Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

I quattro maestri di Vito Mancuso

Di Anita Mancia

Questo libro, I quattro maestri, ha una fonte ispiratrice nell’opera di Karl Jaspers che colloca all’origine e fondamento del pensiero umano quattro figure che sono: Socrate, Buddha, Confucio e Gesù da lui considerate come «le personalità decisive» (die massgebenden Menschen) pp 17 et infra nota 7. Così Mancuso prende lo spunto da questo filosofo per designare quattro maestri. Socrate letto e interpretato come educatore, Buddha come medico del dolore umano, Confucio come politico perché interessato alla vita sociale dell’uomo e allo studio del passato e dei riti, Gesù infine come profeta che vive acutamente il problema dell’ingiustizia del mondo cui contrappone un prossimo, immediato, evento del Regno di Dio. Ognuno di questi maestri caratterizza la sua vita su una duplice direttrice: l’armonia dell’uomo con il mondo e la cognizione del dolore. A seconda di come l’uomo risponde alle questioni collegate con entrambe le direttrici è sensibile al buono e alla virtù, quindi ad una impostazione della propria vita non solo teoretica, contemplativa, ma anche e soprattutto attiva.

I maestri sono plurali come plurali sono le esigenze della nostra anima, quindi non sono maestri per sempre e per tutto. Questo significa che se in un periodo della vita ci capita di essere più sensibili al problema della giustizia sociale verso gli altri e perciò siamo portati verso l’insegnamento di Gesù, lo seguiremo. Se invece in un altro periodo siamo particolarmente toccati dalla cognizione del dolore dell’esistenza e dal modo di guarirlo, aderiremo di più a Buddha, e così per gli altri maestri. La loro pluralità e provvisorietà non è un indice né di sincretismo, quasi che tutti facciano parte o esprimano una dottrina unica, né di relativismo. Piuttosto di relazionalità. Ma facciamo parlare l’autore: «Intendo sostenere che le dottrine religiose e filosofiche si devono relazionare al bene degli esseri umani e risultare funzionali alla concretezza delle loro esistenze; e siccome gli esseri umani sono diversi e molteplici, è un bene, oltre che una necessità di fatto, che anche le religioni e le filosofie siano diverse e molteplici. Solo così infatti ognuno di noi, nella fase specifica che sta vivendo, può trovare la prospettiva che giova maggiormente al suo cammino e alla sua salute» 29. La posizione relazionale della filosofia e teologia di Mancuso è l’opposto del dogmatismo e dell’unità assoluta della mente e della psiche umana. Direi che questa posizione relazionale e mutevole del nostro io concreto è interessante e ricca di riflessi anche se può lasciare perplessi. Per un periodo sono stata cattolica, con molti dubbi per la verità, e così ho deciso di passare non ad un’altra fede, ma a un cristianesimo diverso, quello anglicano. Al tempo stesso frequentavo le chiese cattoliche. Dopo un periodo di otto anni, però ho deciso di ritornare al cattolicesimo romano e di fatto sono rientrata perché ho deciso che voglio morire cattolica così come sono nata e sono stata battezzata cattolica. Ma l’esperienza che ho fatto non è da gettare via. L’esperienza di vivere in una chiesa organizzata in modo diverso da quella cattolica, con una posizione per la donna nella gerarchia ecclesiastica diversa dalla cattolica, mi aveva attirato. Altre ragioni, forse legate al sentimento e alla mia giovinezza, mi hanno riportato nella fede romana. Ma quello che è stato non intendo gettarlo via solo come errore. Dunque ben vengano i maestri plurali.

