strana: non sai se c’è o non c’è… bla bla bla…».
E magari sorridi un po’ pensando che l’amore oltretutto non sai nemmeno quante facce ha. Ubert
questo lo avrà dimenticato.
Il mondo è pieno zeppo di stranezze. La piaga più grande che lo rende im- morale è una soltanto,
generica: l’eccessiva tolleranza.
Ma cosa ci vuoi fare, Ariel. Non vale neppure la pena di imbatterti in discorsi filosofici, politici o sociali.
Sei rassegnata dall’andazzo di questa civiltà.
Torna Ariel, torna a studiare la tua archeologia, il tuo passato che sebbene sia colmo dischiavi, eunuchi e
donnacce, ti appare sempre giustificato dal fatto che è un mondo passato in via di progresso. Questo
presente invece che ha conosciuto il progresso e che ancora ci mostra certe cose… Forse la delusione
portò l’eccesso d’ira che partorì frasi umide d’intransigenza. Forse … O forse il contrario!
«Maledetto incidente» esclamò ad ogni modo tra rabbia e disgusto «devo stare più attenta».
Adesso lo maledici, eh Ariel?
Non passò neppure dal papà di Pam, tanto si era fatto tardi.
Preferì ritornarsene a casa e pranzare in santa pace, immersa dalla natura della sua casa di campagna. Fare le
valigie più infrettapossibile non sarebbe poi stato neppure tanto male. Le dispiaceva per Pam, ma non c’era
più tempo. Un taxi sarebbe giunto alle sei del pomeriggio per condurla a Los Angeles.
«Eh, eh.. », si fermò all’istante con un paio di calzini scuciti in mano e un sorriso amaro cucito tra le
labbra: «L’amore, l’amore.. » … scuote il volto Ariel e scaccia i pensieri come farebbe con le zanzare.
Con quel suo cuore instabile, non se la sente di dare lezioni d’amore neppure ai suoi stessi pensieri…
Ripone per un attimo i calzini sopra il letto, e curva sulla sua scrivania, scrive un bigliettino per Ubert
Pam, per i suoi amici. Parlarle a voce sarebbe costato tempo e orgoglio. Di corsa infila il biglietto sotto la
porta d’ingresso di uno di loro. Poi ritorna verso casa sua. Nel biglietto c’era anche narrata brevemente
l’esperienza dell’incidente di quella tarda mattinata.
Il taxi è già fermo sotto casa che attende con impazienza: il piede dell’autista pressato sull’acceleratore
è un segno che Ariel deve sbrigarsi.
Risale velocemente in camera. Non sa che fare prima dalla fretta. I suoi occhi oscillano tra il bagno e il
letto dove sta la sua valigia: è da decidere se dare più spazio all’igiene personale o all’ordine. La pulizia è
importante, ma sa che il disordine può toglierle il respiro e cosi dedica più tempo alla valigia. Vi ripone tutto
con ordine: infila con rabbia un ultimo paio di calzini in valigia, scende le scale di fretta, apre e chiude la
porta del suo taxi.
Il volto riflesso sul finestrino, le labbra strette, le pupille lanciate entrambe sulla destra. Ansima
pesantemente. Prende un chewing gum dalla borsetta e lo mastica nervosamente. Va pensando di continuo
alla lezione ricevuta e che in fondo meritava. Avrebbe fatto meglio a seguire i consigli di Ubert… Che poi
non ce ne era tanto bisogno: poiché anche lei ha un cervello sano che le dice quanto sia assurdo cedere a
certi sentimenti.
E ha oltretutto un carattere tanto forte da non doversi spingere oltre certe esperienze, neppure sentirne il
profumo da lontano.
Ma il cervello, il carattere… cosa vuoi che siano, pensi, dinanzi al cuore. Dovrebbe essere la mente a porre
dei limiti al cuore, e invece succede quasi sempre il contrario: incontri un bel ragazzo che ti piace e senti il
cuore che dice al tuo cervello: «Stai zitto, tu e i tuoi stupidi scrupoli da vecchio razionale…».
Eh sì, quando l’amore chiama, il cuore non sente ragioni…
«Ma quale amore…» si ripete Ariel poggiando una mano in fronte e scuotendo ripetutamente la testa
dandosi per tre volte della “stupida”: se già un amore qualunque non si può mantenere a lungo,
figuriamoci un amore veloce com’è difficile da inseguire.
C’era poco da continuare a pensare, c’era solo da tacere per Ariel. Ogni parola o pensiero in più l’avrebbero
portata all’esasperazione vedendosi ferita nel suo orgoglio.
Da quel bar prospiciente un mare schiumoso dove si consumavano gli ultimi bagni di fine stagione, Ariel
aveva visto per un attimo la sua libertà spiegare le vele e prendere il largo. E, quel che era peggio, è che
sentiva naufragare parte della sua dignità. Ringrazia il cielo che le imbarazzanti circostanze le avevano
gettato un’ancora di salvataggio: lei di certo non ce l’avrebbe fatta con le sue sole forze.
Il taxista si appresta a uscire dalla casa di campagna prospiciente il lago e riversarsi su una strada a doppio
senso di circolazione quando quasi contemporaneamente Pam, a un passo più lento e incontro a una
brezza leggera, toglie le cuffie dalle orecchie e incrocia lo sguardo di Ariel nella pace profonda del calar
del giorno. Nemmeno il lampo di un saluto, ma solo il tuono di un rimorso dentro la ragazza dietro i finestrini:
«Fossi sbucata prima, avrei evitato succhi d’ananas, macchie sul caffè e occhi nocciola», sbuffò tra sé,
Ariel, sperando che quell’alito acerbo potesse giungere alle orecchie dell’amica e fargliele, chissà,
tremare giusto un poco. Poi, inquieta, si sporse in avanti poggiando entrambe le mani sul sedile
anteriore, quello del lato passeggeri: «Signore, prima di passare, guardi per favore anche alla sua sinistra…»,
suggerì al taxista con quell’apprensione che si stempera rapidamente grazie a un pizzico d’ironia impensata!
Quindi tolse il chewing gum dalla bocca e lo pose in un portacenere. E al passaggio incolume dell’auto,
si sentì più rilassata…