Mancuso riflette anche sull’essere discepoli. Il discepolato non è eterno e non dovrebbe caratterizzare una mentalità gregaria. Ciò a cui si tende è superare la mentalità gregaria e divenire egregi. Questo viene espresso molto bene da Buddha il cui obiettivo non era quello di formare buddhisti, ma persone autonome e capaci di ragionare con la propria testa. Una storia del maestro Buddha, il risvegliato, ma si chiamava Siddharta, è interessante. Un uomo che giunge a un grande fiume volendo raggiungere l’altra sponda, decide di costruire una zattera per recarvisi. Quando grazie ad essa arriva all’altra sponda decide che potrebbe caricarsi la zattera sulla schiena e portarla con sé ovunque. In realtà però il maestro decide poi di lasciare la zattera e proseguire il suo cammino più spedito senza la zattera. Da questa storia si trae questo insegnamento: «Vi ho mostrato, o monaci, come l’insegnamento sia simile a una zattera, la quale è costruita allo scopo di traghettare e non di mantenercisi attaccati». 128 et infra nota 43. Il commento pregnante e puntuale di Mancuso è: «Sono parole da cui traspare somma libertà da se stessi, vera nobiltà d’animo, completa assenza di volontà di possesso. Buddha è un uomo libero e liberante, forse solo in Socrate si ritrova una pari libertà dalla propria persona e dai propri insegnamenti» 128. Mancuso è consapevole che qualcuno potrebbe domandargli perché non è buddhista. La risposta è affidata a un’altra storia. Nelle scritture buddhiste si legge la storia di un monaco, Sangamaji, che mentre stava in meditazione, venne raggiunto da una donna che era stata sua moglie insieme con il loro figlioletto. Per tre volte la donna gli chiede per la relazione amorosa che la aveva legata a lui e per il figlio, di prendersi cura del bambino. Per tutta risposta il monaco non accetta di entrare in dialogo con la donna e di dire una parola al figlio. Il beato, su questa situazione di freddezza del monaco, pronuncia le seguenti parole: «Non si rallegra di lei che viene, né si dispiace di lei che va. Sangamaji libero da legami, è colui che io chiamo brahamana» 208 et infra nota 193. La reazione di freddezza del monaco, la tendenza al superamento dell’umanità che è condizione per superare l’essere, non fa parte dell’umanità e dell’espressione della ricerca del bene che consiste nell’amore, che costituisce il punto di riferimento della morale di Mancuso basata sull’essere, sull’anima e sulla ricerca dell’amore. La freddezza del padre incide certo sul piccolo che è stato portato a lui. Lungi da essere un esempio di umanità, di bene e di amore indica un superamento anche dell’essere e del bene.

Le pagine dedicate a Gesù profeta, per il credente e cristiano forse sono quanto di più sofferto di tutto il testo per chi vi si accosti da un certo tipo di presentazione di questa figura che unisce Gesù al cristianesimo. Gesù qui invece è separato da Cristo e dal cristianesimo. Il suo messaggio è quello della imminente venuta del Regno di Dio che è costantemente annunciata. Il Regno viene sentito come imminente ed annunciato non con parole misericordiose o di buona novella. La novella è buona per quelli che anelano alla giustizia e sono lontani dall’etica dominante del mondo, dove prevalgono l’ingiustizia e il male. Tuttavia Gesù si sbagliò nel ritenere imminente questa venuta del regno caratterizzata con parole di divisione e di grande durezza. Proprio il mancato avvento del Regno determinò una interiorizzazione del messaggio di Gesù che fu opera di Paolo, il vero costruttore del cristianesimo. Pertanto nel suo saggio, Mancuso stacca Gesù e quello che potrebbe dirsi gesuanesimo, se ci si attenesse solo all’insegnamento del maestro, dal cristianesimo che è una creazione del tutto paolina in una prospettiva ecclesiale quale si realizzerà nel III secolo dopo Cristo con l’insegnamento del I Concilio di Nicea e degli altri sette concili. Scrive Mancuso: «Il centro della religione di Gesù era la giustizia (“cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia” Matteo 6,33); il centro del cristianesimo divenne la giustificazione (“tutti hanno peccato e soni privi della gloria di Dio ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù.” Romani 3, 23-24). La giustizia è una condizione che posso raggiungere da me, la giustificazione mi viene sempre concessa da altri La richiesta di giustizia genera maturità, la richiesta di giustificazione genera sottomissione e immaturità» 438. Ora quello che muove questa riflessione invece è sapere aude! Osa sapere, uscire, come ben diceva Kant, dalla minorità dell’intelletto. Questo è il fulcro della ricerca: non essere discepoli sempre per tutta la vita, ma diventare a propria volta, maestri e non attaccarsi alle convinzioni ma essere disposti a diventare liberi. L’orizzonte religioso che opera in Mancuso è chiaramente pre- o post-cristiano. Anche qui l’esito della sua ricerca è un esito libero.

Il testo è organizzato in quattro parti dedicate ciascuna ad un maestro. A Socrate 33-111, a Buddha 113-214, a Confucio 215-325, a Gesù 327-438. Ognuno dei maestri viene introdotto da ciò che disse e da quello che altri hanno detto su di lui. L’ultimo maestro il quinto maestro, è ciascuno di noi nella sua ricerca, se gli interessa veramente, della verità e della virtù, del bene personale fuori da ogni logica di dipendenza. Segue la bibliografia alle pagine 485-500.

Si potrebbero dire molte altre cose di questo ricchissimo libro ma lascio al lettore immergersi nel testo da sé.

I quattro maestri Book Cover I quattro maestri
Vito Mancuso
Saggistica
Garzanti
2020
528 p., rilegato